Caparezza – Prisoner 709 | RECENSIONE

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Acufene. Riflessione. Prigionia mentale.

Questi sono i temi ricorrenti in Prisoner 709, settimo album di Caparezza, uscito il 15 settembre.

A distanza di tre anni dall’acclamato Museica, concept album che prendeva spunto dal mondo dell’arte per trattare tematiche di denuncia sociale tanto care al rapper molfettese, Prisoner 709 vede un’inversione di tendenza piuttosto netta: se in precedenza i testi si incentravano su ciò che accadeva nel mondo circostante, ora il focus si sposta sul mondo interiore, ovvero ciò che succede nella mente di Caparezza, in una riflessione incentrata sul suo personaggio e su cosa la musica abbia tolto alla sua vita.

Questa introspezione fa captare una sensazione di disagio.

Sensazione che parte dall’acufene, fastidioso e persistente ronzio percepito dall’orecchio che affligge l’artista, argomento principale del pezzo Larsen.  Il disagio si snoda in una serie di situazioni diverse, che vengono definite come una sorta di prigionia, ed il susseguirsi delle tracce simboleggia il percorso per uscirne. Infatti dalla traccia d’apertura, Prosopagnosia, ovvero la patologia che impedisce di riconoscere i volti, si arriva alla traccia di chiusura (praticamente gemella)  con l’accettazione di tale stato (Prosopagno Sia!).

L’artista riccioluto tratta il tema della propria interiorità, e rende se stesso il destinatario del messaggio delle sue canzoni. Talvolta sussurra come se stesse parlando da solo, come in Il Testo Che Avrei Voluto Scrivere, una delle tracce più geniali e coinvolgenti dell’album. In Una Chiave, invece, lancia un messaggio di esortazione rivolto a quello che sembrerebbe essere un se stesso da giovane. C’è da dire che Caparezza il Giovane aveva dato vita all’unico altro lavoro di carattere più introspettivo nella sua discografia, e cioè il disco di debutto ?! (titolo alquanto illeggibile), un album tutt’altro che perfetto  in cui appare un Caparezza ancora acerbo, ma molto sincero e molto duro con sè riguardo il suo passato ed il suo modo di essere.

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Prisoner 709

Anche musicalmente, la direzione presa dall’album è differente rispetto a quella del predecessore. I “banger” rap rock che sfociavano in hard rock o anche metal, e che avevano raggiunto l’apice in Museica con Argenti Vive, sembrano ritornare col primo singolo Prisoner 709 ed il suo stile industrial rock.

Ma, a parte la title track, nell’album non ritornano pezzi “da pogo”, come potevano essere i vecchi Vengo dalla Luna Abiura di Me, sebbene il rap rock in pieno stile Caparezza sia ancora presente presente in La Caduta di Atlante L’Uomo che Premette.

L’album presenta anche una forte e varia componente elettronica.

Da Forever Jung, brano che tratta il tema ricorrente della psicoanalisi, che ricorda una base hip-hop old school, allo stile minimal ed alienante di Migliora La Tua Memoria Con Un Click. E mentre in Sogno Di Potere lo stile è influenzato dalle basi rap/trap più moderne, in Minimoog fa capolino (e qui mi aspetto urla di stupore) il minimoog, col suo suono squisitamente vintage.

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Prisoner 709

Le collaborazioni con artisti del calibro di Max Gazzè, Darryl McDaniels dei Run DMC e John De Leo, miste alla varietà di argomenti trattati, tra cui il tema dell’interiorità spirituale in Confusianesimo e la critica verso la cieca fiducia nella modernità in L’Infinto Migliora La Tua Memoria Con Un Click (Non venerare la modernità, è di plastica.

Negli anni ’30 la modernità era la svastica), sono i fattori che rendono Prisoner 709 un album in cui Caparezza, nonostante la grande esperienza ed il successo, non smette di maturare, sia artisticamente, che musicalmente, che dal punto di vista personale.

Infine, una chicca: l’album, almeno nella versione CD, termina con una ghost track che consiste una serie di bip e rumori. In realtà si tratta di suoni della Tinnitus Retraining Therapy, terapia mirata a contrastare il fastidio proprio dell’acufene. Buon ascolto.

https://open.spotify.com/album/4WzSKU1xTFkWlEjLxs9X7A

Caparezza Prisoner 709

Genere: Rap

Anno di pubblicazione: 2017