Inside Tim Roth. L’attore e la sua origine operaia.

Condividi l'articolo

È un pomeriggio mite a Pasadena, in California. Il sole invernale irradia il terrazzo dell’hotel. Tim Roth arriva con una giacca elegante, ci dona un’illusione temporanea che sia diventato un dandy. Non appena si toglie la giacca lo riconosciamo subito, è il Tim Roth di sempre. Maglia nera, jeans vecchi e stivaletti macchiati. Ha la barba lunga, è molto stanto. Prende solo un caffè. Tira fuori una Vape, famosa sigaretta elettronica con la quale cerca di tenere a bada il vizio. Quello vero, quello del fumo.

La sigaretta elettronica funziona, certo. Ma chi può rinunciare ad una bella bionda?

L’attore londinese è conosciuto ai più per le sue interpretazioni nei film di un grande regista, uno dei più amati del nostro sito: Quentin Tarantino. La carriera di Roth parte da una lontana interpretazione, che lo vede interpretare un insofferente skinhead in Made in Britain di Alan Clark. Lo psicotico generale ne Il Pianeta delle Scimmie. Ma, come dicevamo prima, le sue interpretazioni più memorabili sono sicuramente quelle che lo hanno visto coinvolto sui set del regista Tarantino: pensiamo a Le Iene, pensiamo a Pulp Fiction e pensiamo ancora a The Hateful Eight. Grazie alla sua interpretazione di Lie to Me è diventato un volto noto anche a chi non segue moltissimo il cinema.

La sua vita è sempre stata un enigma. Lui vive a Pasadena, con la sua famiglia. Ritirato, solo poche dichiarazioni che generalmente fanno scalpore. Pensiamo all’ultima, in cui dichiara di essere stato stuprato dal nonno come questi fece col padre quando era piccolo. Per il resto, cerca e tenta di evitare molto le telecamere. Non si interessa quasi per nulla di ciò che accade ad Hollywod. Festival soltanto importanti, o comunque in cui è obbligato ad andare. A qualche giorno di distanza dalla vittoria di Trump alla casa bianca torna a farsi sentire. Tim Roth ci da la sua visione, ci spiega anche perché il neo presidente sia un danno per il paese.

154676_10200102586716476_565502765_n

Odio Trump, odio tutto quello che rappresenta. Non dovremmo dargli alcuna possibilità, alcuna chance. Dopo tutte le dichiarazioni sconvolgenti che ha fatto durante la corsa alla presidenza. Gli USA sono responsabili di una buona parte di ciò che avviene nel mondo, cosa dovremmo fare ora?

Roth afferma che, nonostante si dovesse fermare il fascismo in America non si è fatto che aumentarlo. Lui non è un cittadino americano, dunque non vota alle presidenziali. Lasua scure della colpevolezza non ricade su qualcuno in particolare, oppure su una determinata legislatura. No, lui cita un po’ tutti. Lui afferma che la colpa sta nel pensiero comune di non tenere per “fottutamente” lungo tempo in considerazione i bisogni della classe operaia.

Questo discorso porta inesorabilmente a parlare del padre di Roth, Ernie Smith. Egli viene da una famiglia umile, combatte con la RAF e cambia il nome di famiglia in Roth. Questo lo fa un po’ per la solidarietà con gli ebrei. Si iscrive al partito comunista britannico. Parte della sofferenza del padre, che veniva anch’egli stuprato dal nonno di Tim, la riversa nel suo primo e unico film alla regia: Zona di Guerra.

LEGGI ANCHE:  I consigli di David Lynch per prepararsi a Twin Peaks

Lui reagisce con un sorriso alla domanda “Hai amato tuo padre?”

Io l’ho amato, ho amato molto mio padre. È stato un uomo tutto d’un pezzo. Lui è stato abusato, ne ha passate davvero di molte brutte. Io come lui, ho vissuto la sua stessa situazione. Non avevo modo di descriverlo, non potevo. Nessuno ne ha. Così ho utilizzato un linguaggio che mi permettesse di esprimere ciò che la voce non mi permetteva: il cinema. Ho fatto Zona di Guerra

Roth, dopo aver detto queste frasi, guarda un po’ fuori in giardino. Osserva quel sole invernale di Pasadena.

Molto probabilmente tutte queste situazioni negative hanno portato Tim Roth ad essere ciò che è oggi. A poter interpretare tutti quegli psicotici personaggi ai quali, nel corso della sua carriera, ha avuto modo di dar vita. Immaginiamo tra gli ultimi quello di John Christie, un vero serial killer che ha ucciso qualcosa come 8 donne seppellendole nel suo giardino londinese. Tutto questo nel nuovo TV Show Rillington Place.

Ha lasciato il Regno Unito nel lontano 1991, non ci è più tornato. O meglio, non è mai tornato a viverci. Nonostante ami lavorare lì ritiene che anche a causa dei tabloid, quel paese si stia inabissando profondamente. Ora con la Brexit è una situazione ancora più calda. Ognuno si sente in diritto di spararla più grossa degli altri. È un rincorrersi di teorie.

Los Angeles ti ha un po’ cambiato?

Los Angeles? Assolutamente no, in generale gli Stati Uniti non mi hanno cambiato. Io sono rimasto quello di sempre, il londinese che viene dal sud della City. Non ho mai studiato recitazione. È sempre stato qualcosa di puerile, volevo fare lo scultore. Non prendo me stesso così seriamente come la gente prende il mio modo di recitare.

tim_roth_by_ame_natsuno

Una delle cose che studio, invece, sono gli archivi. Mi documento moltissimo sul personaggio che devo interpretare, tento di carpirlo e di farlo mio. Voglio a tutti i costi che sia completamente chiara la mentalità, il ragionamento che un determinato personaggio-chiaramente se esistito veramente-abbia seguito durante la sua esistenza. Se sono fatti di cronaca quelli che vado a raccontare, molto spesso mi ascolto anche le registrazioni della polizia. Le descrizioni che vengono fatti degli ambienti che il tizio frequentava.

Il personaggio affibiato a Roth nel suo ultimo lavoro, Rillington Place, ha contribuito a far sentire il suo grido verso la società malata. Infatti, prima di arrivare a John Christie fu arrestato e impiccato un uomo innocente. Grazie a questo errore fu abolita la pena di morte in Gran Bretagna

landscape-1480353464-12250547-low-res-rillington-place

Roth si è sempre sentito parte della classe operaia. Ha sfondato il portone hollywoodiano insieme ad altre star appartenenti sempre a quel suo stesso percorso professionale: Gary OldmanRay WinstoneKathy Burke.

Il governo inglese sta andando sempre più indietro. Tutto il sistema cinematografico statunitense è in mano a persone ricche e potenti. Queste si spalleggiano, in modo da accumulare sempre più ricchezza e da far in modo che, se si cade, la caduta sarà meno rovinosa. La gente ricca può permettersi di fallire, di restare senza lavoro. Se provi a studiare recitazione in Inghilterra parti con un debito con lo stato colossale.

Roth ha vissuto questa situazione con la sua famiglia. Il terzo dei tre figli che ha avuto con Lori Baker sta provando a sfondare da attore. Si paga tutto da sé, compresa la scuola di recitazione. È molto dura ma lui vuole riuscire a fare quel tipo di lavoro, e speriamo ce la faccia. Inizialmente è stata dura accettare la cosa, ma alla fine Roth si è deciso a dover accettare quella situazione. Ha una famiglia “artistica”. Tutti i suoi figli sono nel campo dell’arte.

LEGGI ANCHE:  Funny Games - Il gioco sadico di Michael Haneke

La scoperta più grande durante la tua carriera?

Quando mi sono trasferito in California ho scoperto un nuovo mondo. Tutti erano carini con me, tutti molto gentili. Con Tarantino Soderbergh abbiamo scoperto che c’era un enorme buco: mancavano alcuni personaggi, nel mondo cinematografico, che recitassero in maniera naturale. Occorreva abbattere quelle monumentali masquerade hollywoodiane. Per la prima volta riuscii a recitare la mia parte. Sotto la direzione di questi grandi registi non ho dovuto essere un cazzo di idolo, ho dovuto semplicemente essere me stesso.

Una delle ultime accuse di Roth è per il “ritocchino” chirurgico. Si lancia in un discorso per cui, molto probabilmente, nessuno ama vedere una brutta faccia come la sua su schermo. Lui però accetta il suo viso, poiché nonostante preservi lo sguardo da duro ogni sua cicatrice, ogni sua ruga ha una storia da raccontare. Ne ha passate tante.

L’affondo maggiore però lo fa alla critica. Le sue parole ci portano ad inneggiare a Tim Roth. Le ultime sillabe le sceglie per la critica cinematografica. Confessa che non si è mai interessato delle recensioni, preferisce di gran lunga evitare di rivedersi nei film o di ascoltare qualche studioso di cinema che lo recensisce. L’unica critica che ama ascoltare è quella della gente che incontra, quella di chi lo circonda.

Tim Roth photographed  by Michael Lewis in Los Angeles on 11/2/2015 for the New York Observer. PHOTO: Michael Lewis for Observer

Le migliori recensioni sono quelle che mi arrivano dalle persone. Ad esempio da chi lavora al mio supermercato sotto casa a Pasadena. Vado lì, magari la sera dopo che il mio show è stato trasmesso ed ascolto i dipendenti. Persone sincere, che non devono sbilanciarsi nel recensirmi in maniera positiva o negativa come avviene con i critici, ormai troppo gestiti dal demone denaro.

Queste le dichiarazioni di Tim Roth fatte al Guardian qualche giorno fa.

Non c’è nulla di meglio dell’intrattenimento popolare.