The Crown 6 – parte 1: recensione della stagione finale

La stagione 6 di The Crown arriva finalmente alla morte di Lady D., dopo aver tergiversato troppo. Vediamo cosa ha funzionato e cosa no.

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Lo scorso giovedì 16 novembre Netflix ha pubblicato la prima parte della sesta e ultima stagione di The Crown, la serie TV britannica ideata dallo sceneggiatore e autore Peter Morgan (“Frost/Nixon”, “The Queen”). La seconda parte, conclusiva, uscirà sulla piattaforma il 16 dicembre.

Non si può purtroppo dire che attendessimo “The Crown” con ansia: la precedente stagione aveva leggermente deluso le aspettative, tirandola un po’ per le lunghe e inserendo nella narrazione, prima di allora quasi ipnotica e infallibile, troppi elementi “filler”, senza arrivare al dunque: la morte di Diana. Si era parlato, certo, del divorzio di Carlo e Lady D. (interpretata da un’ottima Elizabeth Debicki), e si erano introdotti, anche fin troppo platealmente, due personaggi che avranno molta importanza rispetto alla sua morte: Dodi Al-Fayet e suo padre, Mohamed Al-Fayet.

Ciononostante, sapendo che la cronologia della sesta stagione non potesse più esimere dalla morte della Princess of Wales, ci siamo goduti le quattro nuove puntate, anche curiosi di capire come sarebbero stati trattati alcuni temi delicati legati all’appena defunta regina Elisabetta II e al neo-Re Carlo. Ve ne parliamo qui sotto, segnalando i momenti “spoiler” (se così si possono definire).

La captatio benevolentiae su Re Carlo

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Per guardare la serie con occhio critico, non si può prescindere dal mutato contesto reale inglese che dal settembre 2022, con la morte della longeva Elisabetta II, vede il principe Carlo Re della Gran Bretagna e capo della chiesta anglosassone. In quel momento i produttori stavano girando l’ultima stagione ed è plausibile pensare che il copione stesso abbia subito qualche “aggiustamento”.

Altra nota importante: alcuni tra membri e sostenitori (come Judy Dench) della famiglia reale si sono espressioni più volte nei confronti della serie TV e di Peter Morgan, perlopiù accusando sottilmente gli autori di “fictionalizzare” eccessivamente degli eventi molto delicati della loro vita personale. Già prima della morte della Regina c’era stata insomma già una pressione non indifferente sulla produzione e sugli autori, che si è fatta risentire forte e chiara dopo la dipartita di Elisabetta.

Non bisogna dimenticare che i reali inglesi sono un patrimonio nazionale e culturale per la popolazione, fonte perlopiù di rispetto e ammirazione da parte degli inglesi, incluso Peter Morgan, che così tanto ha dedicato della sua carriera e del suo talento a raffigurarne le vicende.

Fatta la dovuta premessa, c’è da dire che pur volendo approcciare senza pregiudizi la serie TV, che al di là dei dovuti elementi di fiction ha un timbro molto realistico e intimo rispetto a ciò che narra, non è facile non notare qualche bella strizzatina d’occhio alle figure più esposte in questa parte di storia reale: Elisabetta II e, soprattutto, l’attuale Re Carlo e la sua consorte, Camilla.

Se nelle stagioni precedenti Carlo era emerso con luci e ombre (una delle imprese più ben riuscite dello stile della serie), esplorandone la sensibilità soprattutto in opposizione alla forza testosteronica del padre Filippo, le insicurezze, gli errori ma anche le tendenze progressiste che il sovrano non ha mai nascosto, in questa stagione tutto questo viene mitigato. Carlo appare più umano e ragionevole che mai, certamente anche in virtù di un’età più matura, ma anche presumibilmente per evitare di turbare la sua immagine pubblica che, ora più che mai, dev’essere solida. Parleremo meglio della sua reazione alla morte di Diana e di quella della regina poco più in basso (portate pazienza!).

Dodi e Diana: l’incontro tra due solitudini (SPOILER)

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Un elemento di forza della nuova serie, almeno nella sua prima parte, sta nella descrizione delle dinamiche relazionali tra Diana Spencer e Dodi Al-Fayet. Già nella stagione 5 si mostravano tratti importanti del carattere di Dodi e, soprattutto, delle pressioni che riceveva da parte del padre, Mohamed Al-Fayet. Al-Fayet senior si è costruito da solo e dal basso, partendo da una condizione di povertà in Egitto, fino a diventare un imprenditore di successo. Ricco al punto di comprare il Ritz di Parigi, Harrod’s a Londra e, come piccolo messaggio di riscatto sociale diretto proprio ai nostri amati Royal, anche l’ex dimora francesa di Edoardo VIII, il sovrano che abdicò in favore del fratello Giorgio VI (papà di Elisabetta).

In sé, la dinamica del padre che fa pressioni al figlio non è così nuova, ma viene mostrata in maniera efficace nelle nuove puntate di The Crown 6. L’ambizione di Mohamed Al-Fayet è sconfinata: dopo aver stretto amicizia con Diana, venendo però snobbato dall Regina e dagli altri royal, spinge il figlio Dodi, già “promesso” ad un’altra, tra le bracce della Principessa del popolo, ormai single.

I due si incontrano perciò in un momento molto strano delle loro vite (semi-cit.): lui, dolce vittima di un compiacimento paterno impossibile da ottenere e lei, più sicura, più “sana”, più adulta, ma sempre con una grande tristezza nel cuore dovuta al fallimento del matrimonio con Carlo. Il loro rapporto nasce come imposto, ma ben presto Dodi si lascia incantare dalla bellezza esteriore e interiorie di Diana e dal modo in cui si prende cura dei figli, dei deboli, degli altri.

Nell’ultima notte delle loro vite, Diana e Dodi si aprono l’una all’altro in un bellissimo dialogo, intenso ed onesto, in cui emerge tutta la loro umanità e la solitudine che li accomuna, nel cercare di far bene rispettando le aspettative di chi li circonda. Peter Morgan riesce a creare un’immagine specchiata dei due personaggi, dove l’uno cerca ciò che l’altra ha, e viceversa. Nell’ultima telefonato agli adorati figli, Diana aveva ammesso di non essere del cosa stesse facendo lì (con Dodi, un semi-sconosciuto, a Parigi). Lo spettatore, dopo questo dialogo che precede l’incidente, lo capisce. Capisce come mai queste due anime si sono incontrate. Questa catarsi rende più doloroso e apicale il momento in cui, dopo aver escluso l’ipotesi di un matrimonio ma carichi di sostegno e affetto reciproco, entrano insieme nella macchina che li guiderà verso la tragedia.

La morte di Lady D. in The Crown (SPOILER)

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Eravamo molto curiosi di vedere come Peter Morgan, che al post-mortem di Diana aveva già dedicato il film “The Queen” (2006) avrebbe gestito l’episodio in questo nuovo format, più vivido e seguito. Avrebbe aggiunto nuovi dettagli? E, soprattutto, in che modo avrebbe descritto le reazioni della famiglia reale? Oltre alla sopra-citata esplorazione del rapporto tra Dodi e Diana, è risultato particolarmente efficace, a nostro avviso, l‘episodio 2, intitolato “2 fotografie”, che fa da preambolo alla morte della Principessa Diana. Le due fotografie, scattate da due personaggi molto diversi tra loro, sottolineano il contrasto tra tutto ciò che Diana era in quel momento ed era stata fino ad allora, dinamica, giovane, moderna, aperta alle passioni, e tutto ciò che invece la famiglia reale voleva mostrare di sé. Foto contro foto, di cui la prima, scattata dal fotografo italiano che “svela” la relazione tra Diana e Dodi sullo yatch attirando sui due la folla più isterica di paparazzi -verosimilmente – della storia dell’umanità, evidenzia il rapporto causa-effetto che condurrà i due giovani amanti alla morte.

E la famiglia reale? Se in “The Queen” Peter Morgan aveva descritto al millesimo la reazione (piuttosto fredda) dei reali alla notizia della morte di Diana e le conseguenze azioni politiche, soprattutto rispetto alle commemorazioni, in The Crown 6 salta (per fortuna) tutta quella parte e si concentra sui due membri più importanti: Elisabetta e Carlo. Questi ultimi si ritrovano addirittura (e un po’ sutcchevolmente) a dialogare con il fantasma di Diana, commentando l’accaduto ed esplorando il loro personale dolore. Dolore che porterà la Regina, così almeno scrive Morgan, a fare un discorso di commiato non previsto di fronte alla Nazione, il giorno del suo funerale pubblico.

Carlo non aveva pianto in “The Queen” (dov’era interpretato, ironicamente, da Alex Jennings, che in The Crown interpretò Edoardo VIII) ma qui un – sempre eccellente – Dominic West ci regala momenti di pianto straziato, di dolore non celato. In ultima analisi, di umanità.

La regina stessa (Imelda Staunton) esce di più dalla coltre di freddezza e austerità dimostrata finora e viene mostrata sull’orlo della commozione, dell’avvilimento e pur rimanendo – in maniera qui azzeccata – misteriosa nei suoi pensieri e nella sua emotività, come ha sempre dimostrato di essere, sullo schermo e fuori. Di questi piuttosto inflazionati momenti di “dialogo col fantasma” vogliamo menzionare il momento di cui Mohamed Al-Fayet, distrutto dal dolore e (presumibilmente) dai sensi di colpa, parla col figlio deceduto, che lo invita ad essere onesto con se stesso perché “le ferite guariscono solo con la verità”.

Come davvero abbiano reagito Carlo e la Regina non è possibile saperlo con certezza, ma solo immaginarlo. E forse va anche bene così. Forse il pudore dimostrato da Peter Morgan, che firma di suo pugno l’episodio 4, ci insegna che, anche nello showbusiness, è possibile rispettare il dolore altrui, accennandolo, immaginandolo, ma senza “cacciarlo” a tutti i costi. Sarebbe bello pensare che abbiamo imparato qualcosa dalla morte della Principessa Diana, uccisa, oltre che dal tragico destino, dall’ossessione morbosa della stampa per la sua vita personale.

Che ne pensate?

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