Shame – Food for Worms | RECENSIONE

Shame
Condividi l'articolo

Gli Shame crescono e maturano con un post-punk più autoriale e malinconico: la nostra recensione di Food for Worms

Una cosa è certa: gli inglesi Shame si possono ormai considerare, assieme ad IDLES e Fontaines D.C., parte della sacra trinità del post-punk anni ’20: una scena rifiorente, florida, che anche in questo nuovo lavoro della band mostra spunti, idee e tanta, tanta passione come nelle produzioni più classiche del genere.

In Food for Worms, il terzo album del quintetto londinese, troviamo i caratteristici suoni abrasivi, ruvidi e taglienti di questo stile in evoluzione e ripresa fin dalla fine degli anni ’70: chitarre distorte, riff incrociati e cantati sgraziati decorano una tracklist che, tuttavia, mostra in questo caso una chiara apertura a suoni più morbidi e a liriche più introspettive.

Come al solito, c’è chi la considererà un’evoluzione dovuta e chi una corruzione imperdonabile verso territori più “commerciali”: ma niente paura perché gli Shame ancora non sono un gruppo indie pop, tutt’altro. Quello che si coglie è più che altro una deviazione dell’aggressività dei primi due lavori verso l’interno, ossia verso ragionamenti sulla salute mentale e conseguenti paranoie.

LEGGI ANCHE:  I 10 migliori film che hanno come tema centrale il sesso

Ne risultano suoni più accoglienti, come nel brano di apertura, Fingers of Steel; nella delicata ma rumorosa Orchid; e nell’atmosferica Burning by Design. Non mancano naturalmente momenti più energici, come nella metaforica e alienante Six-Pack, o nell’autoriale Adderall. In generale, comunque, i tratti più distintivi del post-punk migliore non mancano mai.

I suoni che possiamo sentire ci riportano ad alcune cose di Echo & the Bunnymen, i Public Image Ltd. dei primi anni ’80, Gang of Four; e in avanti fino agli Interpol e ai Liars, ma con quell’accento più brutale, distratto e diretto da pub rock più tipico della scena inglese. Niente che chi ha apprezzato i primi due album non possa ritrovare anche qui.

La cosa che si può cogliere, e che si coglie meno nei casi di IDLES e Fontaines D.C., è il desiderio nella musica degli Shame verso un’evoluzione di stile più eclettica, che abbracci altri suoni e miri ad una maggiore apertura. Ragion per cui, archiviato il buon risultato di questo disco, c’è da guardare con molto interesse alle loro produzioni future.

LEGGI ANCHE:  Widows - Eredità criminale: Steve McQueen racconta l'America Oggi

Continuate a seguirci su LaScimmiaSente