Maneskin: perché non ha senso confrontarli con i gruppi rock del passato

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I Maneskin sono rock? Non sono rock? Sono ridicoli rispetto alle band storiche come Queen o Led Zeppelin? Rispondiamo una volta per tutte

Lo sappiamo: è divertente lamentarsi della musica nuova e delle nuove band come i Maneskin, specie quando si ha già qualche annetto sulle spalle e si sono vissuti tempi ben più gloriosi: tra chi legge ci potrà essere chi è stato testimone dell’era dei Beatles e dei Rolling Stones. Qualcuno più giovane avrà visto il rock anni ’80, Guns N’Roses e AC/DC; e chi scrive ha seguito per esempio l’ascesa di The Strokes e Arctic Monkeys.

E in queste lamentele colme di nostalgia a fronte dell’inarrestabile fenomeno italiano (i fab four di Roma), non mancano i sacrosanti confronti: “Vuoi mettere con i… ?”, laddove ai puntini si può virtualmente sostituire qualunque gruppo rock storico, dai Queen ai Nirvana o dai Kiss ai Nothing but Thieves. Il punto è un po’ questo: nessuno “vuole mettere”, e non ha senso. In primis perché i giovanissimi fan della Gen Z, che scoppiano letteralmente a piangere nel vedere i quattro sul palco, non lo fanno per primi.

Che cosa succede: ogni generazione ha una sua percezione della storia della musica e del panorama musicale. E i ragazzi della nuova generazione ne fruiscono, piaccia o non piaccia, su Spotify, su TikTok, su YouTube, su Instagram. Non frequentano negozi di dischi, non fanno collezione di vinili e no, non gliene frega nulla se qualcuno è bravo o meno a cantare o a suonare la chitarra, purché faccia musica potente e d’impatto ma, soprattutto, sappia apparire.

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E i Maneskin questo di sicuro lo sanno fare: ce ne siamo accorti a suo tempo, nel 2017, già ad X Factor. Ma il punto è che per i loro fan sfegatati quello che fanno è autenticamente originale; non perché non ne capiscano niente ma perché, semplicemente, non hanno una percezione del passato: non conoscono tutte le band sopracitate, o forse le relegano vagamente allo status di “musica da boomer”. Spiegategli voi, dunque, che tutto quello che fanno i Maneskin è già stato fatto in tutte le salse possibili.

Ecco perché a chi è più attempato il successo del gruppo italiano può dar fastidio: pare la riproposizione di qualcosa di già visto (e lo è) e l’entusiasmo per queste formule rock conosciute e collaudate appare ingiustificato. Ma sono conosciute per chi? Non certo per un diciottenne che, in quest’era, del resto prima dei Maneskin era abituato magari ad ascoltare solo rap, R&B, bedroom, dark pop o elettronica. E il discorso non si ferma qua.

Si inserisce infatti in un contesto più complesso che ci porta oggi, all’alba degli anni ’20, ad affacciarci su un ritorno del rock più strettamente chitarristico in varie forme. Di band rock di alto livello ne abbiamo sentite anche in questi anni, ma principalmente millennial e dedite a formule troppo serie, auto-indulgenti e intimiste per colpire la generazione dei balletti su TikTok. La musica del Maneskin è il contrario: audace, trasgressiva, esplicita e, non guasta, progressista (pro-LGBTQI).

Chiaro, i quattro sono riusciti a trovare un buon incastro e di certo le vittorie al Festival di Sanremo e all’Eurovision 2021 hanno aiutato. Ma come vediamo stanno riuscendo anche a passare oltre la dimensione del fenomeno temporaneo, portando ai giovani una formula rock memorabile ed energica come nessun gruppo della generazione indie ha saputo fare e come solo in parte del resto possono le band della contemporanea ondata neo-grunge, come le Wet Leg.

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Quindi: i Maneskin non sono “bravi” quanto i Led Zeppelin o i Deep Purple o, sia pure, Jet o Wolfmother? No, non lo sono. Ma non conta nulla: il punto è che siamo ormai in un’epoca nuova nella quale, piaccia o non piaccia, conta prima l’immagine della tecnica e prima la forma del contenuto. Non che le canzoni del quartetto siano così idiote, intendiamoci; e i loro testi, per quanto ingenui, cercano comunque di esprimere qualcosa anziché semplicemente incitare a far festa.

Ma un confronto sul piano dell’autenticità è insensato, perché metterla su questi termini significa ostinarsi a non capire che siamo nel 2023, non nel 2003 e nemmeno di certo nel 1973. Potrà non piacere, ma il mondo adesso è questo e non si torna indietro. A voi quindi la scelta: cercare di capire come funziona la musica di oggi e accogliere nuove band, per quanto sembrino vecchie, nelle vostre playlist; o tornare ad ascoltare vecchie polverose collezioni di vinili in attesa del nuovo disco dei Greta Van Fleet. In ogni caso, i Maneskin continuano per la loro strada.

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