L’uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot, Recensione del film

Oggi vi parliamo di L’Uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot, film del 2018 di Robert D. Krzykowski con protagonista Sam Elliott

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L’Uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot è un film del 2018 scritto e diretto da Robert D. Krzykowski, all’esordio assoluto dietro la macchina da presa. Sebbene il titolo faccia pensare ad un classico action di serie B con un protagonista anziano che salva la giornata a tutti, la pellicola ci porta molto più a fondo nella psiche del personaggio, lasciando solo come sfondo il plot che il titolo suggerisce.

Il nostro eroe infatti, Calvin Barr, è un veterano anziano che passa le sue serate a rinvangare sul passato e a ubriacarsi di whisky in una bettola della sua città, corroso dai sensi di colpa per aver tolto una vita e dal rimorso del grande amore che mai è riuscito a concretizzarsi. Sebbene l’uomo ucciso dal protagonista, interpretato da uno splendido Sam Elliott, sia niente meno che Adolf Hitler, questo non rende meno pesante il senso di colpa che attanaglia la sua anima. Un po’ seguendo le orme di Tarantino e del suo Bastardi senza gloria, Krzykowski riscrive la storia, creando una realtà alternativa nella quale il Führer viene eliminato da Calvin e prosegue la sua vita fino al suicidio canonico grazie all’ausilio di sosia.

Dopo molti anni il nostro eroe viene richiamato in servizio per dare la caccia al Bigfoot, leggendaria creatura umanoide del folklore americano e canadese. Qui entra in gioco uno di quei cambiamenti che rendono questo L’Uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot un’autentica perla. Se infatti pensate che questa creatura sia rappresentata come un essere dissennato, violento che regalerà uno scontro epico a Calvin, non avete idea di quanto state sbagliando. Il Bigfoot è infatti malato, portatore di un virus che potrebbe scatenare una pandemia mondiale e dunque chiuso in una zona boschiva di quarantena. Il nostro eroe si avventura quindi da solo, nel silenzio della natura, pronto ad affrontare il nemico in segreto in una metafora neanche troppo velata della sua vita nella quale ha salvato il mondo dal male totale nazista, perdendo l’amore della sua vita, senza che nessuno lo sappia.

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La pietà e la malinconia che accerchia ogni frame di questa sequenza è senza dubbio la cosa migliore del film. Calvin mentre caccia ricorda il suo passato fatto di risentimento e rimpianti. Tutto il film è infatti una metafora della vecchiaia, una visione fantastica ma allo stesso tempo terribilmente realistica del tempo che passa. Nei molti flashback che appaiono nel film ripercorriamo la sua vita insieme al fratello minore, che vediamo anche al tempo presente, e soprattutto la storia d’amore mancata con la bella Maxine, uno tra i tanti rimpianti che ancora tormentano il cuore del vecchio eroe.

L’Uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot trova la sua linfa proprio da questo. Dalla rappresentazione di un uomo che ha salvato il mondo in segreto, chiamato a farlo di nuovo, ma che non riesce a trovare la pace con sè stesso. Da una persona dalla forza di volontà immensa e smodata che neanche vorrebbe avere. All’inizio del film infatti Calvin prova a rifiutare l’incarico che gli viene dato, ma non riesce. La sua natura lo guida a fare la cosa giusta anche se è perfettamente cosciente che l’ultima volta che ha provato quella sensazione, ha perso la cosa che amava di più.

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Senza alcun dubbio il punto di forza maggiore di tutta la pellicola è Sam Elliott. Il baffuto cowboy, simbolo di un cinema passato, si incarna perfettamente in Calvin. La sua espressione sempre malinconica ma attenta. I suoi occhi stanchi ma focalizzati sull’obiettivo. La sua voce cavernosa e potente. Tutti questi elementi rendono perfettamente l’idea dell’uomo che Krzykowski voleva come suo protagonista. Il regista infatti non pretendeva un eroe action, o un veterano rancoroso. Lui vuole un uomo anziano, con grandi capacità militari, e che vede la sua vita scorrere giorno dopo giorno in attesa unicamente della morte. Un eroe al quale nessuno riconosce i suoi infiniti meriti e che convive unicamente con i suoi demoni. Una persona guidata da una bussola morale inamovaibile e devastato dal suo passato.

La caccia al Bigfoot, la sequenza che maggiormente dovrebbe mettere in risalto la risolutezza o le capacità balistiche del nostro eroe, fa invece risplendere invece il suo cuore, la sua anima dilaniata. Nel momento in cui mette gli occhiali per prendere la mira lo vediamo trasformarsi in un attimo dall’anziano e stanco veterano in pensione, all’eccellente soldato che l’FBI ha richiamato dal passato per salvare la situazione salvo poi tornare immediatamente cupo e malinconico quando si rende conto, ancora una volta, che sta per togliere una vita.

Stagliato sullo sfondo della notte, pronto a sparare l’ultimo colpo nei confronti di una creatura che ha come colpa quella di essere malata. Nel momento che dovrebbe segnare l’apoteosi dell’eroismo viene fuori la pietà e il senso del dovere oltre che di colpa. Tutto quello che abbiamo capito di Calvin in tutto il film ci viene riassunto in un momento semplicemente epico.

Una di quelle prove attoriali talmente azzeccate e perfette per il ruolo richiesto che da sola vale la visione di questo film. Fidatevi.

Che ne pensate? Conoscete questo film?