Barbie Girl: la storia dell'(anti)tormentone irresisitibile degli Aqua [VIDEO]

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Credits: Aqua / YouTube
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Non importa in quale epoca siete cresciuti: conoscerete tutti Barbie Girl degli Aqua

“I’m a Barbie Girl / In a Barbie world”: non fate finta, sapete tutti benissimo di che cosa si tratta. Barbie Girl, singolo del 1997, non è solo la canzone più famosa degl gruppo danese Aqua. Non è solo uno dei più celebri tormentoni pop di tutti i tempi. E non è neanche, soltanto, uno dei brani di punta del genere detto eurodance, assieme alla nostrana Blue (Da Ba Dee).

Il qualche modo, la super hit che ancora a venticinque anni di distanza ricordiamo tutti benissimo è rappresentativa di una certa concezione del pop – hyper-pop? – che trascende persino i canoni classici “da classifica”. Un messaggio che è un non messaggio, un successo che vuole smentire stereotipi confermandoli fino all’eccesso.

Barbie, come tutti sappiamo, è da decadi il simbolo del mondo delle bambole al femminile. Fino a qualche anno fa, una Barbie (in una delle sue infinite versioni) non mancava mai nella cameretta di qualunque bambina. Per molti, un incoraggiamento a sposare un determinato ruolo di genere fin dall’infanzia.

Barbie è bellissima, deve essere bellissima, sorridente, attraente, interessante, piacevole. Tutto quello che, per la famigerata società del patriarcato, una donna dovrebbe essere. Che il messaggio passi o no, che il possesso di una Barbie sia da intendere come pratica di “indottrinamento”, la canzone degli Aqua intende esattamente mettere il dito nella piaga.

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Negli anni ’90 questo genere di sottile ironia, a tali livelli, non è pratica comune. Chi si ribella a consumismo e sessismo lo fa come i Radiohead, a muso duro e senza compromessi. L’idea di opporsi a un fenomeno interpretandolo e portandolo all’esasperazione, non è comune e non viene capita fino agli anni ’10.

Ecco perché, quando nel coloratissimo ed esplosivo video la cantante del complesso, Lene Nystrøm, descrive tutto ciò che si può fare con una “bambola” come lei, molti non ne colgono il sarcasmo. Seppur tale sarcasmo sia ben evidente nelle smorfie grottesche e nei sorrisi, appunto, da “giocattoli” che i membri della band impostano nel videoclip.

L’intento parodistico è invece palese a decadi di distanza: l’idea geniale di interpretare la bambola stessa consente alle liriche della canzone di indirizzarsi direttamente ai preconcetti sessisti che da essa, secondo gli Aqua, vengono diffusi. “You can brush my hair / Undress me everywhere” sembrano versi innocenti se riferiti a una bambola, così come “You can touch / You can play”.

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Ripensiamo però al significato con in mente la donna adulta, bambina cresciuta che con quella stessa bambola ha giocato infinite volte, e il cerchio si chiude. Del resto, il sarcasmo non sfugge proprio a tutti: Mattel, la casa produttrice di Barbie, denuncia la MCA Records (la casa degli Aqua) per aver infangato la “popolarità” della bambola.

Inutilmente: il tribunale respinge la denuncia e così la Corte Suprema degli Stati Uniti. La canzone, sostengono gli ambienti giudiziari, è da considerarsi quale parodia e quindi protetta come tale. Anni dopo, Mattel cambierà strategia, ricalcando il video e la canzone per una propria pubblicità e quindi rovesciando in qualche modo l’intera vicenda.

Quel che rimane è che la canzone arriva in cima alle classifiche in parecchi paesi, compresi Regno Unito e Italia e vendendo milioni e milioni di copie in tutto il mondo. Ancora oggi, rimane un brano leggendario ed esempio di una concezione della pop music differente ed efficace anche a livello artistico.