Fear Street, la Recensione dell’intera trilogia horror su Netflix

Tre film horror, tre linee temporali intrecciate e accomunate da violenza e maledizione. La recensione della trilogia completa dedicata a Fear Street, disponibile su Netflix.

fear street, recensione, netflix,
Condividi l'articolo

L’orrore, anzi l’horror, in ogni sua sfaccettatura possibile. Un progetto ambizioso e riuscito, che porta il nome di Fear Street. Tre film per una trilogia (o miniserie) tratta dai romanzi del grandissimo R. L. Stine, autore della collana di horror per ragazzi Piccoli Brividi.

Ma ancor prima dei Goosebumps, la carriera dello scrittore iniziò proprio con Le Strade della Paura, Fear Street appunto. Dal 1989 per oltre vent’anni e più di cento romanzi (di cui pochissimi editi in Italia).

Tra questi, nel 2015, l’allora 20th Century Fox fece una scrematura prendendone tre e adattandoli per il grande schermo. Complice la pandemia, sono finiti direttamente su Netflix, in piena coerenza con quanto la piattaforma streaming ha mostrato fino ad oggi. Ossia, una forte base teen su cui poi diramare altre strade. In questo caso, legate all’horror.

Fear Street, la Trama

Tre film su tre linee temporali diverse e accomunate da una maledizione che affligge un’intera cittadina, quella di Shadyside, famosa per essere il luogo con più serial killer d’America. Tutto ha inizio nel 1994, quando un brutale omicidio scatena un’improbabile ondata di violenze scatenata da assassini che dovrebbero essere morti. Copycat? Assolutamente no.

Nel mondo di Fear Street i fantasmi esistono, così come un male ancestrale e relegato sotto il suolo maledetto. Tre ragazzi dovranno quindi indagare per sopravvivere e sopravvivere per indagare. Con la speranza di riuscire a fermare un maleficio che non dà pace né al loro locus amoenus né tantomeno ai tre giovani teenager.

Fear Street Parte Uno: 1994, la recensione

fear-street-1994, recensione

È bastato l’incipit per capire l’impostazione di questo Fear Street. Un incipit che guarda allo slasher contemporaneo per eccellenza, quello firmato Wes Craven e che risponde al nome di Scream. Un assassino mascherato, una scream queen (Maya Hawke) che tenta di fuggire dalla sua violenza ma senza riuscirci.

LEGGI ANCHE:  Us: Jordan Peele parla del primo terrificante trailer del suo nuovo horror

Nel frattempo, un omaggio visivo ad un altro capolavoro, il Suspiria di Dario Argento, in cui la ferocia dell’omicidio viene perfettamente citata tra colori, inquadrature e accoltellamento (senza però far vedere il cuore pulsante infilzato).

Partendo da qua iniziano a diramarsi le strade della paura firmate Leigh Janiak, regista a cui è stato affidato il compito di raccontare una storia capace di oscillare tra orrore e teen movie, come slasher vuole. Un compito non certo facile visto che ci vuole ben poco per scadere nel già visto, soprattutto nel 2021.

Eppure si può aggirare questo rischio spostando il cuore della narrazione visiva su un piano molto più furbo, quello dell’omaggio. Le citazioni tanto care al postmoderno diventano quindi safe zone di ogni regista che deve riesumare un genere senza voler correre il rischio di scottarsi restituendo noia allo spettatore. Tuttavia, non sempre il risultato finale è riuscito. Per fortuna questo discorso non riguarda Fear Street: 1994.

La Janiak in questo caso sa quali corde toccare e soprattutto come. L’importante è guardare all’estetica, per restituire quelle determinate vibrazioni nostalgiche allo spettatore ma senza mai farlo adagiare nel citazionismo esasperato. Complice anche una sceneggiatura ben scritta, nonostante un argomento ormai trito e ritrito, Fear Street: 1994 riesce ad ammaliare sin dal suo inizio.

Ora grazie ad una colonna sonora più che azzeccata, ora grazie ad una violenza e una ferocia che raramente si vedono in contesti filmici del genere. Si parte con Closer dei Nine Inch Nails e si finisce con un doppio omicidio a dir poco brutale. Una cornice sanguinolenta che si insinuerà prepotentemente nel corso del racconto. Un racconto che sebbene possa sembrare fuori tempo massimo, resta quantomai attuale.

LEGGI ANCHE:  IT Capitolo 2, ecco lo spaventoso trailer finale

fear street: 1994, recensione, maya hawke

C’è un contrasto, una lotta perenne e interiore. Tanto tra due cittadine eterne rivali quanto tra i protagonisti adolescenti. Una dicotomia narrata tra le righe, tra una Sunnyvale rigida, ricca e impostata, ed una Shadyside, più oscura e violenta. Il sole, da un lato, l’ombra dall’altra, come suggeriscono i nomi dei due luoghi violati dall’oscurità.

Il dualismo che lega e smuove ogni adolescente viene quindi messo in scena con una certa sapienza di scrittura, senza mai scadere nel banale nonostante l’argomento sia ormai abusato dal mezzo cinematografico. Tutto infatti ruota alla ricerca di sé stessi, del volersi riappropriare della vita e crescere una volta per tutte. E per dare originalità, c’è bisogno di un tocco specifico che qui troviamo nella messa in scena.

La creazione di ambienti perfettamente in linea con gli anni Novanta, aiutati anche dalla colonna sonora, vanno a confezionare un prodotto che riesce ad essere perfettamente bilanciato tra la ricerca di una propria identità e l’omaggio al passato. Non un semplice e facile pout purri che si adagia nelle citazioni ma un film con una chiara e precisa ricerca identitaria.

Nel caso specifico di Fear Street: 1994, il punto focale resta la ricostruzione estetica e non di un preciso periodo storico. Un viaggio a ritroso nel tempo in quello slasher metacinematografico (tanto caro a Craven) che a sua volta getta le basi per ciò a cui assisteremo subito dopo, con il secondo capitolo ambientato proprio negli anni Settanta.