Scream, lo slasher di Wes Craven e l’anno zero del cinema Horror

Un'analisi su Scream, film horror diretto dal genio di Wes Craven che si propone come un vero e proprio spartiacque per l'horror e lo slasher.

scream, ghostface, 1996
Ghostface in una scena di Scream
Condividi l'articolo

Siamo nel 1996, anno in cui si sciolgono i Take That e Braveheart vince ben cinque premi Oscar. E intanto, nelle sale, esce un horror destinato a diventare tra i più importanti di sempre: Scream. Un film che si propone come spartiacque, creando un prima e un dopo in un genere che stava vivendo una profondissima crisi nel mondo cinematografico occidentale.

Gli anni Ottanta avevano sfornato fin troppi cult, la cui potenza andava ad esaurirsi. Come innovare il genere dunque? L’idea non poteva che venire dal genio di Wes Craven, uno tra i più prolifici registi horror, capace di creare ben due saghe con personaggi iconici, quali Freddy Kruger con Nightmare e per l’appunto Scream.

Film accomunati da un sottogenere come lo slasher, già ampiamente discusso dai noti serial killer che rispondono al nome di Michael Myers e Jason Voorhees o anche Leatherface. Nomi non del tutto casuali che si riproporranno più avanti. Anche nello stesso Scream, con qualche leggerissima storpiatura.

Collage Killer

Film che seguono codici ben precisi, che i registi, da Mario Bava all’ultimo Landon (Auguri Per La Tua Morte), hanno sempre rispettato, almeno alla base. Un assassino seriale, un gruppo di giovani vittime, il salvataggio della final girl che il più delle volte coincide sempre con la scoperta dell’identità del killer.

Proprio queste regole vengono finalmente enunciate in una sorta di decalogo in Scream, un film che come detto prima si è posto al centro di una discussione giacché definibile come anno zero dell’horror contemporaneo. La trama è quantomai ridotta all’osso.

In una ridente cittadina californiana, un assassino sta mietendo vittime. Segni caratteristici: una maschera che riprende L’Urlo di Munch, una veste nera e l’immancabile coltello da caccia. Una serie di omicidi sconvolgerà Woodsboro, soprattutto i liceali, visto che le vittime sono tutte molto giovani. Esattamente come Sidney, presa di mira dal misterioso assassino.

Neanche il tempo di premere play ed ecco il via con la prima sequenza che vede Drew Barrymore al telefono con l’assassino. Quello che sembra un gioco si trasformerà in un abisso di terrore. Domande e risposte, da dare rigorosamente esatte. Altrimenti il suo ragazzo morirà proprio di fronte a lei.

Domande che riguardano il cinema horror, domande trabocchetto che rimandano proprio ai classici dello slasher, apertamente citati, come Venerdì 13 e Halloween di Carpenter. Ma poco importa la bontà della risposta: la fine sarà una e una sola. E proprio dal sacrificio della sventurata Barrymore si dipanerà il mistero in quel di Woodsboro.

Una questione di killer

scream, drew barrymore
Drew Barrymore in Scream

Dopo questo interessantissimo incipit, carico di sadismo, i toni si modificano di volta in volta anche grazie alla contaminazione prettamente teen che Wes Craven inserisce mano a mano. Tuttavia, i lidi già sperimentati nel 1984 con il suo Nightmare sono ben distanti visto un progressivo uso della parodia come strumento di decostruzione, a partire dalla figura del killer.

LEGGI ANCHE:  I 10 migliori horror disturbanti

Storicamente, il genere slasher ha sempre avuto un serial killer mosso da una volontà purificatrice e giustizialista. Sia essa la voglia di vendetta di Freddy Kruger o Jason Voorhes, sia il senso di abbandono di Michael Myers. Una forza che genera una violenza verso i classici teenager ribelli che in un certo senso scatenano una punizione. Ebbene, non è questo il caso.

La figura del serial killer appare quantomai goffa durante i combattimenti corpo a corpo con le vittime. E ancora, nel plot twist finale (che chiaramente non sveleremo) enuncia un’assenza di motivazioni negli omicidi. Non c’è una linearità, una ricerca di qualcosa. Mero sadismo, uccidere per gioco, senza troppi fronzoli.

Una vera e propria novità sotto molti aspetti, almeno rispetto a quanto visto negli horror di un decennio importante come gli anni Settanta, i cui capisaldi vengono omaggiati apertamente.

Dalle battute in cui viene tirato in ballo tale Wes Carpenter regista fino alla storpiatura di Non Aprite Quella Porta. Per poi arrivare alla più che aperta menzione di Halloween, capolavoro (uno dei tanti) firmato Carpenter, in una delle sequenze più emblematiche del discorso metacinematografico portato avanti da Scream.

La scena della festa

scream, scena festa
La scena della festa in Scream

La più classica delle feste americane svolte dentro una villa, alcol, qualche promiscuità e un bel film horror a corredare tutto. E fuori, una giornalista alla ricerca dello scoop del secolo che spia quanto accade in quella festa grazie ad una telecamera nascosta. Una serie di controcampi in cui assistiamo al vero cuore teorico di Scream.

In primo luogo, assistiamo ad una discussione che riguarda Halloween e che porterà Randy a spiegare come funziona un film horror:

“Non bisogna mai copulare. Sesso uguale morte. Mai bere o drogarsi. Non bisogna mai, in qualunque circostanza, dire “torno subito”, perché non si torna più”

Appare chiaro come oggi possano sembrare ovvietà. Eppure nel 1996 era pressoché impossibile conoscere un film horror che parlasse di cosa fare e cosa non fare in un film horror. Il piano americano che inquadra Randy lo pone come su di un palco, proprio mentre dietro di lui Halloween va avanti nella televisione. Parla ai suoi amici, Randy, ma parla anche a noi spettatori.

scream, regole horror, randy
Randy spiega come comportarsi ai suoi amici

Gli stereotipi vengono quindi enunciati, ponendo un punto sulla questione del genere horror. Un genere che stava affrontando una crisi contenutistica non di poco conto, apparentemente incapace di rinnovarsi. La svolta commerciale non stava certo dando i frutti sperati, con franchise che perdevano mordente film dopo film. Come lo stesso Nightmare di Craven.

Non sembra essere del tutto casuale infatti il cameo del regista nel suo film, intento a pulire i corridoi della scuola vestito esattamente come Freddy Kruger. Uno dei tantissimi inside joke che hanno come punto cruciale proprio quello di non volersi prendere sul serio, di parodizzare per rilanciare, piuttosto che rimanere in un inutile limbo.

LEGGI ANCHE:  Night Swim, la Recensione dell'horror Blumhouse

Riporre il vecchio per voltare pagina e creare qualcosa di nuovo, dunque. Mandare Kruger a “pulire i pavimenti“, uccidere il Fonzie di Happy Days, un geniale Henry Winkler nei panni del preside della scuola, poco dopo che dal suo armadio si intravede il famosissimo giubbotto di pelle nera. In altre parole, andare oltre ma mantenendo comunque alcune regole. Regole che poi, con l’andare dei film, verranno anch’esse rinnovate di volta in volta.

A tal proposito, risulta essere emblematica la parte centrale della sequenza del party di cui sopra. Il povero Randy si trova ormai da solo, ammaliato dal capolavoro di Carpenter. È lì, steso sul divano ad abbracciare un cuscino mentre “parla” con Jamie Lee Curtis, dicendole quello che dovrebbe fare.

Dietro di lui, Ghostface. Davanti a lui, la telecamera nascosta che riprende e proietta nel furgone della giornalista Gale (una fastidiosissima Courtney Cox) in differita di qualche secondo. Quel tanto che basta per far bussare al portellone il sadico assassino.

Randy and Ghostface
Ghostface nell’atto di accoltellare Randy

Controcampi dove il rapporto soggetto attivo guardante e oggetto passivo guardato si intrecciano tra loro, intercambiandosi in continuazione. Molto probabilmente, il punto più teorico e più alto di Scream, un film che parla del cinema e del genere a cui appartiene. Una finestra su quanto visto fino a quel momento, enunciato, analizzato e poi scomposto. Modifiche che portano alla genesi di un film che vuole cambiare il genere, a suo modo.

L’influenza di Scream sull’horror contemporaneo

Viene quindi da chiedersi quanto abbia influito Scream sull’horror contemporaneo. Arrivato a quota quattro film, l’opera maestra di Craven è diventata in poco tempo una vera e propria icona dello slasher nonché dell’horror postmoderno, le cui redini teoriche sono state raccolte da Quella Casa Nel Bosco di Drew Goddard. Un film che raccoglie quanto seminato dall’horror per analizzarlo e scomporlo, seppur allontanandosi dal discorso metacinematografico intrapreso in Scream.

Difficile però eguagliare il film di Craven per motivi più che evidenti. Scream è un film che è riuscito a rivoluzionare lo slasher così come l’intero genere horror. Un prodotto che si inserisce nel tanto vituperato horror commerciale per poterne discutere apertamente, provando a spiegare cosa va fatto per rilanciare un genere in decadenza, aprendo porte su mondi più ampi.

Citazionismo intelligente e mai fine a sé stesso, orrore ma al tempo stesso commedia. L’horror che per rinascere ha bisogno di regole fisse da infrangere e seguire meticolosamente. Spavento, risate e riflessione, per potersi rilanciare e rinnovare. Il cinema come la protagonista, il cui passato traumatico non è più un freno ma una voglia di rilancio, seguendo le regole, in barba alle regole.