Caparezza – Le Dimensioni del Mio Caos | RECENSIONE

Il quarto album di Caparezza, Le Dimensioni del Mio Caos, è un commento disincantato sulle differenze tra il 1968 e il 2008

Caparezza
Credits: telecaparezza / YouTube
Condividi l'articolo

Caparezza e il fallimento della controcultura

Le Dimensioni del Mio Caos è il quarto disco di Caparezza. Esce nel 2008, a quarant’anni di distanza cioè da quell’insieme di proteste, sommosse e risvolti politici noto storicamente come il ’68. Il rapper, da sempre anticonformista e anti-autoritario, sceglie di riflettere sull’eredità di quel movimento, confrontandola con l’epoca attuale in cui vive.

Nel 2008 la situazione in Italia non è incoraggiante: impera il Berlusconismo nei media e girandosi ovunque Capa vede corruzione, ingoranza e superficialità. Ancor di più, l’avvento defintivo dei social (che si può datare proprio a quell’anno) e di Internet toglie, ad avviso di Capa, ogni interesse ai giovani nella protesta e nella cultura.

L’album, concepito come supporto e specchio del libro Saghe Mentali, vede il rapper avventurarsi in una sorta di complicata odissea. Diversi personaggi vengono sfruttati per commentare vizi e problemi dell’Italia e della società. A cominciare da Ilaria, una sessantottina trasportata nel mondo moderno e immediatamente corrotta dal seducente consumismo di oggi.

LEGGI ANCHE:  Caparezza: qualcuno pubblica un album di inediti strumentali, ma non è lui [FOTO]

C’è poi Luigi delle Bicocche, l’eroe umile in quanto operaio che si sacrifica per sfamare la propria famiglia. Capa lo contrappone concettualmente ai supereroi sempre in voga tra i giovani. Infine, il bonobo, una scimmia, che rappresenta la voglia di libertà e spontaneità andata perduta in un’era di malizia e cinismo.

Caparezza confronta con disincanto la società del 1968 e quella del 2008

Il disco inizia concettualmente con La Rivoluzione del Sessintutto, un commento sull’iper-sessualizzazione del mondo di oggi; non anelito di libertà d’affetto come nel ’68 ma risvolto commerciale e superficiale dell’amore moderno. Capa opera una serie di confronti tra le due epoche, con tanto di metafore coinvolgenti Jimi Hendrix e Cynthia Plaster Caster.

Alla fine della canzone il rapper “spacca la chitarra”, una Fender Stratocaster, come appunto Hendrix (in realtà per questa pratica era molto più noto Pete Townshend degli Who). Così facendo apre involontariamente un varco spazio-temporale che trasporta nel 2008 la succitata sessantottina, Ilaria.

LEGGI ANCHE:  Teste di Modì, la Storia dello scherzo più incredibile di sempre

Da lì Capa e Ilaria viaggiano insieme in una serie di canzoni che rappresentano il fallimento di ogni speranza di progresso coltivata in quei lontani anni idealistici. Ogni canzone affronta un tema diverso, ma tutte si ricollegano a questa visione disincantata di un mondo che, nella lotta per la libertà, ha perso.

Continua a pagina 2!