Jean-Pierre Melville: tutto il cinema Noir del maestro francese

Nonostante una filmografia corta, Jean-Pierre Melville con soli 8 film è stato capace di riscrivere le regole del cinema noir e del polar.

Alain Delon
Alain Delon in Frank Costello faccia d'angelo
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Solitario, scontroso, scrupoloso: ecco tre aggettivi che ben sintetizzano la travagliata personalità di Jean-Pierre Melville (1917-1973). Dopo svariati tentativi di entrare nell’industria cinematografica francese, tutti fallimentari, il regista decise di intraprendere l’audace strada della produzione indipendente.

A fine anni Quaranta, egli acquistò alcuni magazzini abbandonati per girare le scene in interni, dando vita ad una piccola ma organizzata realtà cinematografica autonoma. Inoltre, l’impiego frequente di attori sconosciuti, l’iniziale stile improntato al realismo e le frequenti scene in esterni hanno avuto una notevole influenza sulla Nouvelle Vague.

Amante sin dall’infanzia del cinema americano, ha saputo reinterpretare il genere a lui più caro, il noir, regalandoci otto titoli indimenticabili.

Bob il giocatore (Bob le flambeur) – 1956

Jean-Pierre Melville Bob le flambeur
Bob le flambeur

Primo noir del regista francese dopo tre drammi usciti tra il 1947 e il 1953. Il film racconta la storia di Robert Montagné (Roger Duchesne), giocatore incallito rimasto al verde che decide di architettare una rapina al Casino di Deauville. Come andrà a finire?

L’opera inizia come un documentario, per poi assumere l’identità di un film di finzione, spiazzando la maggior parte degli spettatori e critici dell’epoca. Sono presenti diversi pilastri del cinema di Melville: inquadrature geometriche e ponderate, personaggi quasi apatici, la sparatoria finale e le figure chiave femminili.

Inoltre, sono da ricordare anche le stranianti panoramiche, particolarmente ricorrenti nella filmografia del regista e simili a quelle del cinema di Alain Resnais.

Il film è anche impregnato di un certo determinismo, smorzato però dalla fortuna/sfortuna di Bob al gioco. Menzione speciale va alla caratterizzazione del protagonista, ossia un introverso antieroe che indossa un cappotto beige e un borsalino; essa resterà pressoché inalterata per tutta la filmografia del regista.

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Il film ha ispirato Sydney di Paul Thomas Anderson (1996), Colpo grosso di Lewis Milestone (1960) e il remake di Steven Soderbergh Ocean’s Eleven (2001).

Le jene del quarto potere (Deux hommes dans Manhattan) – 1959

Two men in manhattan
Deux hommes dans Manhattan

Oltre a essere regista del film, Melville è anche il protagonista di un’intricata vicenda che si svolge interamente negli Stati Uniti. Dopo che ancora una volta il film si apre come un documentario, ne viene subito delineata la trama: l’ambasciatore francese delle Nazioni Unite è scomparso e spetta al giornalista Moreau (Jean-Pierre Melville) mettersi sulle sue tracce.

In compagnia del fotografo senza scrupoli Delmas (Pierre Grasset), i due uomini si addentrano nella notturna Manhattan, senza sapere di essere pedinati…

Si tratta dell’unica prova attoriale del regista, fatto salvo un cameo in Fino all’ultimo respiro (1960) di Jean-Luc Godard. Le scene in interno vennero girate in Francia, ma quelle in esterno negli Stati Uniti, scelta che comportò l’abbandono di Henri Decaë alla fotografia.

In sostituzione venne scelto Nicolas Hayer, con cui, da lì a 3 anni, Melville avrebbe collaborato per Lo spione, prima vetta artistica del cineasta francese.

Lo spione (Le doulos) – 1963

Melville
Le doulos

L’opera segna il ritorno al noir dopo una breve incursione nel dramma con Léon Morin, prete (1961), di cui conserva l’attore protagonista, Jean-Paul Belmondo. A lui si affianca un altro nome già affermato, il talentuoso Serge Reggiani.

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Dal precedente film, il regista inizia ad avvalersi principalmente di attori professionisti. Il film è ampiamente considerato uno dei migliori noir di sempre (c’è chi sostiene che sia il primo polar del cineasta, fusione di noir e poliziesco). Il termine “doulos” in francese significa cappello, ma, nel gergo criminale, indica anche l’informatore della polizia (lo spione, appunto).

Prima di ricordare all’amata di chiamarsi Ferdinand, in Lo spione Belmondo interpreta Silien, che di professione progetta rapine. In combutta con Maurice Faugel (Serge Reggiani) e un altro aiutante, progetta di svaligiare una villa isolata che i tre tengono d’occhio da tempo.

Riusciti a irrompervi, la polizia giunge sul luogo quasi subito. Silien, che non si è unito al colpo, poco prima ha effettuato una telefonata in centrale… ma sarà davvero lui lo spione? E come finisce il colpo alla villa?

L’abile montaggio di Monique Bonnot riesce ad amalgamare momenti di quiete a momenti di tensione e di azione, soprattutto nella scena della rapina.

Come già anticipato, la fotografia del film è di Nicolas Hayer, che interpreta alla perfezione un racconto grigio, malinconico, tetro e anche piovoso. I giochi di luci e ombre riportano alla mente film come Lo sconosciuto del terzo piano (1940) di Boris Ingster.

Forse Lo spione, almeno per quel che riguarda il noir, è il primo film di stampo puramente determinista di Jean-Pierre Melville, un determinismo qui privo di ogni speranza.