I 10 Videogiochi più difficili di Sempre secondo la Scimmia [LISTA]

Abbiamo deciso di stilare la classifica di quelli che per noi sono i 10 Videogiochi più difficili di Sempre. Ecco il risultato

Condividi l'articolo

3) Ghosts’n Goblins, Capcom, Arcade 1985

A cura di Andrea Campana

Fino a che non perdo l’armatura come a Ghost’n’Goblins – cantava il prode Caparezza in Abiura di Me (qui la nostra analisi)

Il primo capitolo della leggendaria saga di Ghosts’nGoblins è stato per anni l’incubo dei giocatori da cabinato, avendo spopolato per buona parte degli anni ’80 nelle sale giochi presso gli adolescenti affamati di misurarsi in sfide impossibili e distruggi-falangi. Il difficilissimo gioco segue le avventure del cavaliere Sir Arthur, il quale intraprende un lungo viaggio attraverso mondi ispirati all’immaginario letterario fantasy e horror per salvare la proverbiale principessa in pericolo, rapita da Astaroth, il re dei demoni.


Il giocatore dovrà affrontare orchi, demoni, vampiri, zombie e chi più ne ha più ne metta, attraversando una foresta da incubo, una casa stregata, dei sotterranei inquietanti, una caverna piena di magma e quant’altro per giungere infine al castello oscuro di Astaroth. Tutto questo con soli due nuovi tentativi a disposizione (due “vite”) e due soli hit points: quando viene colpito Sir Arthur perde l’armatura, restando letteralmente in mutande; al secondo colpo, per lui è la fine.

Naturalmente è possibile raccogliere power-up e vite extra lungo la strada, ma anche così la sfida si dimostra estremamente difficile. Oltre all’impressionante quantità di nemici da affrontare e di ostacoli da evitare, al giocatore giunto fino al boss finale si
presenta la famosa beffa conclusiva: bisogna ricominciare tutto.

Si scopre infatti che il luogo dello scontro che dovrebbe porre fine all’avventura è in realtà illusorio, per cui tutto il viaggio fin lì compiuto è stato virtualmente inutile. Se con pazienza, dedizione, costanza e nervi saldi il giocatore riesce a rifare tutto da capo può stavolta giungere al lieto fine, che vede ovviamente l’eroe salvare (e quindi conquistare) la bella principessa. La trama ovviamente è inesistente, poiché l’unico scopo del gioco è sfidare i giocatori a fare del loro meglio, spingendoli ad ottenere punteggi quanto più possibile alti e, soprattutto, ad inserire sempre un altro “coin” nel cabinato del gioco, per riprovare ancora e ancora e ancora.

Se questa classifica esiste, probabilmente molto del merito è di Sir Arthur. Medaglia di bronzo stra meritata.

2) Cuphed, Studio MDHR, 2017

A cura di Leonardo Di Nino

Cuphead era il “nuovo Dark Souls”, nelle settimane in cui pullulavano i primi gameplay e i maldestri tentativi di superare persino il tutorial da parte di alcuni giornalisti. Nell’atteggiamento del web di ricondurre ogni fenomeno a qualcosa di già conosciuto, in un continuo e spesso sterile paragone, forse per una volta non eravamo così lontani. Senza dubbio se si potesse misurare il terrore e la frustrazione con una scala precisa non saremmo così lontani dagli incubi di casa From Software.

E se si volesse davvero forzare il paragone, il gioiellino di MDHR avrebbe più di qualche affinità con le opere di Hidetaka Miyazaki. Non, ovviamente, analogie superficiali tra due mondi videoludici quanto mai distanti, ma similitudini nel modus operandi. Cuphead ha infatti al centro del gameplay la boss battle, formula centrale del gioco in tutte le sue possibili variazioni. Rimangono al margine quelle poche parentesi run and gun, per quanto gustose e altrettanto spietate. Tremende battaglie con splendidi boss saranno il banco di prova del temerario giocatore che deciderà di sfidare il diavolo insieme alle due simpatiche tazzine.

Nessun patto col player, nessun compromesso. Tentativo dopo tentativo, affinerà le sue skill basate sul timing del parry e sullo shooting, e comprenderà gli schemi d’attacco dei nemici nelle loro varie fasi. Fasi scandite da quella retta con una bandierina che comparirà ad ogni fallimento, a farvi vedere quanto l’agognato traguardo fosse vicino.

Cuphead condivide con le opere di From Software la volontà di ferro di perseguire un’idea fino alla fine. Che sia di gioco, che sia di mero design: ancora, nessun compromesso. Artisticamente quindi Cuphead si rivolge ad un universo di personaggi presi in prestito da Disney (le gambe di Cuphead e Mugman non vi ricordano nessuno?) e dai fratelli Fleischer. Hanno così creato quella dissonanza così evidente e splendidamente realizzata per il giocatore che vedrà i protagonisti della propria infanzia trasformarsi in mostri senza alcuna pietà.

MDHR dimostra con Cuphead di poter creare un cult istantaneo, un gioco che è talmente classico e fuori dal tempo, e allo stesso tempo contemporaneo ed affascinante, da non poter essere considerato uno dei capolavori della scorsa generazione videoludica.

Autentico terrore dei videogiocatori moderni, delle nuove generazioni di masochisti che non hanno potuto per via della loro età conoscere la crudeltà dei cabinati. Cuphead non è probabilmente il gioco che si meritavano, ma è sicuramente quello di cui avevano bisogno.

1) La saga dei giochi From Software

A cura di Matteo Furina

Non poteva che essere loro in testa alla nostra classifica. Se nell’ultimo decennio è tornato prepotentemente in voga il topic riguardante la difficoltà nei videogiochi lo si deve principalmente al lavoro svolto da From Software. La casa giapponese con il suo Demon’s Souls (qui la nostra guida alle tendenze) ha lanciato sul mercato una serie di videogiochi contraddistinti da una curva di apprendimento decisamente elevata e una difficoltà di base, non modificabile, di livello alto.

In moltissimi si sono trovati a scontrarsi contro un muro fatto di nemici temibili, boss fortissimi (qui la nostra classifica dei migliori) e morti a ripetizione. Il fatto stesso di non poter mai mettere in pausa, di avere dei checkpoint rappresentati dai falò (o dalle lanterne di Bloodborne ça va sans dire) che una volta usati riportano in vita i nemici. Per non parlare del combat system arcigno nel quale bisogna sviluppare tempismo e skills per non soccombere contro pressoché chiunque e che spesso, ci porterà a ripetere la stessa porzione di mappa decine e decine di volte. Sono tutte meccaniche che rendono un Souls frustrante ma allo stesso tempo meraviglioso.

Questa tipologia di videogiochi ha portato nel tempo alla creazione di decine di cloni, i cosiddetti souls-like (qui uno dei nostri preferiti, The Surge), nei quali tutte le caratteristiche sopracitate sono presenti con decisamente poche varianti.

Nel corso degli anni From Software è riuscita a variare, uscire fuori dal percorso, portando i videogiocatori nel Giappone Feudale o in un incubo lovecraftiano, mantenendo sempre e comunque solide le basi che hanno reso le sue opere letteralmente leggendarie. Questi videogiochi si possono amare o odiare, niente vie di mezzo, niente compromessi.

Non sono loro che devono conquistare il giocatore, ma deve essere il giocatore che li conquista, passo dopo passo, morte dopo morte, imprecazione dopo imprecazione. La difficoltà elevata ad arte videoludica. La sconfitta e la morte trasformate in fedeli compagne; senza di loro è infatti impossibile giungere alla fine.

Alcuni combattimenti arrivano quasi a portare all’esasperazione del giocatore che comunque ascende all’Olimpo una volta completati. Re Senza Nome su tutti. Provare per credere.

Cosa ne pensate? Quali videogiochi mancano secondo voi nella nostra classifica? Fatecelo sapere nei commenti.

Continua a seguirci su La Scimmia Gioca, La Scimmia Fa!