The Killers: con Imploding the Mirage si completa la trasformazione

Imploding The Mirage è il sesto album in studio della rock band americana The Killers.

The Killers
The Killers nel video live di Land of the Free 2020
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Imploding the Mirage è il bambino numero 6 della grande famiglia The Killers.

A soli 3 anni dal suo predecessore, Wonderful Wonderful, i The Killers tengono fede alle promesse dei fan sfornando il loro ultimo lavoro con appena qualche mese di ritardo rispetto a quanto previsto (causa Covid). Ma dimenticatevi del ruggente indie-rock di Hot Fuss, del magnetico ritornello di Somebody Told Me e dell’aria malinconica di When You Were Young: con Imploding the Mirage i The Killers abbandonano la rabbia delle chitarre elettriche per abbracciare l’atmosfera onirica generata dai synth.

Se questo sia un bene o un male, non siamo in grado di dirlo. Ma sicuramente è il disco adatto per chi ancora si chiede quanto gli sfavillanti anni ’80 abbiano influenzato la musica di Brandon Flowers e soci.

Non c’è dubbio che la virata da un genere all’altro con Imploiding The Mirage sia (finalmente) netta.

L’album si estende su una decina di brani per poco meno di tre quarti d’ora di ascolto. L’allegra My Own Soul’s Warning fa da apripista al disco, rappresentandosi già da subito tra i brani più significativi. È la classica canzone “alla Killers”, con una spolverata di sintetizzatori in più e qualche sfumatura delle opere più pop del Boss Springsteen. Segue Blowback, il cui inizio rimanda prima alla sigla di Stranger Things e poi al Moog di Popcorn (ricordate il celebre brano degli anni ’70?). Blowback è veramente strano, con questa chitarrina che strizza l’occhio a You Can Go Your Own Way dei Fleetwod Mac. In realtà non è esattamente chiaro dove la canzone voglia andare a parare, sembra un rimando di un rimando, un déjà-vu nel déjà-vu che per quante cose ricorda, perde completamente di consistenza.

Segue, Dying Beed, brano squisitamente Killeriano. Peccato solo che il pezzo non decolli mai: l’inizio così incalzante sembra non riuscire a trovare una compiutezza su tutta la durata del brano, che comunque resta di piacevole ascolto e che i più fedeli fan dei The Killers sicuramente apprezzeranno. Caution è uno dei tre singoli estratti dall’album, trasmesso in heavy rotation da ormai 4 mesi in radio. Nel complesso è una canzonetta divertente, spensierata e senza troppe pretese, di quelle che se beccate per caso durante il tragitto casa-lavoro sicuramente non cambieremmo. Sarà perché l’abbiamo ascoltata così tante volte da avercela fatta piacere a forza.

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Nella seconda parte del disco, Flowers si trasforma: dalla rockstar a cui eravamo abituati, passa al più elettro-pop performer che abbiamo conosciuto negli ultimi anni della sua carriera.

E se Lighting Fields vi suona come qualcosa di già sentito, è perché ricorda così tante cose da avere l’impressione di conoscerla già a memoria. Fire in Bone, invece, è decisamente più di pregio: sarà che siamo figli di quella generazione che si emoziona più per il borbottio di un basso piuttosto che per gli stridii di una chitarra.

Passiamo a quello che secondo noi è il punto più alto del disco: Running Towards A Place. È indubbiamente la canzone più coerente all’intero spirito dell’album, e riesce ad essere viscerale e ponderata allo stesso tempo. Qui finalmente ritroviamo quella malinconica carica che tanto abbiamo apprezzato dei The Killers in passato, abbracciata ad una aria splendidamente anni ’80. L’album si chiude con tre brani che nel loro complesso sono piacevoli, ma anche poco incisivi: My God e When Dreams Run Away, che hanno un non so che di spirituale per via dei persistenti coretti al loro interno, e Imploiding The Mirage, che saluta il disco con quest’aria di immotivata positività che quasi ci dà fastidio.

“Ma quindi vi è piaciuto o non vi è piaciuto questo nuovo album dei The Killers?”

Dipende. Dallo spirito con cui si ascolta il disco, da quanto già amiate i The Killers, e da quanto apprezziate gli anni ’80. Onestamente non è che ci dispiaccia tutto questo saccheggiare da Man At Work, Depeche Mode, Talk Talk e altri colossi che hanno accompagnato con i loro intramontabili pezzi tutta una decade; ma gradiremmo di gran lunga un pizzico di originalità in più, giusto per non avere la continua impressione di ascoltare qualcosa di già conosciuto. O per non dare l’impressione di essere la brutta copia di qualcun altro.

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Tornando a noi, Imploiding The Mirage non è peggio dei suoi predecessori, ma nemmeno meglio. Si pone su un’insignificante via di mezzo. Si lascia ascoltare perché Flowers ha già dimostrato di essere più che capace di colpire nel segno quando si tratta di creare motivetti intriganti, ma nulla di più. E poi la perdita di Keuning si sente, ed è il motivo per cui Imploiding the Mirage è meno cupo e “heavy” rispetto classico suono dei The Killers. Nonostante i contributi alla chitarra di Lindsey Buckingham, l’ex chitarrista dei Fleetwood Mac, non abbiamo più lunghi strumenti rocciosi e assoli di chitarra. Questi sono stati sostituiti con melodie liriche più strettamente intrecciate e riff calmi, e questo nuovo sound ha inevitabilmente dato il via ad una nuova era per loro. Già la copertina dell’album, visivamente d’impatto, emana dei sentimenti di positività, speranza e luce, e tutto il disco è permeato da questa quasi divina pacatezza.

Tirando le somme..

..siamo sicuri che l’album spaccherà i fan in due fasce: ci sarà chi griderà al capolavoro, fregiando Imploiding The Mirage dell’appellativo di album sperimentale; qualcuno altro che, invece, si sentirà tradito da questa inaspettata (ma nemmeno troppo) nuova veste indossata dalla band di Las Vegas, che sancisce inevitabilmente la fine dei The Killers così come li avevamo conosciuti. Noi, per il momento, ci avvaliamo della facoltà di non rispondere. Ma con uno sguardo interrogativo verso il futuro.

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