Joker: analisi di una colonna sonora indimenticabile

La colonna sonora di Joker gioca una parte essenziale nella globalità dell'esperienza filmica.

Joker
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Joker non smette di far parlare di sé.

E se è lecito dubitare di essere davvero di fronte al film dell’anno, è indiscutibile quanto la sua fama lo preceda. Il modo in cui riesce ad essere divisivo, all’interno ad esempio delle opinioni della stessa Academy, contribuisce sicuramente a prolungare la sua notorietà. In ogni caso sarebbe opportuno eliminare qualsiasi chiacchiera sovrastrutturale, puntando all’essenza dell’oggetto filmico. Cosa che molti sembrano aver dimenticato, a giudicare dal tono scadente ed ipocrita di certe discussioni su Joker.

Ciò che rimane al netto del brusio è sicuramente un’opera di ottima fattura, che si fa forte di un’interpretazione che riscrive gli standard della recitazione e di un immaginario pop dal quale può attingere a piene mani. L’universo fumettistico è quindi una coordinata essenziale per analizzare la natura così ibrida di Joker, che però si muove con un ampio grado di indipendenza dagli albi e della mitologia originale.

Non solo nella costruzione di una storia totalmente inedita, ma anche nel modo in cui viene stratificata l’opera che, come ormai tutti hanno rilevato, ammicca ai drammi urbani della New Hollywood di Martin Scorsese. Avendo quindi i connotati di un film fortemente improntato all’autorialità, è altrettanto indispensabile analizzarlo in quanto esperienza audio-visiva. Ed il comparto sonoro-musicale, in Joker, riveste una funzione essenziale nella drammatizzazione della spirale di follia di Arthur Fleck.

Innanzitutto è indispensabile riconoscere tre categorie di “oggetti sonori” in Joker

Nel complesso, Joker fa uso di diversi elementi musicali. Per prima, la struggente ed espressionista colonna sonora firmata dalla prestigiosa penna di Hildur Guðnadóttir, musicista per Chernobyl e Soldado, e da lei stessa incisa al violoncello. A questa si contrappone, in un film che vive di tante dialettiche e contrasti, una selezione di canzoni che vanno dal rock di Gary Glitter alla splendida That’s Life di Frank Sinatra. Nella contrapposizione tra la luce di questi brani e l’oscurità elucubrante degli archi di Guðnadóttir, sulla densa partitura di Joker si proiettano le stesse scissioni che dividono Arthur Fleck dal pagliaccio che piange, i bassifondi criminali della società dalle sue vette che detengono il potere e la ricchezza.

joker joaquin

Bisogna considerare infine l’insieme del comparto sonoro, contributo essenziale alla caratterizzazione della vicenda. E di questo fa sicuramente parte la risata di Joaquin Phoenix, un gorgoglio primitivo senza la quale il film non sarebbe di certo stato lo stesso. E nemmeno lo stridio urbano della Gotham di Philipps sarebbe stata la stessa senza una maniacale attenzione alla costruzione di un paesaggio sonoro.

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Ed è nella stratificazione del sonoro che Joker svela un’attenzione davvero maniacale: un esempio su tutti. In una delle prime scene con Arthur e la madre possiamo analizzare due livelli sonori. Un primo piano, in cui ascoltiamo il dialogo tra Penny e il figlio, e sullo sfondo il telegiornale, dal quale apprendiamo esplicitamente di essere a Gotham. Polarizzando l’attenzione sullo scambio di battute dei due personaggi, la conferma di essere a Gotham passa quasi sotto-traccia. L’autore, anche attraverso questi accorgimenti, costruisce un simbolismo nel quale Gotham potrebbe essere qualsiasi città americana. E non sarà un caso se ciò avviene proprio attraverso la televisione, lo specchio sulla finzione e il catalizzatore della follia di Arthur.

L’ossessione per il programma di Murray Franklin è una direttrice fondamentale del film

Nel programma di Murray Arthur vede la sua realizzazione come stand-up comedian, e quando capirà che il suo idolo lo deride come tutti gli altri la trasformazione in Joker sarà ormai irreversibile. E la metamorfosi avviene sulle note di That’s Life, scelta drammaturgicamente perfetta. Il celebre brano di Sinatra è infatti la sigla di chiusura del Live with Murray Franklin, come possiamo ascoltare in diversi punti durante il film.

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Così nella sequenza in cui Arthur finalmente libera il suo policromo spirito criminale la musica svolge un ruolo di contrappunto. Siamo di fronte al compimento della progressione del personaggio, che in un certo senso si fonde con quel mondo al quale aspirava e nel quale in effetti farà il suo debutto pubblico come Joker. Tutto ciò ha inoltre il sapore di una soggettiva sonora: sembra di ascoltare, insieme ad Arthur, quel motivo che lo ha tormentato fino alla pazzia.

L’incontro con Gary e Randall, spannung dell’humour nero che attraversa tutto il film, raccorda questa sequenza con quella della fuga verso gli studi di registrazione. Prima di dover scappare dai poliziotti, Arthur-Joker può finalmente abbandonarsi a quella danza tanto ricercata durante tutto il film. Le sue movenze non possono che assecondare la gioia della morte: non esiste più il clown impacciato, ma solo un funambolico danzatore. “Quite an entrance!”, non potrà che dire Murray alla vista di quel pagliaccio ballerino. Così la discesa delle scale sulle note di Gary Glitter è sicuramente destinata a rimanere impressa nell’immaginario collettivo.

Joker

Per giustapposizione, subentra la musica di Hildur Guðnadóttir

Quando il ralenty sembra simboleggiare finalmente una sorta di equilibrio, i cupi violoncelli uniti agli stridori cittadini di Gotham tornano a scuotere gli animi. Il montaggio torna a farsi frenetico, per attaccare con rapidità un’inquadratura dietro l’altra; l’ultima fuga di Arthur non è di certo sui passi di un tip-tap. Da qui in poi, la tragedia è in caduta libera.

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Una tragedia di forma quasi circolare. Pur avendo una sua precisa ed ineluttabile traiettoria, alcune invenzioni audio-visive ricollegano la conclusione direttamente all’inizio. Il motivo che ascoltiamo nel titolo di testa, campeggiante su Arthur pestato e il suo fiore che piange, insiste su abbellimenti del do, concentrandosi in particolare sulla drammatica terza minore discendende mib-do. Allo stesso modo si conclude il film prima dell’epilogo ad Arkham. Le ultime due note del violoncello di Guðnadóttir sono proprio mib-do, capaci di celebrare la maestosa incoronazione di Joker a principe degli ultimi.

Joker

Simmetricamente, si possono notare analogie nelle scelte visive. La carrellata all’indietro su Arthur riverso nel vicolo dopo il pestaggio è identica al dolly che guarda, allontanandosi, Bruce Wayne in piedi a vegliare il cadavere dei genitori: una sottile citazione stilistica, forse, all’indimenticabile dolly all’indietro di The King of Comedy, che dipinge Rubert Pupkin davanti il suo pubblico fittizio. Così il film sembra coronare il discorso che ha intessuto intorno alla figura di Thomas Wayne e all’importante variazione narrativa che lo vorrebbe padre di Arthur, ripescando il mito direttamente dal fumetto. Batman e Joker figli della stessa matrice di violenza, azione e reazione dello stesso magmatico caos.

E qual è l’ultimo brano che ascoltiamo prima del sipario?

Ovviamente That’s Life, definitivamente assurto a leitmotiv della pazzia. Tutto ciò, sebbene solo una porzione di un’analisi che svelerebbe altre sottili corrispondenze, conferma l’innegabile valore artistico che caratterizza Joker. E sarebbe interessante poterlo davvero considerare come un film con tutte le sue implicazioni drammaturgiche, piuttosto che limitare le considerazioni a improbabili etichette cinecomic-istiche o ad assurde condanne per “vuotezza culturale”. Ma forse, semplicemente, non eravamo pronti.

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