Joker: la feroce denuncia al sistema USA e l’ipocrisia dei Critici Americani

Joker è un'opera di denuncia sociale con una profonda anima riottosa ma parte della critica americana ha accolto il film con un atteggiamento alquanto discutibile. Ve ne parliamo in questo articolo tramite un'analisi dei temi affrontati dal film

Joker
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Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto un’analisi di Joker che poneva l’accento sui numerosi parallelismi con le storie cartacee. In aggiunta, ci siamo permessi di suggerire una piccola spiegazione del finale sempre servendoci del contesto della nona arte.

Oggi, invece, vorremmo parlarvi della vocazione sociale e riottosa dell’opera di Todd Philips. Inoltre, cercheremo di capire le ragioni della spropositata e contraddittoria risposta reazionaria di una parte della critica specializzata americana, che con un discutibile atteggiamento conservatore e perbenista, sembra essersi arroccata a difesa di qualcosa di cui ci sfugge la natura, o meglio, ci sfugge il senso vero e proprio della reazione visto che le politiche reali dello Zio Sam sono molto più violente e discriminatorie di quelle viste nel film con protagonista Joaquin Phoenix.

Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri! Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta. Ecco tutta la distanza che c’è tra me e il mondo. Una brutta giornata” (The Killing Joke)
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La brutta giornata di Arthur Fleck è figlia di due punti di rottura, che riescono a tranciare quel sottile filo di sanità mentale che ancora esisteva (resisteva?) nel protagonista. La prima crisi è rappresentata efficacemente dall’acquisizione di una pistola. Metaforicamente, quest’ultima dona al vessato di turno una roccaforte in cui rifugiarsi, un bastione in cui difendersi. La pistola fa assaporare un illusorio potere, che paradossalmente, però, non dona al portatore una vera sicurezza ma un’ulteriore vulnerabilità. La follia parte da una pallottola sparata per legittima difesa condannando Arthur a una strada da cui non c’è via d’uscita. Quest’ultime – le vie d’uscita – sono agognate da tutti ma ancor di più dai disperati, che ne anelano l’esistenza, ne anticipano l’arrivo, spesso, svelandone la loro natura “facile”, “comoda”.

La via più semplice è spesso una trappola da cui non si può fuggire e Arthur ne farà le spese. Ma certamente non è solo colpa di chi riceve e acquisisce ma anche di chi dà, e qui troviamo la prima critica importante al sistema statunitense, che spesso regala facili vie di fughe a buon prezzo attraverso il folle e permissivo mercato delle armi. Arthur è un uomo che ha bisogno d’aiuto, è esposto al pericolo di essere schiacciato e la risposta della “società” è di “regalargli” una pistola. La fiamma è vicino alla miccia, che si accende e consuma senza soluzione di continuità.

Unica speranza rimasta al futuro Joker è l’assistenza sanitaria che gli permette di poter parlare con specialisti e di accedere a medicinali altrimenti inaccessibili a un modesto cittadino come lui. L’aiuto sanitario statale è la classica “via più difficile”, quella in cui sia chi dà che chi riceve deve mettere tutto se stesso per poter assaporarne i risultati. Tale metodo è un patto tra le due parti, un impegno umano, sociale e morale che vincola e rassicura. Purtroppo, e qui siamo nell’ambito della seconda critica che l’opera apporta al sistema americano, il servizio statale chiude i battenti per mancanza di fondi. Le parole dell’ assistente sociale appaiono come una verità e una condanna allo stesso tempo: “a nessuno di loro importa nulla delle persone come te e in realtà neppure delle persone come me”.

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La paralisi è totalizzante, pervasiva e lascia nelle mani del vessato poco e nulla. Ma siamo in America, quindi ad Arthur resta poco, nulla e… una pistola. Il dado è tratto, la strada verso la distruzione spianata, e la colpa è di entrambe le parti ma la bilancia delle responsabilità sembra pendere maggiormente dal lato della collettività, esempio fulgido di mala organizzazione e indifferenza verso il prossimo.

Joker: La critica americana senza vergogna

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Molto probabilmente, proprio queste due feroci e spietate critiche hanno fatto sentire con “le spalle al muro” parte dell’establishment americano, sia politico che intellettuale. A spiccare per faziosità e bispensiero (ricordate 1984?) è sicuramente una parte dei critici cinematografici a stelle e strisce. Riteniamo imbarazzanti alcune motivazioni che apportano quest’ultimi nel bocciare Joker. Argomentazioni pervase da uno spirito di contraddizione fastidioso e palesemente “guidato” da linee politiche e ideologiche.

Parte della critica guarda il dito ed ignora la luna. Per farvi fare un’idea, ecco un link da cui potete attingere e trarre le vostre personalissime conclusioni. Quasi la metà delle recensioni apparse su riviste e quotidiani statunitensi sono obiettivamente ingenerose nei confronti dell’opera; fioccano i due, i tre e le insufficienze sono quasi il cinquanta percento del totale della produzione critica. Lungi da noi stabilire se Joker è un capolavoro o meno – attività alquanto sterile e priva di spessore intellettuale – bisogna dire che ritroviamo in queste considerazioni un sottotesto composto da ideologie pilotate dallo status quo che vige negli Stati Uniti e conclusioni ingenerose figlie di una lettura a nostro parere fazionaria e disonesta. Non contestiamo assolutamente la libertà di pensiero che porta a dire se un’opera piaccia o meno, ma voti così bassi e critiche così avvelenate ci sembrano davvero lontane dalla realtà.

Buona parte delle recensioni negative tendono a sminuire la portata della critica sociale mossa dal film, accusandola di essere prevedibile, superficiale e facendo leva sull’ovviamente discutibile e condannabile reazione del protagonista. Ma, come abbiamo scritto sopra, tale atteggiamento si traduce nel dare un’analisi del dito e non della luna.

La domanda da porsi non è quanto sia pericolosa e incondivisibile la reazione di Arthur ma cosa abbia ispirato il regista a raccontare una storia del genere portandola a conclusioni estreme che, come ovvio che sia, ripetiamo se ce ne fosse il bisogno, ci auguriamo non vengano mai emulate. Ciò, però, non ci esenta dal dover analizzare la luna, ovvero le motivazioni che possono portare una persona a scatenare il caos rigurgitando l’inferno che si porta dentro. Il sapere il perché si sia arrivati ad una reazione estremamente violenta dovrebbe interessare tanto quanto le conseguenze di quest’ultima.

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The Guardian etichetta Joker come “noioso” proprio per la sua pretesa di andare a scavare in situazioni realistiche che coinvolgono la nostra società apportando, goffamente, un paragone con il Joker di Heat Ledger considerato meno pretenzioso nel far emergere le contraddizioni del mondo. Ovviamente, sbagliando; poiché, seppur più celate, le critiche mosse dal Joker di Phoenix sono molto vicine in un certo senso a quelle mostrate nell’opera di Christopher Nolan.

Altro denominatore comune a queste opinioni, come detto, è la presunta superficialità attribuita al film. Dove sarebbe questa superficialità? La critica spietata alla larga diffusione delle armi e alla cattiva, per non dire criminale, gestione del sistema sanitario non ci appare affatto superficiale, anzi, l’insofferenza per queste problematiche mostrata nel film ci sembra davvero genuina e calzante. Che le testate americane citate stiano cercando di nascondere la polvere sotto il tappeto? Dobbiamo davvero credere, come Thank you for Smoking insegna, che la classe politica e intellettuale americana sia spesso guidata dagli interessi lobbistici? Queste recensioni ce lo fanno credere. O la paura della reazione violenta – quella della popolazione di Gotham, intendiamoci, non quella di Arthur – ha portato in maniera forzata a sminuire la critica sociale del film? Qui siamo nel campo della distopia, o almeno ce lo auguriamo.

Il New York Times fa ancora meglio, si chiede se Philips ci stia prendendo in giro poiché reo di aver portato su schermo una storia vuota piena zeppa di filosofia di seconda mano. Il recensore conclude definendolo un esempio di pura anarchia, dimostrando neppure di sapere cosa sia realmente il movimento politico che vuole andare a citare. Insomma, articoli vuoti atti a nascondere la profonda sofferenza sociale di cui il film, in parte, si fa portavoce. In queste recensioni c’è un evidente bisogno di sminuire l’opera, di renderla piccola, di cancellarla se è possibile, proprio come vorrebbe il The New Yorker.

Questo atteggiamento ci appare un’occasione sprecata da parte dei critici americani. La possibilità di riportare al centro del dibattito problematiche ataviche e rese più aspre dalla presidenza Trump è stata buttata al vento. Purtroppo sembra non bastino le opinioni positive – che rappresentano l’altra faccia della medaglia- poiché, come non mai, in questo caso sembrava necessario una comunanza di intenti e opinioni, atte a costruire un dibattito intorno al film prolifico e utile. Un dibattito necessario a dar ancora più forza alla disperazione mostrata nel film che, per quanto se ne dica, è molto più reale e attuale di quello che si pensi. Parlare, discutere, aiutare evitando di ridicolizzare e sminuire ci sembra sia l’unica via per evitare emulazioni. Da far in modo così di non sentire mai più di cinema blindati e di sale circondate da poliziotti.

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