Marcello Fonte – Il volto di Dogman

La storia di Marcello Fonte, miglior attore a Cannes per Dogman.

Marcello Fonte
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Marcello Fonte nasce a Melito di Porto Salvo, il comune più a sud di tutta l’Italia continentale.

Vive la sua giovinezza ad Archi, uno dei quartieri più periferici e problematici di Reggio Calabria. Qui tra baracche e lamiere, sin da giovanissimo, inizia a sognare un futuro diverso. A 10 anni impara a suonare il rullante nella banda musicale cittadina e inizia poi a frequentare il gruppo scout locale. Nel 1999 Marcello decide di trasferirsi a Roma e si barcamena tra un lavoretto e l’altro per riuscire a sbarcare il lunario. Diventa custode del Teatro Valle, lavora al Cinema Palazzo.

Su consiglio del fratello, che lavora come scenografo, si avvicina al mondo del cinema.

Sui set romani riesce sempre in qualche modo a rimediare un cestino del pranzo, rendendosi utile come tuttofare, arrivando a fare anche qualche piccola comparsa televisiva e cinematografica. Lo vediamo infatti in Don Matteo, ne La mafia uccide solo d’estate, in film come La setta dei dannati, Concorrenza sleale e Corpo celeste di Alice Rohrwacher (anche lei premiata quest’anno a Cannes per il suo ultimo film, Lazzaro Felice).

Compare addirittura in Gangs of New York di Martin Scorsese e conserva dell’esperienza un ricordo vivissimo, documentato da una foto molto particolare.

Nonostante fosse vietato fare foto sul set, Marcello tira fuori l’apparecchio e si fa scattare una foto accanto a Leonardo DiCaprio. Non sapeva che per farsi immortalare aveva messo la sua macchinetta in mano ad un certo Daniel Day-Lewis.

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Marcello Fonte

Un’aurea di ingenuità e di dolcezza sembra accompagnarlo sempre e lo ha accompagnato anche sul palco del Festival del Cinema di Cannes, ritirando la palma d’oro per il Prix d’interprétation masculine vinta per la sua interpretazione in Dogman di Matteo Garrone. La sua interpretazione ha convinto sia pubblico che critica, ha riempito di umanità quella che si presentava come una terribile storia di degrado e di sopraffazione. Dal canto suo il regista ha tenuto più volte a specificare che il film è solo inspirato al raccapricciante fatto di cronaca del Canaro della Magliana, con la pellicola non intendeva ripercorrere e riproporre fedelmente l’accaduto.

Marcello, che si chiama Marcello anche in Dogman, interpreta un uomo molto mite, un padre premuroso, dedito al suo lavoro di tolettatore per cani.

È molto ben voluto nel suo quartiere, quartiere di una periferia romana che diventa la periferia per eccellenza, una periferia universale, con i suoi spazi immensi e squallidi, nello scorrere del tempo sempre uguale a sé stesso.

Questo ordine quasi metafisico è turbato da Simone, attaccabrighe, ex-pugile e deliquente, dedito a furti e risse (personaggio interpretato da un magistrale Edoardo Pesce, radicalmente cambiato nell’aspetto). Marcello per arrotondare spaccia e questo porta i due a stringere moltissimo il loro rapporto. Simone purtroppo però risulta ben presto incontrollabile, diventa una figura temuta e disprezzata da tutti gli abitanti del quartiere. Mentre tutti sono tranquilli nel solito locale, punto di riferimento del quartiere, il pugile inizia a tirare calci e pugni contro una slot machine elettronica, uno dei giochi più diffusi nelle sale da gioco di tutto il mondo, fino a distruggerla completamente con forza cieca. Il primo dei tanti suoi continui episodi di rabbia, che si trasformano poi in veri gesti di continua sopraffazione.Marcello Fonte

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A rimetterci è sempre Marcello, che si trova prigioniero di un rapporto distorto, tossico e opprimente.

Le dinamiche che si creano diventano mano, mano sempre più logoranti ed esasperanti. La figlia di Marcello e l’amore del tolettatore per gli animali portano nel film dei piccoli raggi di sole; ma Simone è sempre lì ad incombere con tutta la sua violenza, estesa ad ogni piano della sua relazione con Marcello.

Marcello Fonte riesce a regalarci un personaggio dolce, ingenuo, tanto nell’essere vittima che nel trasformarsi in carnefice. Dogman ci fa tornare alle psicologie del Garrone de L’Imbalsamatore, ci rassicura del fatto che il regista è tornato sui suoi passi dopo l’esperimento (non troppo riuscito) del Racconto dei Racconti e ce lo conferma come uno dei migliori cineasti del cinema italiano dei nostri tempi.