Stronger – La recensione in anteprima

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STRONGER – LA RECENSIONE

Il 15 aprile 2013 Boston è stata vittima di un grave attentato terroristico avvenuto durante l’annuale maratona: due bombe artigianali furono fatte esplodere tra la folla in due occasioni distinte, causando 3 morti e 264 feriti. Ha suscitato particolare clamore la storia di Jeff Bauman, ventottenne che riportò l’amputazione di entrambe le gambe in seguito all’attentato, il quale fornì la descrizione di uno dei terroristi collaborando alla sua cattura. Questa storia ci viene raccontata da David Gordon Green nel film Stronger, in cui Bauman è impersonato da Jake Gyllenhaal.

 

Il film si apre mostrandoci la vita di Jeff Bauman con le gambe. Jeff è un ragazzo come tanti con poche ambizioni nella vita ma caratterizzato da un irriducibile entusiasmo; si accontenta di un modesto lavoretto in un supermarket ed è ancora succube della madre, la quale ha problemi di alcolismo e lo considera ancora come un bambino. E’ pazzo della sua ex ragazza Erin, che tenta assiduamente di riconquistare dopo la loro terza rottura, e alla quale promette il suo sostegno alla maratona che questa correrà per raccoglier fondi per l’ospedale. Il rapporto turbolento tra i due che viene delineato nell’incipit lascia ben sperare in svolte interessanti; purtroppo, a seguito della fatalità e del periodo di degenza, ci si accorge progressivamente che il film stenta a coinvolgere e ad emozionare come ci si poteva aspettare.

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David Gordon Green firma un’altra opera nello stile che sembra prediligere: un lavoro formalmente corretto ma che non riesce a dar vita a un solo momento di grande cinema.

Noi capiamo a grandi linee chi è Jeff: si tratta di una persona qualsiasi che si ritrova suo malgrado ad essere considerato un eroe, e deve affrotarne le conseguenze. Lo vediamo alle prese con tutte le difficoltà comportate dal suo handicap, con le persone che scandiranno il suo percorso, e con la sua singolare famiglia che non si dimostra all’altezza di dare pieno sostegno psicologico al figlio in un periodo della sua vita così delicato. Jeff lotterà con tutte le sue forze, cederà allo sconforto, si rialzerà più forte di prima. Il problema è che il film offre pochissimi spunti di riflessione che non siano visti e rivisti su questo tema, limitandosi a costituire un freddo susseguirsi di tutte le fasi della convalescenza di Jeff senza condurci per mano all’interno della sua psiche. Osserviamo dall’esterno il volto apatico di Jeff e vorremmo sapere cosa sta accadendo dentro di lui, ma è come se egli tenti costantemente di respingerci.

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STRONGER LA RECENSIONE – La recitazione appare da subito di alto livello: Gyllenhaal dona un’altra prova di mimesi completa col suo personaggio, e lo stesso si può dire della bravissima coprotagonista femminile Tatiana Maslany. Ma a sostenerli non trovano una regia adatta a valorizzare le loro interpretazioni o dialoghi particolarmente ispirati, facendo venir meno a tratti l’interesse per il protagonista o la comprensione del suo percorso psicologico. Il regista punta spesso sull’uso delle inquadrature fisse, ma le volte in cui esse trovano simbiosi completa con lo specchio emozionale dei personaggi sono saltuarie e casuali.

Se dai personaggi riesce a trasparire una sufficiente quantità di fascino, il merito è da attribuire enormemente ai loro interpreti, che tirano fuori il massimo delle potenzialità da ciò che hanno a disposizione. Si denota infatti una certa superficialità nelle caratterizzazioni, specialmente in quelle della famiglia di Jeff. E’ ammirevole il lavoro di Miranda Richardson che interpreta ottimamente l’invadente madre di Jeff, la quale dona discreta profondità psicologica a un personaggio che poco si allontana da tutte le convenzioni del genere. A far storcere il naso è anche la presenza di due scene troppo analoghe a quelle di altri film usciti in anni recenti, ovvero American Sniper e Moonlight, non possedendo tuttavia la loro carica emozionale.

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Ma più di ogni altra cosa, il film è penalizzato dalla colonna sonora estremamente sbagliata, fuori luogo ed invadente.

Questa è presente quasi in ogni scena e spesso impedisce allo spettatore di assorbire le atmosfere e di entrare in empatia con il protagonista. Tant’è vero che le poche scene in cui è assente, come quella del colloquio di Jeff con il suo salvatore, alla fine sono quelle che riescono a raggiungere il maggior livello di intensità.

Di rara bruttezza estetica la scena del flashback relativo ai secondi immediatamente successivi all’esplosione, in cui la rozzezza della combinazione tra regia, fotografia ed effetti visivi denota il budget relativamente basso del film. Molto realistica invece la simulazione della mancanza delle gambe di Jeff, realizzata tramite un mix di make-up ed effetti visivi.

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Jake Gyllenhaal assieme al vero Jeff Bauman.

Stronger è un film che possiede la sua buona parte di pregi, uno su tutti le due interpretazioni centrali assolutamente degne di attenzione ed in grado di reggere buona parte del film sulle loro spalle. Ma forse, per un film di questo genere era opportuno uno sforzo produttivo di maggior portata e un regista più a suo agio col materiale, perché si ha l’impressione di assistere a un film sì nobile negli intenti, ma di sciatta esecuzione e che poteva fare molto di più per guadagnarsi un posto speciale nel cuore dello spettatore. Spiace per Gyllenhaal che dovrà rimanere a secco anche quest’anno, ma sicuramente le occasioni per rifarsi non mancheranno.