Pop kills your soul – Il pop che uccide l’anima di Manuel Agnelli

Manuel Agnelli è uno degli esponenti più importanti della musica indipendente italiana. Ricopre però anche la carica di giudice di X Factor da 2 anni.
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“Pop kills your soul

Just like everything else does”.

È il 1993 e un giovane Manuel Agnelli canta il pop che uccide l’anima nel disco che si intitola proprio Pop kills your soul.

Il pop non è necessariamente un nemico, ma come ogni altra cosa, entra a far parte della quotidianità e gradualmente ci consuma.

Gli Afterhours sono una realtà originale e alternativa. La band è nata nel 1986 dall’iniziativa dello stesso Agnelli, un giovane musicista intraprendente, influenzato dalla cultura punk e dalla musica post-punk, che nel 1989 contribuisce alla fondazione dell’etichetta Vox Pop, divenuta per alcuni anni punto di riferimento per la musica indipendente italiana.

Manuel Agnelli e i suoi inizialmente scrivono brani in inglese, ma non sono la classica band che si limita ad imitare le tendenze musicali anglosassoni. Loro sperimentano, mutano, si evolvono in continuazione.

Oltre ai Velvet Underground di Lou Reed, citati anche nel nome della band, sono molti gli artisti che ispirano i suoni degli Afterhours in quegli anni: Joy Division, Television, King Crimson e infine i Nirvana di Kurt Cobain.

I geniali progetti che sono tutti uguali

Ed i geniali discorsi diventano banali”.

afterhours Sono passati quasi venticinque anni e Agnelli è diventato un punto di riferimento per la musica indipendente italiana. È però anche al secondo anno consecutivo da giudice di X Factor.

A tutti i fan che lo seguono da anni la domanda sorge spontanea: 

Che cosa spinge un musicista affermato, simbolo di un rock alternativo e di un’indipendenza musicale che oggi sembrano più che mai affievolirsi, a diventare un personaggio televisivo?

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Come molti avranno notato, si tratta della medesima domanda che si sono posti decine di volte i fan di quel Morgan dei Bluvertigo, che da ormai più di un decennio ha iniziato una danza tra talent show (da X Factor ad Amici, alla aspra critica dei talent), salotti televisivi e dichiarazioni shock, che con la musica hanno ben poco a che fare.

“Se c’è una cosa che è immorale

È la banalità”.

In entrambi i casi in questione la risposta più scontata sarebbe ovviamente il denaro.

La tentazione di un guadagno extra, considerando anche la condizione di precarietà dei musicisti italiani, potrebbe certamente essere una spiegazione plausibile.

È evidente però che, dopo trent’anni di successi con gli Afterhours, questa spiegazione economica non sia sufficiente a giustificare la partecipazione di Agnelli per due anni consecutivi alla trasmissione di Sky.

Una motivazione la si può invece trovare proprio in quella continua mutevolezza e voglia di sperimentare che ha sempre caratterizzato il musicista milanese. È possibile che Agnelli creda veramente di poter comunicare qualcosa e di poter fare musica vera dentro ai talent.

“Così se vuoi cambiare,

Invece resti uguale per l’eternità”.

AgnelliManuel è un ottimo musicista, ha una cultura musicale invidiabile e non si può certo paragonare per qualità dei contenuti proposti a molti dei giudici che si sono alternati su quelle poltrone nel corso del tempo (tra i tanti citiamo Simona Ventura, Anna Tatangelo, Arisa, Álvaro Soler e Fedez).

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Il problema è però che quel format ha un’incoerenza di fondo che nessun giudice, né Agnelli, né Morgan, né Elio potrà mai colmare.

E non si tratta soltanto del fatto che tra le decine di partecipanti alle dirette Tv, che cumulandoli hanno ormai superato le centinaia, si possano contare sulle dita di una mano quelli che sono poi stati in grado di costruire una carriera. Questo, come ha recentemente spiegato Agnelli, non dipende direttamente dalla trasmissione. Dipende piuttosto dall’inadeguatezza di discografici, manager e promoter, oltre che ovviamente dalla mancanza di idee originali da parte dell’artista stesso.

“E la grandezza della mia morale,

È proporzionale al mio successo”.

Il problema sta invece alla base. Il talent è un prodotto televisivo costruito in modo eccellente per intrattenere, ma non per comunicare veramente qualcosa.

La musica può avere una componente di intrattenimento, ma per arrivare e durare nel tempo dovrebbe avere qualcosa in più, qualcosa da dire.

Il successo nei talent show diventa punto di partenza e punto d’arrivo per i presunti futuri artisti. Il grande pubblico e i giudici in studio decidono chi va avanti e chi no, decidono chi ha il famigerato X Factor, ma nessuno sembra più accorgersi che in mezzo a tutto quello spettacolo fatto di confessionali, di trucco esagerato, di vestiti strani e di cover mal reinterpretate, quel qualcosa in più, quel misterioso fattore artistico è proprio il grande assente.