In una delle ultime puntate del suo Twin Peaks, David Lynch ha voluto ricordarci che l’agente dell’FBI da lui stesso interpretato nella serie, Gordon Cole, prende il nome da un fantomatico personaggio di Sunset Boulevard, capolavoro del 1950 firmato da Billy Wilder e che figura nella lista dei film preferiti dallo stesso Lynch.
Un omaggio alla Hollywood classica che fornisce un buon pretesto, a chi non ha ancora visto il film, per tornare indietro di ben 67 anni fa.
La trama è infatti molto semplice: Joe Gillis (William Holden) è uno sceneggiatore cinematografico in crisi professionale che, per sfuggire ai suoi creditori, si ritrova nella decadente e lugubre villa di Norma Desmond (Gloria Swanson), grande attrice del passato che vive rinchiusa nel ricordo di una popolarità ormai sfumata. Per convenienza, Joe inizia a convivere con la ricca donna che, viceversa, vuole sfruttare lo sceneggiatore per rilanciarsi. Due personalità al tramonto che provano a risorgere, inutilmente. La semplicità della trama è inoltre sostenuta da una struttura narrativa che la rende di immediata lettura: attraverso l’espediente di un flashback impossibile, in quanto ricordo di un morto narrato da un morto, il pubblico sa già da subito come andrà a finire la storia. Un film che inizia col suo spoiler: un po’ alla Nolan, si direbbe, ma senza quei colpi di scena cervellotici che tengono il pubblico in sospeso fino all’ultimo.
Tuttavia, nonostante l’apparente semplicità, Viale del tramonto è costantemente annoverato dalla critica come uno dei capisaldi del cinema moderno. La grandezza del film di Wilder, che può sfuggire al pubblico contemporaneo educato da altri canoni, può essere compresa ed apprezzata a pieno solo se lo si contestualizza nella storia del cinema, di cui rappresenta un pietra miliare. Spesso etichettato come film noir, da Viale del tramonto non ci si deve aspettare il brivido horror o il colpo di scena: non c’erano le possibilità tecniche di oggi, ma nemmeno la volontà. Nonostante la barocca, lugubre e spettrale fotografia che pure trasmette un senso di inquietudine rafforzato da elementi misteriosi come il funerale della scimmia e le tattiche del maggiordomo volte a ‘sequestrare’ Joe nella decadente villa, il punto di forza del film sta nell’aver portato la riflessione meta-cinematografica, sino ad allora relegata al cinema d’essai e di nicchia, direttamente nella grande industria cinematografica di Hollywood.
Tutti i protagonisti principali di Sunset Boulevard, infatti, sono lavoratori del cinema, nel più dei casi interpretati da persone che contavano effettivamente un passato nel mondo dello spettacolo. Così Joe, sceneggiatore in crisi; così Norma, attrice in declino interpretata da Gloria Swanson che fu davvero diva del cinema muto negli anni ’10; così il suo maggiordomo ed ex marito, interpretato dal vecchio regista Erich von Stroheim; così Buster Keaton e Cecil B. De Mill, nei panni di loro stessi. Tutti i personaggi trasmettono un’idea di decadenza e una sensazione di difficoltà, dipingendo uno scenario di crisi che, celato dietro i fasti del grande schermo, viene finalmente rivelato quale parte integrante dello star-system. Persino con il fantomatico Gordon Cole, funzionario della Paramount Pictures che non compare nel film se non come voce telefonica interessata al noleggio dell’auto di Norma, Wilder ci ricorda quanto l’utilitarismo sia alla base delle relazioni lavorative in un ambito apparentemente spensierato come quello dello spettacolo. Altro elemento di notevole interesse è poi l’ambiguità tra finzione e realtà, esemplificata alla perfezione dalla scena finale, in cui Norma finalmente vive il suo film, pur essendo solo un espediente per trascinarla via.
Sunset Boulevard è dunque una parabola sul cinema – quel cinema che, nelle parole della protagonista “è diventato piccolo” – e sulle persone che ci lavorano. Parabola intesa come storia narrata ma anche come traiettoria discendente: come il sole nel cielo, l’uomo del cinema sorge, arriva al culmine della popolarità, e poi discende fino al tramonto, cadendo nell’oblio delle tenebre. Si tratta di una riflessione approfondita, magistralmente architettata ed interpretata, sulla società dello spettacolo, ben 17 anni prima che tale espressione venisse resa celebre dall’omonimo saggio di un filosofo e sovversivo cineasta francese, Guy Debord.
Viale del tramonto è un esempio di cinema che riflette su se stesso, piuttosto che sullo spettatore e sui modi per impressionarlo. Consigliatissimo, ma solo se si cerca altro rispetto al puro intrattenimento.