The Blind King, la recensione

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La crisi contenutistica e stilistica dell’horror sta abbracciando il cinema intero, sempre più incapace di sfornare prodotti di qualità che appaiono rari e comunque suddivisi nel filone à la James Wan o in quello più “indie” basato su macabre atmosfere che toccano l’horror psicologico. Da un lato la saga Insidious, dall’altro i vari The VVitch o It Follows. Film che molto probabilmente non avrebbero avuto alcun tipo di riuscita nel periodo d’oro del cinema di genere ma che ad oggi risultano prodotti di qualità più o meno alta.

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In questo povero contesto, si inserisce una piccola perla del cinema italiano uscita in direct to video da pochissimi giorni. “The Blind King“, secondo film di Raffaele Picchio, già regista del falcidiato Morituris. Picchio abbandona l’eccessiva violenza, i legionari romani zombie e le torture in ogni dove, spostando il suo interesse in un horror dal profondo carattere psicologico che ricorda moltissimo il capolavoro australiano Babadook.
Craig è un aspirante regista sull’orlo del fallimento, vedovo da poco, che si trasferisce in una casa in aperta campagna con la figlia Jennifer, affetta da afasia a causa di uno shock legato alla tragica morte della madre. Il rapporto tra i due appare sin da subito compromesso, soprattutto a causa della condizione mentale in cui versa il padre, continuamente vessato dai sensi di colpa e dalla paura di perdere anche sua figlia e da sogni fin troppo reali caratterizzati da un’oscura presenza che sembra voler prendersi la piccola Jennifer, come ci viene mostrato dalla meravigliosa prima sequenza onirica che darà il La allo scioglimento dell’intreccio.

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The Blind King” è un film sulla paura, sul terrore che abbiamo del vuoto, l’horror vacui. Il vuoto in cui Craig teme di entrare e che genera in lui incubi costanti che altro non faranno se non aumetare la paura di perdere ciò che gli è rimasto di più caro. Gli incubi diventano così la manifestazione delle sue paure latenti ed irrazionali, il cieco rimorso che accompagna la sua vita e che gli fa percepire sé stesso come artefice di una vita di stenti. L’onirico ingloba la realtà come se nulla fosse, espediente ottimo per far estraniare lo spettatore e metterlo nella stessa condizione del protagonista. La paura non viene mai palesata ma fatta percepire, fino al geniale plot twist finale che accompagnerà Craig in un percorso di espiazione che farà rimanere di stucco. Nonostante alcuni errori banali, Picchio riprende le atmosfere tanto care all’horror di oggi e dirige un film molto buono, seppur dalla trama non propriamente originale ma che riesce ad interessare ed inquietare grazie a ritmi ben orchestrati ma soprattutto grazie alla volontà di scavare nei meandri più nascosti della mente umana, l’Es freudiano presente in ognuno di noi che gira nell’inconscio dominando l’Io e senza mai sublimare. Un horror di atmosfere che trascina lo spettatore nella cieca follia insita nell’essere umano.
Piccola nota: il film è stato girato in lingua inglese e risente moltissimo del mediocre doppiaggio italiano. La lingua originale è necessaria per addentrarsi a pieno nel regno del Re Cieco.

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