Ne hanno parlato in tanti per tanto tempo, ancor prima del suo debutto: Jackie, film di Pablo Larraìn con Natalie Portman nei panni della protagonista, la moglie del Presidente John Fitzgerald Kennedy, aveva tutte le carte per diventare un film e un’interpretazione memorabile. Ma, c’è un ma: dopo essermi occupata per tanto tempo sul piano accademico della storia di John Kennedy e di Jacqueline, sapevo di poter vivere quel film in modo straordinariamente inedito.
Jackie – recensione con spoiler
L’interpretazione di Natalie Portman è stata magistrale: aveva alle spalle molte attrici (tra cui Katie Holmes) che si erano calate nei panni di una delle più ammirate first ladies d’America, e la sua responsabilità era inimmaginabile. Nonostante ciò, è riuscita a pieno a cogliere ogni sfaccettatura del dolore che Jacqueline Kennedy provò quando il marito venne brutalmente assassinato a Dallas, durante il corteo presidenziale. Dall’espressività alle parole utilizzate, la scelta di un determinato stile composto e aggraziato, tipico della personalità di Jackie Kennedy: tutto ciò davanti agli occhi di un cinefilo onesto può essere sufficiente per considerare questo film biografico piuttosto ben riuscito.
E qui scatta il mio parere, l’opinione di una studentessa che ha dedicato due tesi a Kennedy, al suo assassinio e all’impeccabile stile e attenzione artistica della moglie. Un voto più che positivo per la scelta dei costumi, tutti perfetti e esatte copie degli abiti utilizzati dai reali personaggi storici in quei delicati momenti, da quelli più felici del documentario alla Casa Bianca girato dalla CBS, al corteo funebre che ha accompagnato John Kennedy al riposo eterno. Una critica piuttosto dura invece è legata ai dettagli di stampo storico: un regista come Larraìn ha abbracciato l’intenzione audace di ripercorrere la parte più delicata e importante della vita di Jacqueline Kennedy Onassis, icona di stile e di grazia del secolo scorso. Missione che implica attenzione ai particolari e estrema precisione storica, che spesso nel corso del film è venuta a mancare. Come molti spettatori avranno notato, alcune scene del corteo funebre presidenziale sono le originali, trasmesse in diretta mondiale il 25 novembre 1963: alla storia è passata la scena in cui Jacqueline Kennedy scende le scale tenendo per mano i due figli, Caroline e John jr. Quest’ultimo si stacca provvisoriamente dalla madre per rendere omaggio al padre col saluto militare: i fotogrammi del piccolo Kennedy sono ancora noti e conosciuti in tutto il mondo. Una scena del genere, il regista Larraìn ha ben pensato di modificarla irreparabilmente, ed in modo imperdonabile: nel film a scendere le scale è solo Jackie, seguita dal fratello del Presidente, Robert Kennedy. Ad un occhio meno esperto questa scena è sicuramente risultata ugualmente toccante, ma personalmente la ritengo una grave mancanza: in un film biografico molto attento ad alcuni particolari non possono essere accettate imprecisioni, volute o meno.
La seconda piccola distrazione che porta in sé intensità storica e sentimentale riguarda il simbolo del matrimonio tra Jackie e John Kennedy: la fede nuziale della first lady non rimane al suo dito per molto, dopo l’assassinio del marito. Jacqueline la tolse mettendola nel dito del marito prima che venisse chiuso nella bara e portato al Bethesda Hospital per l’autopsia; nel film, Larraìn fa togliere la fede a Natalie Portman più tardi, e i tempi naturalmente non corrispondono per nulla. Certamente si tratta di una recensione pignola, se volete per alcuni aspetti troppo minuziosa: è comunque una revisione onesta fatta dalle mani di una persona che ama incondizionatamente la storia della famiglia Kennedy in tutti i suoi aspetti politici e sentimentali. Una critica altrettanto negativa va alle scene in cui Natalie Portman interpreta la Jackie Kennedy del documentario A tour of the White House: una mimica facciale e un timbro di voce ostentati che, nel tentativo di una perfetta imitazione della first lady, è risultata un mix di esagerazioni che non è riuscita a cogliere la vera essenza di Jackie durante il tour guidato nelle stanze restaurate della Casa Bianca. Un punto positivo invece riguarda la scelta dei dialoghi e la cura dei rapporti tra i vari personaggi, soprattutto il legame che viene a crearsi durante il film tra la ex first lady in lutto e il giornalista, incaricato di raccogliere gli stracci di un evento tragico ormai già dimenticato con la nuova presidenza in carica.
Nel complesso, non penso di poter riassumere tale proiezione in un voto unico: giudizio eccezionale per Natalie Portman e per il suo lavoro sulla personalità di Jacqueline Kennedy, per quanto esagerata da alcuni punti di vista; uno meno positivo per il regista Larraìn che non è riuscito a seguire l’onda della precisione storica quanto quella sentimentale. Un buon feedback al resto del cast, soprattutto al buon Peter Sarsgaard che, quasi nell’anonimato, ha saputo interpretare molto bene Robert Kennedy, totalmente distrutto per la perdita del fratello maggiore, ma ancor più attento a proteggere Jackie e i suoi bambini. Era necessario dunque, in conclusione, produrre questo film? Assolutamente sì, specie perché di Jacqueline Kennedy si è parlato molto, ma un film centrato sul suo personaggio e sul suo complesso dramma non è mai stato coraggiosamente messo in cantiere. Era forse da studiare con più minuzia e precisione, ma apprezziamo la buona volontà di Larraìn che, considerate anche le sue poche esperienze cinematografiche precedenti (in regia da dieci anni), ha saputo comunque toccare il cuore di molti spettatori e dell’intera critica cinematografica.
Il resto è, come si dice, storia… O meglio, Camelot.