Che ora è: Troisi e Mastroianni in uno scontro generazionale senza tempo

Troisi
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Quella volta in cui Marcello Mastroianni fece da padre a Massimo Troisi in un film indimenticabile di Ettore Scola: Che ora è

In Che ora è un padre e un figlio tentano di recuperare decenni di assenza in una giornata imparando a conoscersi per la prima volta, camminando senza meta fra le strade di una Civitavecchia cupa e livida. A scandire il tempo e le incomprensioni vi è solo un vecchio orologio. E mentre si parla di niente, in sottofondo l’attesa di una domanda che può significare ripartenza oppure addio: Che ora è?

La dolce vita secondo Ettore Scola

Due attori, due generazioni a confronto: In che ora è, film di Ettore Scola del 1989 Massimo Troisi è Michele, un giovane che sta per terminare il servizio di leva mentre Marcello Mastroianni è Marcello Ridolfi, un facoltoso avvocato romano.

I due attori, che hanno già lavorato insieme nel film Splendor (sempre di Ettore Scola), interpretano un padre e un figlio che si rivedono dopo anno di assenza, con caratteri completamente agli antipodi: Michele è un Troisi riservato, taciturno e scostante, mentre il padre Mastroianni tenta di informarsi sulla vita in modo incalzante e invadente, criticando il suo non avere le idee chiare sul futuro, il frequentare i marinai del porto oltre che i bar e perfino la ragazza di Michele.

Eppure, nel vedere come Michele interagisce con il proprio ambiente, ne scopre il lato allegro ed espansivo, tutto il contrario del Michele taciturno ed evasivo che è con lui. Si rende conto di come in verità non conosca affatto il figlio.

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Michele reagisce apaticamente e con insofferenza ai regali del padre che gli compra perfino una macchina e un attico a Roma, ma l’unico regalo a smuoverlo veramente è l’orologio del nonno ferroviere, cosa che causa risentimento nell’avvocato. Di tutti i regali e le possibilità che gli offre, il figlio preferisce un vecchio orologio?

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Il neorealismo teatrale

E’ proprio l’orologio il punto di incontro fra i due, pretesto per condividere quei pochi ricordi che hanno in comune, ma allo stesso tempo segno di due diversi modi di vivere: da un lato la generazione del padre-Mastroianni che ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione del Paese e il boom economico del post-guerra, emblema dell’uomo di umili origini che è riuscito a diventare un avvocato di successo e quindi attaccato al materialismo (come si evince dai regali).

Al contrario la generazione di Michele-Troisi cresciuta negli agi rispetto ai genitori che abbraccia un modo di vivere più semplice e umile, godendo ciò che la vita offre giornalmente e preferendo la compagnia di persone di condizione “bassa”, ma più affini ai valori del nonno di Michele, a cui era legato (a differenza del padre, figura assente nella sua crescita).

E’ anche uno “scontro” fra due diversi stili di recitazione, quello esperto e legato alla corrente del neorealismo di Mastroianni, e quello teatrale e da commedia di Troisi, che qui cerca di smorzare la sua carica ironica in favore di una recitazione malinconica e intensa (anche se nella sua timidezza e malinconia resta fedele alla sua “maschera” cinematografica).

Aspettando Godot a Civitavecchia

La Civitavecchia in cui i due personaggi si muovono è molto teatrale nella sua impostazione scenica, pochi ambienti (il molo, la stazione, il bar, il cinema, le giostre e la casa della fidanzata) e pochi personaggi, delle comparse che servono solo a mostrare a noi spettatori (e al padre) il mondo di Michele, perché i protagonisti sono solo loro due, padre e figlio che si muovono, quasi senza fermarsi parlando “di tutto ma di niente”, ma è proprio grazie a quel vagare che Michele parla davvero al padre mostrandogli sé stesso.

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Ma il Mastroianni – padre non riesce a capire, lui vuole avere un confronto serio che si carica di attesa, un po’ come in Aspettando Godot i due protagonisti parlano e parlano senza dirsi davvero nulla aspettando qualcuno o qualcosa che non arriverà. Così padre e figlio (a differenza dell’opera di Samuel Beckett) camminano per tutta la giornata aspettando una risoluzione, un confronto.

Il finale del film può esser visto come capovolgimento della novella di Luigi Pirandello dal titolo Una giornata, dove un uomo viene scaraventato fuori da un treno, e in un giorno vive tutta la sua vita vedendo crescere i suoi figli tutto d’un colpo, così come Marcello assiste, durante il corso di una giornata a tratti onirica, alla “crescita” di quel figlio che aveva lasciato bambino, per poi ritornare, sul treno, attraverso l’orologio, alla sua infanzia.

E, attraverso quel gioco infantile del che ora è, si sorridono per davvero, mentre il treno ormai è partito, scoprendo che è l’ora sì, ma di ricominciare.

E voi conoscevate questa collaborazione fra Troisi e Mastroianni?

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