Rebel Moon: tutto quel che di sbagliato ci può essere in un action sci-fi | RECENSIONE

Rebel Moon
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Com’era prevedibile, Rebel Moon è tremendo. Banale, derivativo, prevedibile, inutilmente chiassoso. Non solo: rappresenta tutto quello che nella fantascienza di oggi non si dovrebbe fare (e che speriamo non si farà più)

Rebel Moon: la fantascienza più scontata

Zack Snyder dirige Rebel Moon: un super-kolossal di fantascienza (in due parti pure) nel quale un manipolo di ribelli si scontra con un impero spaziale malvagio nel tentativo di riacquistare la libertà e far trionfare il bene e l’onestà della gente comune. Sa di già sentito, vero? Ma il problema principale di questo film (e ne ha tanti) non è nemmeno la sua sfacciata somiglianza con Star Wars.

Il problema è infatti la presentazione di una carrellata di cliché provenienti dalla fantascienza più trita e ri-trita; quello dei poveri ma onesti ribelli che si scontrano contro una istituzione intergalattica insensibile è uno schema che si è già visto, da Dune ad Avatar, e che è vecchio di decenni se non di secoli, pensando alla narrativa antecedente il cinema. Ma è solo l’inizio.

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Effetti speciali e azione

Il film fa un uso spropositato degli effetti speciali e il risultato è, non sorprendentemente per un film di Snyder, una carrellata di sequenze di combattimento e d’azione scontatissime (e per metà a ralenti) che, nonostante l’impiego notevole di tecnologia, nel contenuto già sarebbero apparse banali negli anni ’80; ma tanto non importa, basta che ci sia l’azione.

In questo Rebel Moon si dimostra un esperimento tanto stanco (e stancante) quanto le altre iper-produzioni di Hollywood, come quelle Marvel e DC (ricordiamo la tanto decantata Snyder Cut di Justice League). Ne risulta la dimostrazione che il cinema di genere realizzato con questi budget (166 milioni) non può più funzionare.

Derive e cliché

Nel cast molti valenti nomi come Charlie Hunnam, Bae Doo-na e Djimon Hounsou vengono completamente sprecati in personaggi bi-dimensionali senza alcun carattere, che si perdono in una trama prevedibile dall’inizio alla fine e che non riserva assolutamente nessuna sorpresa né alcun possibile discorso intelligente.

E nello svolgersi della trama sorge un’altra deriva: I Sette Samurai di Akira Kurosawa, film del 1954 nel quale dei banditi impongono a un villaggio dei tributi e i contadini assoldano sette guerrieri per difendersi. Che è esattamente quello che succede in questo film. Non mancano mille altri cliché: i cattivi che sono bastardi e violenti a caso, i buoni che muoiono per i loro ideali, i deboli che trovano forza nella loro onestà.

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Industria vs. autori

Di buono, l’uscita di Rebel Moon ha questo: è un sintomo di come sia ora che il cinema ritorni agli autori. Negli ultimi anni fuori dai fabbriconi dei vari cinecomic e shared universe di franchise e IP iper-gettonate, a fare i buoni film sono sempre stati gli autori e il 2023 non fa eccezione: due kolossal come Barbie e Oppenheimer sono riusciti perché realizzati da registi che riescono miracolosamente a sfuggire le logiche dell’industria.

Per contro, Rebel Moon è un film che parla di ribelli che agognano una loro indipendenza e che, per paradosso, ai meccanismi di Hollywood si adatta completamente e ribaltando del tutto il discorso stesso che propone; perciò, per forza di cose, fallendo miseramente nel comunicarlo su schermo. Ma va bene così: spazio a Denis Villeneuve, ad Ari Aster, a Robert Eggers, ad Alex Garland. Di film come questo possiamo scordarci anche il giorno dopo.

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