Le 10 migliori Serie TV del 2022 secondo la Scimmia [LISTA]

Ecco la personale classifica della redazione de LaScimmiaPensa delle migliori serie TV arrivate al cinema in Italia nel 2022

serie tv 2022
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Questo 2022, dal punto di vista delle serie TV, ha regalato moltissimi prodotti di alta qualità. Il proliferare di piattaforme streaming ha costretto i vertici delle aziende e cercare di superarsi a vicenda per tentare di accontentare il pubblico. E il risultato è stato che moltissimi show davvero sopra la media sono arrivati nelle nostre televisioni. Arrivati agli sgoccioli di dicembre è arrivato dunque il momento di tirare le somme e di stilare la classifica delle serie che maggiormente ci hanno impressionato in questi ultimi 12 mesi tra tutt’e quelle rilasciate sulle varie piattaforme nel nostro paese.

Inoltre vi ricordiamo sempre che queste classifiche sono frutto dell’esperienza e del gusto personale delle persone che vi scrivono. In questo caso specifico un’intera redazione che ha discusso animatamente per diverso tempo per trovare una lista di 10 serie tv che andasse bene per tutti. Sentitevi dunque autorizzati a rivelarci quali opere avreste messo o quali lasciato fuori, tenendo sempre fermo questi criteri di base.

Fatte questa rapida, ma doverosa premessa, iniziamo.

10) Mercoledì, Netflix

Mercoledì
Ph. Courtesy of Netflix © 2022

A cura di Marta Zoe Poretti

Dopo un esordio da record e numeri in crescita costante, che hanno già superato serie evento come Dahmer di Ryan Murphy e la quarta stagione di Stranger Things dei Fratelli Duffer, Mercoledì di Tim Burton conquista di diritto il suo posto d’onore tra le migliori serie tv del 2022. Certo, una parte della critica non poteva che spendersi nell’ormai tradizionale “tiro al bersaglio”, destinato sistematicamente al “titolo del momento”, reo di catalizzare l’attenzione di milioni di spettatori nel mondo.

Eppure, Tim Burton sembra fieramente rivendicare il diritto di “citare sé stesso”, o forse semplicemente tornare alle radici del suo linguaggio cinematografico, grazie alla semplicità e l’immediatezza di un prodotto seriale studiato espressamente per un target giovanile. Tutto nella serie è puro Tim Burton, dalla colonna sonora di Danny Elfman all’attenzione spasmodica per scene e costumi, curati fino ai dettagli infinitesimali, perché diventino autentici elementi espressivi, determinanti per la creazione di un universo altro, sospeso oltre lo spazio e il tempo. Horror e Pop, Mistery e Fantasy si incontrano così in una fantasmagoria post-moderna dominata dalla bellissima, perfetta Jenna Ortega, che ha già saputo imporsi a livello internazionale come un’icona assoluta.

Tim Burton torna così a rubare il cuore degli spettatori grazie al romanticismo ineffabile dei suoi protagonisti, gli strambi, i reietti celebrati da un regista che fin da piccolo ha rivisto sé stesso nella primogenita della Famiglia Addams, che da anni sognava di firmare la sua personale variazione di Mercoledì, sociopatica, inquietante ragazzina dall’intelligenza e l’intuito straordinari, che non ha alcun interesse per la “normalità” né il giudizio degli altri. Per i più cinici e intransigenti si tratterà solo dell’ennesimo fenomeno commerciale. Per tutti gli altri, dell’occasione imperdibile di godere di un grande prodotto d’intrattenimento, capace di combinare l’ironia nera con una irrestibile, irriducibile tenerezza.

9) The Sandman, Netflix

the sandman

A cura di Lorenzo Pietroletti

Meriterebbe un plauso anche per il solo coraggio nel voler trasporre un capolavoro del fumetto come The Sandman. Plauso che si raddoppia inevitabilmente vista la buonissima riuscita della trasposizione stessa. Cosa non banale, tantomeno scontata, vista la complessità dell’opera di Neil Gaiman.

Aiutati probabilmente dalla forte presenza dell’autore inglese, The Sandman riesce ad essere fedele alla graphic novel originale ma al tempo stesso sa come gestire le regole audiovisive alle quali deve necessariamente sottostare. Il che permette alla serie di essere un prodotto perfettamente fruibile anche a chi non ha mai sentito parlare prima dell’Uomo dei Sogni.

The Sandman si presenta quasi come una serie antologica, che si muove per brevi eventi raccontati in un paio di episodi. Eppure, grazie al fil rougue di Morfeo e della sua assenza forzata dal mondo dei sogni, costruisce una storia unica e meravigliosa, dove gli antagonisti, coerentemente con gli albi del fumetto, sono molteplici e perfettamente caratterizzati.

Soprattutto quando si tracciano linee “politicamente corrette“, tra personaggi androgini o afroamericani. Licenze che trovano un adattamento più che logico, soprattutto ovviamente per ciò che concerne il personaggio di Morte. Ha senso nel 2022 riproporre un design prettamente legato alla darkwave anni 80? Per Gaiman e soci, la risposta è no. Per fortuna.

Tra momenti stereotipati e necessari, The Sandman ha la brillante capacità di ammaliare lo spettatore, con sequenze davvero stupefacenti. La mente di Gaiman e del team di disegnatori hanno costruito un mondo meraviglioso e inquietante. E la serie è riuscita nell’impresa di rendere giustizia a quanto di creato nelle pagine del fumetto. Ancor più andando a guardare la puntata 24/7, costruita come una vera e propria pièce teatrale ma anche di puro cinema horror.

8) Andor, Lucasfilm

andor

A cura di Claudio Faccendi

La galassia lontana lontana ideata dalla mente geniale di George Lucas ha trovato una nuova dimensione all’interno delle fila disneyane. Dopo una nuova trilogia disastrosa, Star Wars si espande e si riscopre tramite la più distesa narrativa delle serie Tv. Dopo il fulminante successo di The Mandalorian e gli approfondimenti su Boba Fett e Obi-Wan Kenobi, tutto viene di nuovo traslato nelle vicende che si intrapongono tra la trilogia prequel e quella originale. Andor (qui la nostra recensione) è infatti niente meno che il preludio a quello che è il migliore film della saga dall’acquisto da parte di Disney: Rogue One.

Come nel film infatti a tirare le fila del progetto troveremo ancora Tony Gilroy. Lo sceneggiatore riprende quindi in mano la propria creatura e la amplia. Un prodotto di Star Wars finalmente adulto e maturo, una serie TV in grado di dare spessore al brand approfondendo in modo creativo e intelligente la zona d’ombra politica antecedente alla distruzione di Alderaan. I buoni non saranno i puri che tramite la speranza riusciranno a soppiantare il tiranno di turno, questi dovranno fare sacrifici e saper leggere il nemico all’interno di un’immensa scala di grigi ben lontana dal tutto bianco e tutto nero.

La qualità visiva della serie è impeccabile così come lo sono le dinamiche narrative al suo interno. Cassian Andor (Diego Luna) si ritroverà braccato dell’Impero a causa di un malaugurato imprevisto. Questo semplice, minuscolo, episodio creerà un effetto farfalla che intreccerà una serie di conseguenze che scuoteranno le fondamenta dell’Impero e di quella che diverrà l’Alleanza Ribelle.

In Andor vedremo il vero volto della dittatura, dal controllo ossessivo e oppressivo dei pianeti e dei loro popoli alle detenzioni forzate atte ad aumentare la produzione industriale. Più è forte il pugno di ferro più i popoli si sforzeranno per rivendicare la loro libertà. Un concetto tanto semplice quanto, realisticamente, complicato. Nella serie troveremo proprio questa sfumatura. Si parlerà inoltre di prigioni, sia fisiche che mentali, all’interno di una stanza di freddo acciaio o tra lo sfarzo e i salotti altolocati.

Ritroveremo l’importante figura di Mon Mothma, interpretata da una divina Genevieve O’Reilly e faremo la conoscenza di quello che potremmo definire uno dei personaggi più sfaccettati dell’intero universo starwarsiano: Luthen Rael riuscitissimo anche grazie a un incredibile Stellan Skarsgård. Una serie imprescindibile per gli amanti di Star Wars che riesce ad approfondire in modo perfetto la nascita di una rivolta.

7) Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, Netflix

novità Netflix

A cura di Matteo Furina

Portare in scena un personaggio così sfaccettato e totalmente negativo qual è stato Jeffrey Dahmer, il Cannibale di Milwaukee, non è cosa facile. Il rischio è sempre quello di mitizzare il personaggio o di rendere in qualche modo scusabili le sue azioni. Tuttavia questa Dahmer, una delle serie Netflix più viste dell’anno, riesce a non cadere in facili tranelli narrativi e a raccontare la cruda realtà delle decine di morti causate da una delle menti più malate e disturbate della storia recente dell’uomo.

La storia è stata infatti raccontata dal punto di vista delle vittime cercando di far capire i motivi per i quali Dahmer è diventato quello che è diventato senza però mai correre il rischio di empatizzare con le sue terrificanti azioni. Per fare questo Ryan Murphy e il suo team hanno fatto un eccellente lavoro nello scavare a fondo nella storia mettendo in scena una versione quasi sovrapponibile della storia originale. Ovviamente ci sono stati cambiamenti di sorta, ma il nocciolo fondaentale della vicenda è stato totalmente rispettato.

Tuttavia per fare una grande serie basata sulla vita di un uomo realmente esistito che ha portato dentro una quantità di malvagità e pazzia fuori dal comune, serve un attore straordinario. E il grande punto di forza di Dahmer è proprio lui, Evan Peters. L’attore, da sempre collaboratore di Ryan Murphy ha studiato per mesi il personaggio e si vede in ogni singolo momento. Movenze, modo di parlare, posizione delle spalle e delle mani. Peters ha lavorato su ogni singolo aspetto della personalità di Jeffrey Dahmer regalando quella che è divneuta, senza alcun dubbio, la performance della sua vita.

Sebbene show di questo tipo sollevino sempre dubbi di natura etica su quanto sia giusto raccontare in modo così esplicito la sofferenza di altre persone che hanno avuto contatti con esseri umani del genere, è innegabile che Netflix abbia creato una delle migliori serie crime centrate sulla figura di un serial kiler dell’anno e una delle più belle e potenti dell’ultimo periodo. Vedere per credere.

6) House of The Dragon, HBO

House of the Dragon

A cura di Andrea Campana

Diciamolo: in molti non avrebbero scommesso troppo su un prequel di Game of Thrones, specie visto come (per la stragrande maggioranza dei fan) la storica serie fantasy ha incontrato, dopo una costruzione d’hype epocale, un finale non esattamente entusiasmante. Eppure, ancora una volta sembra che la traduzione in live action del lavoro di George R.R. Martin stia seguendo le premesse giuste.

House of the Dragon, che segue l’evoluzione della casa Targaryen e del dominio della stirpe su Westeros duecento anni prima della nascita di Daenerys, è partita ottimamente come una serie fatta di sfumature, sottigliezze e attente costruzioni di caratteri e personaggi. Non mancano l’azione e, come ha ricordato Matt Smith (tra i protagonisti) il sesso, ma c’è molto di più.

Gli episodi della prima stagione lavorano magistralmente sui toni e sulle atmosfere anche in semplici scene di dialogo, con conversazioni che diventano intere partite a scacchi invisibili; il risultato è l’intensificarsi di una tensione che tempo il finale di stagione è ormai divenuta palpabile in ogni scena.

Non mancano temi spinosi, come quello del tabù sull’omosessualità ma anche sull’incesto, rappresentato alla luce del giorno come neanche per Jamie e Cersei Lannister ai tempi (pratica per la quale del resto la casa Targaryen è arci-nota). E l’emancipazione femminile in personaggi come Rhaenyra e Alicent si scontra con la loro spietatezza e la loro decisione nell’ottenere ciò che vogliono a costo di qualunque sacrificio.

HOTD esplora anche trame psicologiche e approfondisce desideri segreti, paure represse, rancori sopiti e scontri di personalità in un intreccio fitto e complesso che riesce ad essere intrigante, coinvolgente a tutti i livelli e convincente quanto le prime storiche stagioni di GOT se non (a detta di alcuni) addirittura di più.

Siamo ancora all’inizio e per il momento è difficile prevedere in quale direzione si evolverà la serie, o se già siano state compiute delle scelte sbagliate che deviino dalla trama originale nei romanzi. La guerra per il trono (di spade) è ufficialmente iniziata e a questo punto non resta che mettersi comodi e fare il tifo: siete #TeamRhaenyra o #TeamAlicent?

5) The Boys, Amazon Prime Video

The Boys

A cura di Emanuele Marcucci

Dopo la caduta di Stormfront e la definitiva incrinatura dell’equilibrio mentale di Patriota, le aspettative per la terza stagione di The Boys erano sicuramente altissime.Fortunatamente per noi, Eric Kripke è riuscito nella brillante impresa di confermarsi, ribaltando nuovamente le dinamiche del gioco e apparecchiando un epilogo che si preannuncia epico.

L’anarchia delle precedenti stagioni raggiunge vette ancor più dissacranti che culminano nell’attesissimo episodio Herogasm, una vera e propria orgia supereroistica in cui i creatori della serie hanno potuto esprimersi senza filtri.The Boys 3 non è però solo sangue, sesso e sregolatezza. L’introduzione del V-24, che consente a chiunque di assumere temporaneamente poteri da super, ribalta definitivamente il rapporto fra umano e divinità, consentendo ai nostri eroi di mettere in crisi persino Patriota.

Questo, insieme all’introduzione del Soldatino di Jensen Ackles, dotato della capacità di privare i Super dei propri poteri, pare essere il preludio all’attesissimo deicidio, relegando definitivamente la divinità a prodotto dell’ingegno umano e, in quanto tale, passibile di distruzione da parte del proprio creatore.Senza però dover necessariamente scomodare la filosofia, The Boys resta una delle serie più divertenti e adrenaliniche del panorama televisivo.

La prova che si può fare una tv di qualità senza doversi piegare a nessun costrutto morale, mettendo in scena senza filtri il peggio di noi stessi. Cosa sono i Super, dopotutto, se non la sublimazione dei nostri peggiori difetti?

4) Boris, Disney Plus

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A cura di Matteo Furina

Quando Disney Plus ha annunciato la produzione della quarta stagione di Boris (qui la nostra recensione), il cuore di migliaia di fan di una delle serie italiane più amate di sempre ha saltato qualche battito. I molti anni trascorsi dalla fine della terza iterazione e la scomparsa prematura di uno dei creatori dello show, Mattia Torre, aveva fatto presagire il peggio. Tuttavia le paura di tutti noi si sono sciolte dopo pochi minuti del primo episodio quando ci siamo tutti resi conto che Boris è e rimarrà sempre Boris.

Adattata al contesto moderno delle piattaforme streaming e degli algoritmi, la sgangherata squadra di Renè Ferretti torna e si prende gioco, nel modo unico e irriverente che l’ha sempre contraddistinta, di tutte le contraddizioni e le ipocrisie che sono proprie di questa particolare era della televisione. Questa volta la troupe dovrà girare uno sceneggiato sulla Vita di Gesù e per farlo dovrà riuscire a rispettare i molti paletti imposti dalla “piattaforma“, entità quasi mistica e demoniaca che decide se un determinato show ha tutte le carte in regola per poter avere la possibilità di andare in onda.

Sebbene il mondo sia totalmente cambiato, Boris è rimasto sempre lo stesso e questa è la forza più grande della quarta stagione. Si parla in modo impegnato e inserendo decine di inglesismi; la lavorazione è ora tutta basata su tecnologie avanzate ma lo spirito che guida il modus operandi di Renè e della sua squadra è sempre lo stesso, ovvero sia si lavora a caz*o di cane.

Un progetto al quale gli sceneggiatori hanno tenuto particolarmente e col quale hanno voluto omaggiare il defunto Torre, nella serie rappresentato come un fantasma che continua a dare consigli sulla stesura degli script. E questo sentimento è palpabile, la voglia di non rovinare nulla ma di omaggiare uno degli show che maggiormente ha cambiato la storia della televisione è potente in ogni inquadratura.

In Boris 4 si ride tanto. Le solite gag surreali e i personaggi assurdi sono lì, come ve li ricordate. Ma tutto quello che ricordate non è ripetuto in modo vecchio e anacronistico ma è stato perfettamente traslato in avanti di 15 anni in un modo così giusto e rispettoso da farci quasi chiedere di cosa avessimo paura prima di vederla. Un’incredibile risultato che visto a posteriori sembra quasi incredibile che sia arrivato. Da vedere e rivedere.

3) The Bear, FX

the bear

A cura di Marta Zoe Poretti

Il grande outsider tra le migliori serie del 2022 porta il nome di The Bear, unico titolo davvero in grado di insidiare la vittoria di Mercoledì di Tim Burton ai prossimi Golden Globe. Gli otto episodi della serie creata da Cristopher Storer, prodotta da Hulu e disponibile in Italia sulla piattaforma Disney+, non possono contare su nomi altisonanti a livello di cast artistico né tecnico. Eppure questa serie a basso costo, grazie al passaparola si è fatta strada nel cuore degli spettatori, registrando un clamoroso successo anche in territorio nostrano.

Carmen Berzatto, per gli amici Carmy (Jeremy Allen White) è il protagonista di questo dramma corale, ambientato nella periferia di Chicago, in particolare nelle cucine di una panineria, The Original Beef of Chicagoland. Dopo il suicidio del fratello, Carmy ha lasciato la sua carriera di chef in un ristorante stellato per tornare a gestire il locale di famiglia, combattere ogni giorno con i debiti, i fornitori, uno staff fortemente demotivato e la routine quotidiana di una tavola calda, pensata per gente con pochi mezzi e poche pretese.Sembrerebbe banalmente una variazione del format di Hell’s Kitchen, eppure The Bear è molto, molto di più.

Cristopher Storer gira quasi esclusivamente in interni, nello spazio claustrofobico delle cucine, mentre la steadycam ingaggia un autentico corpo a corpo con gli attori, proiettando lo spettatore letteralmente al centro dell’azione, perché riesca a percepire tutta la fatica dei personaggi, la loro frustrazione, gli attimi di disperazione e di speranza in quella che sembra una lotta impari contro le difficoltà e la sfortuna.

L’elaborazione del lutto, il senso di colpa, ma soprattutto i sogni e le aspirazioni che si scontrano crudelmente con la dura realtà dei fatti: questi i veri protagonisti di The Bear, insieme a quel cuoco dai grandi occhi, interpretato dallo straordinario Jeremy Allen White, un personaggio lontanissimo dall’aura e i crismi dell’eroe, eppure in grado di rappresentare l’angoscia, lo smarrimento di una intera generazione. In attesa della seconda stagione, già confermata dai vertici Hulu, non vi resta che godervi lo spettacolo. Noi scommettiamo su The Bear per una pioggia di premi tra Golden Globe e Emmy Award.

2) Euphoria, HBO

Euphoria

A cura di Marco Barucci

Fin da quando le serie tv si chiamavano telefilm il genere teen drama ha sempre avuto una certa abbondanza di prodotti. Sono sempre esistiti. La loro forza sta nel confezionare una fedele quanto, terrificante radiografia delle problematiche giovanili attuali al periodo di messa in onda. Euphoria, con questa seconda stagione, mantiene la promessa, dipingendo le differenti sventure dei singoli personaggi, ancora una volta chiamati a fronteggiare in maniera sempre più profonda, ciascuno i propri problemi. Ne uscirà una torbida rappresentazione della generazione attuale, tra sesso, droga, amore, violenza, accettazione di sé e traumi.

Se nella prima stagione erano state gettate le basi, sia dei diversi personaggi, sia delle dinamiche che li lega. Otto puntate per la prima stagione e due speciali che fungono da ponte e da preludio per altre otto puntate. Una seconda stagione visibilmente più lenta della prima, ma con parti necessarie per scavare a fondo circa il passato di alcuni personaggi. Le tecniche di ripresa e la messa in scena di Sam Levinson sono sublimi e accentuano la narrazione come fossero un vero e proprio elemento scenico. Anche la fotografia, marchio di fabbrica della serie, è ormai un elemento imprescindibile per la serie in quanto deforma, accentua e ridisegna i volti dei personaggi.

Questa seconda stagione vede anche Zendaya nel ruolo di produttrice oltre che della protagonista. Il cast è rimasto lo stesso, ma con alcune nuove aggiunte che si sono sapute incastrare perfettamente negli equilibri consolidati del cast storico. Le scene dirette, alcune crude, ma sempre ben incastonate nella storia. Numerose sono state le parti evocative che hanno lasciato strascichi di discussione sui social per intere settimane.

Euphoria ha il suo pubblico forte, ma sa farsi apprezzare da tutte le tipologie di spettatore. Assolutamente da menzionare anche i segmenti molto evocativi e densi di citazioni (La sorpresa più grande resta la colonna sonora del nostro Riz Ortolani composta per Cannibal Holocaust, messa come finale di una puntata) Da Brokeback Mountain a John Lennon e Yoko Ono, da Biancaneve a Ghost. La serie è stata rinnovata per una terza stagione e visti i nodi ancora da sciogliere l’attesa è molto alta.

1) Better Call Saul, AMC

better call saul

A cura di Alessio Corsaro

La sesta ed ultima stagione di Better Call Saul ha segnato, qualora ce ne fosse bisogno, la definitiva consacrazione di uno dei più grandi prodotti seriali mai concepiti. Diviso in due parti, il primo capitolo conclusivo di BCS ci ha raccontato il definitivo tracollo di Jimmy McGill e l’inizio materiale dell’ascesa di Saul Goodman, tanto bramato quanto biasimato per le drammatiche circostanze all’origine della sua nuova vita. La prima parte di questa tragica ode rappresenta probabilmente il punto più alto di una serie che, sotto certi punti di vista, supera in maturità le incredibili doti registiche e di scrittura già dimostrate da Gilligan con BrBa.

I primi sette episodi della sesta stagione somigliano a un vero e proprio miracolo seriale, mettendo insieme un mosaico di piccole perle cinematografiche in cui ogni cosa sembra essere al proprio posto. In un asfissiante crescendo di tensione, ogni vicenda afferente alla vita di Jimmy trova una perfetta conclusione, assemblata grazie all’armoniosa ed epica chiusura degli archi narrativi di personaggi perfettamente strutturati, fra cui spiccano per spessore Nacho Varga ed Howard Hamlin.

Una volta digerito (si fa per dire) il meraviglioso trauma rappresentato da Plan and Execution, Vince Gilligan chiude la narrazione sulla vita di Jimmy McGill con i primi due episodi della seconda parte di stagione, Point and Shoot e Fun and Games, puntate che sono marchiate a fuoco dai sontuosi personaggi di Lalo Salamanca e Kim Wexler. Una volta ottenute le atroci risposte che i fan aspettavano fin dall’esordio della serie sul futuro di Kim, Saul irrompe violentemente sulla scena, riportandoci alla linea temporale da cui prendono le mosse i fatti visti in Breaking Bad.

Contraddistinti da un uso quasi totale del bianco e nero, gli ultimi quattro capitoli di Better Call Saul si concentrano sull’atrofica, vuota vita di Gene Takavic, relitto inabissato dello spirito di Jimmy, temprato dall’esperienza criminale di Saul Goodman. Memori degli avvenimenti accaduti nella serie madre, gli spettatori sanno già che nulla sarà più come prima e le cose non potranno che degenerare da un momento all’altro, situazione che puntualmente si verifica anche in BCS. Tuttavia, se Walt ha scelto di morire da Heisenberg, il percorso di Saul appare forse più umano.

Una volta ottenuto il più impensabile dei trionfi giudiziari in seguito ad una rovinosa débâcle, Saul comprende di essere arrivato all’apice della propria realizzazione criminale e di aver eguagliato, se non superato, le vette raggiunte da Heisenberg. Solo dopo aver dimostrato a se stesso di poter eccellere in qualcosa, Saul lascia il posto a Jimmy, che decide di battere per una volta la strada meno agevole e assumersi il peso di tutto ciò che ha realizzato.

Scrittura, regia, fotografia, colonna sonora, interpretazione di ogni singolo attore, cura dei dettagli: Better Call Saul ha sublimato ognuno di questi aspetti, regalandoci un’esperienza cinematografica di qualità e potenza rare. Rendiamo grazie a Vince Gilligan per l’immersivo universo che è stato in grado di creare e che ci mancherà tremendamente.

+1) Esterno Notte, Marco Bellocchio

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A cura di Matteo Furina

A distanza di 19 anni da Buongiorno, notte, Marco Bellocchio torna a parlare del rapimento di Aldo Moro e lo fa in una modalità ibrida, a metà tra film e serie tv. Sebbene infatti questo Esterno notte sia arrivato su Netflix come serie TV, il prodotto è stato inizialmente rilasciato come film diviso in due parti. Ci sembrava dunque sbagliato inserirlo tra le serie tv, ma sarebbe stato un assoluto crimine escluderlo. Ecco perchè abbiamo optato per inserirla in una sezione speciale della nostra classifica.

Lo show, diversamente dal film di 19 anni fa si concentra principalmente sulle conseguenze politiche e sociali che il rapimento di Aldo Moro ha avuto sul nostro Paese e non tanto sulla prigionia in sè come invece era stata la pellicola con protagonista Roberto Herlitzka. In questa serie vediamo infatti approfonditi personaggi come Cossiga o Papa Paolo VI, interpretato da un sempre ottimo Toni Servillo. Si tratta sicuramente di un’opera dai forti connotati politici nella quale l’idea che Bellocchio si è fatto dei tragici accadimenti di quel lontano marzo 1978.

Il regista infatti non indora la pillola e mostra perfettamente su schermo la storia come stata percepita da lui ricercando nello Stato e nella politica le cause della mancata liberazione di Moro da parte delle Brigate Rosse. Per far questo si appoggia ad un cast davvero in forma smagliante. Oltre al già citato Servillo troviamo infatti Fabrizio Gifuni nei panni di Moro, Margherita Buy in quelli di sua moglie Eleonora e uno bravissimo Fausto Russo Alesi in quelli di Francesco Cossiga.

La storia, come classico del cinema di Bellocchio, è un susseguirsi di scene reali, sogni, idee, rappresentazioni mentali, desideri e fantasie. Tutto amalgamato e girato in modo così magistrale da non confondere lo spettatore neanche per un attimo. Dalla scena nella quale il Papa immagina Moro mentre porta la croce a quella in cui Cossiga sogna ad occhi aperti che il suo amico Presidente della DC sia vivo all’interno del bagagliaio della Reanult 4 nella quale fu trovato. Una serie di scene che danzano in modo suggestivo e perfetto tra sogni e realtà. Una prova di bravura impressionante di un regista che all’età di 83 anni è voluto tornare su un argomento a lui così caro per raccontare la storia per come l’ha percepita lui e come l’ha immaginata. Davvero immancabile.

Bonus) Peacemaker, HBO

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A cura di Lorenzo Pietroletti

Doveroso e necessario inserire come serie bonus, Peacemaker. Una serie che meriterebbe un posto nella top ten dell’anno ma che purtroppo e per fortuna è arrivata qui in Italia grazie a Tim Vision al suono del gong per questo 2022. E dopo un rapido binge-watching, la conclusione unica possibile è quella che il prodotto firmato James Gunn deve essere menzionato assolutamente.

Ci troviamo cinque anni dopo gli eventi del The Suicide Squad firmato proprio James Gunn, ora pieno padrone dei supereroi DC, dopo rivoluzioni e polemiche. Questo primo spin-off guarda all’eroe non-eroe interpretato da John Cena, Peacemaker per l’appunto. Neanche il tempo di rimettersi dalle ferite causate dai catastrofici eventi narrati nel film che deve subito tornare in pista. C’è un’invasione segreta che potrebbe causare una vera e propria sostituzione etnica. Una razza aliena è arrivata sulla Terra e stanno prendendo il posto degli umani. Sono intorno a noi, in mezzo a noi e hanno già preso le più alte cariche politiche. Quindi solo un membro della Squadra Suicida può eliminare il problema, sempre con discrezione. Tuttavia John Cena è John Cena, e chi ha visto The Suicide Squad capirà dove si andrà a parare.

In pieno stile Gunn, Peacemaker raccoglie a sé una moltitudine di generi dissacrandoli uno a uno. Dal dramma all’action più puro, tutto in una costante salsa comedy molto scorretta. Appare chiaro sin da subito che ci troviamo davanti ad una costola diretta discendente della Troma, ma con molto più budget. Jamen Gunn, nelle vesti anche di produttore esecutivo, orchestra tutto e tutti alla perfezione, generando una serie figlia diretta degli anni Ottanta. Non siamo assolutamente sulla nostalgia di Stranger Things, quanto più su una continua ricerca di parodiare quelle figure e quella cultura ultrapop che ha contraddistinto il decennio più famoso al mondo, oggigiorno.

Ancora più importante, Peacemaker ha la complessa capacità di attirare a sé anche chi non ama i cinecomic. Il supereroismo qui assume contorni ben lontani da quelli visti sin ora, se non per l’appunto con il suo genitore principale, una mosca bianca nel panorama dei film sui supereroi. Insomma, ci sarà da ridere tanto ma anche da emozionarsi, con una dose di adrenalina sempre pronta a scoppiare dentro lo spettatore. Non è solo “una serie con John Cena“, autore tra l’altro di una grande prova, ma molto di più. Provare per credere, la sola sigla di apertura vi conquisterà. Altrimenti, Peacemaker che canta usando un vibratore. Vedete voi.

Che ne pensate? Siete d’accordo con noi? Quali sono state le vostre serie preferite in questo 2022? Ditecelo nei commenti.

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