11 Capolavori del 1969 da recuperare assolutamente [LISTA]

Il Sessantotto ha toccato tutto il mondo. Soffermiamoci sul 1969 e vediamo 11 film che sono testimoni di tale cambiamento.

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3) Un uomo da marciapiede – John Schlesinger (1969)

Un uomo da marciapiede, Dustin Hoffman, John Schlesinger
Un uomo da marciapiede, John Schlesinger

Sulle note di Everybody’s Talkin’ di Harry Nilsson, il giovane texano Joe Buck (John Voight) intraprende un viaggio verso New York, convinto di poter fare il gigolò grazie al suo bell’aspetto. Dopo alcuni insuccessi, però, incontra Enrico Salvatore Rizzo (Dustin Hoffman), che gli propone un manager per supportare la sua attività.

Terzo sfavillante esempio di film della New Hollywood, Un uomo da marciapiede rappresenta una sorta di summa tra le due opere precedenti. Infatti, Joe Buck, il “cow-boy di mezzanotte” secondo il titolo originale, racchiude in sé un desiderio di fuga ma anche di compagnia.

Il motivo per cui egli si reca a New York è, infatti, vivere intessendo continue relazioni con le donne, di natura tendenzialmente carnale. Ma l’incontro con Rico lo porta a sviluppare un forte senso di amicizia: conosciute le condizioni precarie dell’uomo, Joe decide di prendersi cura di lui, nonostante costui abbia cercato di fregarlo.

Stilisticamente, la regia di Schlesinger varia a seconda dello stato d’animo del “cow-boy”: al momento della partenza e dell’incontro con la prima donna, egli è eccitato, perciò il montaggio è frenetico e la macchina da presa dinamica; invece, quando rimane senza soldi e deve occuparsi di Rico, prevalgono inquadrature lunghe e rifleive e la camera fissa.

Non manca il marchio di fabbrica del periodo, ossia la sperimentazione. Spesso nel montaggio frenetico vengono inserite inquadrature metaforiche, come quella del jackpot alla slot machine quando Joe si accoppia con la prima donna.

Il culmine, però, è raggiunto nella scena della festa in stile Warhol, avvolta da un’atmosfera alquanto bizzarra e surreale: la musica è distorta, le luci esplodono in mille colori, la pellicola si sgrana e sullo schermo alle immagini si sovrappongono delle figure irreali, simili a quella dei corti di Man Ray.

All’uscita gli venne assegnato il divieto più stringente da parte della censura, ossia l’X rating. Esso, negli anni a seguire, venne riservato solo al cinema pornografico, perciò Un uomo da marciapiede è tuttora l’unico film con tale divieto ad aver vinto l’Oscar al miglior film.

4) L’armata degli eroi – Jean-Pierre Melville (1969)

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L’armata degli eroi, Jean-Pierre Melville

L’antifascista Philippe Gerbier (Lino Ventura) viene arrestato dal governo di Vichy per sospetta attività di Resistenza contro il nazismo. Dopo un periodo in un campo di prigionia, è detenuto in un comando tedesco basato in un hotel.

Con l’aiuto di uno sconosciuto, Philippe riesce a fuggire e a camuffare il proprio aspetto. Una volta libero, l’uomo si riunisce ai compagni per dare la caccia al suo traditore…

Piccola parentesi bellico-drammatica di Jean-Pierre Melville in una filmografia ormai focalizzata sul noir, L’armata degli eroi ha echi autobiografici. Pur essendo una trasposizione abbastanza fedele di un romanzo di Joseph Kessel, la storia contiene infatti ricordi personali del regista durante la propria militanza nella Resistenza.

Un incessante clima di tensione pervade tutto il film, fortemente enfatizzato da soluzioni stilistiche perfettamente in linea con la vocazione noir di Melville.

Rimanendo polarizzato sullo studio geometrico degli ambienti, il regista impiega diffusamente la camera fissa e l’uso della panoramica, aggiungendo qualche carrellata. La maggior parte delle riprese avvengono in interni, in quanto i protagonisti del film sono in perenne stato di pericolo.

Le riprese in esterni sono rade, con campi perlopiù lunghi. Per non smorzare la sensazione di claustrofobia dei personaggi e degli spettatori, gli ambienti aperti sono avvolti nell’oscurità o dalla nebbia. Negli altri casi, invece, sono occlusi dalla folla o da folti alberi.

La luce è, infatti, l’aspetto chiave del film. I colori sono spenti, i contrasti non appaiono netti, i vari elementi sullo schermo sembrano quasi confondersi. Come suggerisce il titolo originale, traducibile con “L’armata delle ombre”, i protagonisti stessi sono delle ombre, data la loro attività sovversiva. La preponderanza di scene al buio, quindi, ben interpreta la condizione dei reazionari.

5) Dillinger è morto – Marco Ferreri (1969)

Dillinger e morto
Dillinger è morto, Marco Ferreri

Dopo una giornata di lavoro, Glauco (Michel Piccoli) torna a casa. Mentre prepara la cena, nel cercare gli ingredienti all’interno della dispensa si imbatte in una pistola, che scopre essere appartenuta al criminale John Dillinger…

Girato con pochi mezzi, il film è perlopiù ambientato nella casa del protagonista, che nella realtà è “smembrata”: la cucina appartiene a Ugo Tognazzi, mentre il piano superiore è l’appartamento di Mario Schifano (di cui sono affissi dei dipinti), entrambi amici e collaboratori del regista.

Il tema principale del film, annunciato dal discorso del collega di Glauco, è l’alienazione dell’uomo contemporaneo, condizione cercata, non certo sofferta. Infatti, il protagonista ha la possibilità di interagire con diverse persone, ma decide in autonomia di chiudersi in un quasi totale mutismo.

Glauco non degna alcuna attenzione al collega, quando torna a casa scambia poche battute con la moglie Anita (Anita Pallenberg, collaboratrice di Schifano) e con la governante Sabina (Annie Girardot). L’unico motivo per cui le cerca è soddisfare il proprio appetito sessuale.

Tranne il monologo iniziale del collega e l’assurdo dialogo finale, addirittura scioccante considerando quanto accaduto prima, il film è quasi totalmente avvolto nel silenzio (verbale). La macchina da presa segue ossessivamente Glauco mentre vaga nei vari ambienti.

Il silenzio, però, è infranto dall’ingombrante presenza di musica leggera e programmi commerciali, in un’epoca ancora lontana dalla neotelevisione. Glauco non ascolta nemmeno le trasmissioni, si finge interessato solo all’arrivo di Sabina per eludere la conversazione.

Altri temi sono, quindi, l’effetto di mesmerizzazione dei media e la ritualità spersonalizzante dell’uomo contemporaneo medio, quest’ultima in funzione della società. Glauco, infatti, ha un lavoro, una moglie, un’amante, la tv, la radio e cibo in abbondanza, perciò possiede tutti gli ingredienti per la felicità sociale.

Ecco, quindi, che la pistola e i filmini delle vacanze da lui rivisti sono elementi collegati. Tra le immagini appaiono due mani danzanti, che rappresentano l’evasione e la libertà, e un toro durante una Corrida, cioè un animale sacrificale. La pistola è, quindi, il mezzo attraverso cui realizzare il sacrificio per raggiungere la libertà. Ma chi sarà oggetto di sacrificio?