11 Capolavori del 1969 da recuperare assolutamente [LISTA]

Il Sessantotto ha toccato tutto il mondo. Soffermiamoci sul 1969 e vediamo 11 film che sono testimoni di tale cambiamento.

Condividi l'articolo

10) Kes – Ken Loach (1969)

1969

Billy Casper (David “Dai” Bradley) è un quindicenne che divide la sua vita tra scuola e lavoro per aiutare la famiglia, con cui ha un pessimo rapporto. Infatti, il padre è scappato di casa da tempo, la madre (Lynne Perrie) lo considera un caso perso, mentre il fratello maggiore Jud (Freddie Fletcher) lo insulta e lo percuote.

Per trovare finalmente la pace, Billy si dedica all’allevamento di un gheppio (specie di falco), chiamato appunto Kes dal ragazzo, trovato in una fattoria.

Il film è tratto dal romanzo A Kestrel for a Knave di Barry Hines, il quale rifiutò di vendere i diritti alla Disney in quanto questa pretendeva di edulcorare il finale.

Ken Loach, come di consueto, dà voci ai ceti meno abbienti, prediligendo una racconto lineare accompagnato da numerosi accorgimenti stilistici.

Infatti, uno dei primi campi lunghissimi, per esempio, ritrae Billy seduto sul prato a leggere un fumetto con una fabbrica fumante sullo sfondo. Tale fotogramma racchiude la domanda alla base del film: in una società in via di sviluppo, in cui è il lavoro ad attribuire un valore all’individuo, c’è ancora spazio per i sogni?

Il grigio spento della fabbrica, inoltre, contrasta con il prato verde, ma è in armonia con le vesti di Billy. Anche l’uso del colore, quindi, interpreta la disillusa dicotomia tra realtà e sogno, che tristemente si risolve quasi sempre in favore della prima. Soprattutto considerando il finale del film.

Oltre alla sapiente regia di Ken Loach e alla ponderata fotografia di Chris Menges, in seguito due volte premio Oscar grazie a Roland Joffé, degne di lode sono le varie interpretazioni. David Bradley, in seguito attore teatrale, è al suo esordio assoluto nella recitazione e, nonostante la tenera età, ha saputo evocare alla perfezione lo spirito dei giovani del suo periodo.

E’ da ricordare, inoltre, la partecipazione di Colin Welland, premio Oscar per la sceneggiatura di Momenti di Gloria (Hugh Hudson, 1981), nel ruolo di Mr. Farthing. Nel film, egli interpreta l’unico personaggio principale che si prende a cuore Billy.

Ai due temi principali proposti dal film, dicotomia sogno-realtà e istruzione, corrispondono due simboli positivi: Mr. Farthing è l’emblema del buon educatore, mentre il gheppio è il simbolo del sogno e della libertà.

11) L’uomo che bruciava i cadaveri – Juraj Herz (1969)

1969

Durante il periodo della Prima Repubblica cecoslovacca (1918-1938), Karel Kopfrkingl (Rudolf Hrušínský) lavora in un forno crematorio. L’uomo trova una forte motivazione nelle idee contenute in un libro sul misticismo tibetano di Alexandra David-Néel, che sostiene la morte liberi le anime dalle sofferenze terrene per la reincarnazione.

Quando l’amico Walter Reinke (Ilja Prachař) lo invita ad aderire al partito nazionalsocialista, però, Karel svilupperà un fanatismo che andrà a sovrapporsi alle sue credenze…

Basato su un racconto di Ladislav Fuks, L’uomo che bruciava i cadaveri è un grottesco film pervaso da un’atmosfera inquietante capace di anticipare il cinema di David Lynch. Per ottenere un effetto lugubre viene scelto il bianco e nero, in un’epoca in cui si sperimentava notevolmente con i colori. Grazie a tale scelta, gli effetti di luci e ombre conferiscono all’opera un’atmosfera ancor più surreale, enfatizzata dalla scelta dell’obbiettivo.

Per effettuare molte riprese in interni, infatti, Herz usa il grandangolo, solitamente adottato per per avere maggiore profondità di campo in spazi aperti: l’effetto ottenuto nei campi medi, invece, è una curvatura dell’immagine, che accentua la bizzarra atmosfera delle vicende.

Inoltre, siccome il punto di vista appartiene al folle protagonista, molte scene potrebbero addirittura non avvenire nella realtà. La commistione tra reale e onirico aumenta sempre di più man mano che ci si spinge verso l’enigmatico epilogo, all’approssimarsi del quale a Karel appare un emissario tibetano interpretato dallo stesso attore.

Il montaggio è degno di nota: nel finale di ogni inquadratura, il protagonista effettua un’azione slegata dalla circostanza che sta vivendo ma legata a quella della scena che sta per cominciare. Un esempio: alla fine della visita al museo delle cere, Karel scopre il braccio senza apparente motivo; nell’inquadratura dopo, egli è in uno studio medico per il prelievo del sangue.

I temi principali del film sono la morte, l’ideologia totalitaria e il fanatismo religioso. Inizialmente, Karel disquisisce sul proprio lavoro e sul motivo per cui lo trova nobile, ritenendo la cremazione un veicolo importante per la reincarnazione. Egli, inoltre, non beve né fuma, arrivando persino a spegnere le sigarette dei suoi interlocutori.

Muta spettatrice e ascoltatrice dei deliranti monologhi e atti del protagonista è la Morte in persona, interpretata dall’attrice Helena Anýzová. Ella figura anche in altri ruoli, come altri membri del cast, tra cui Vlasta Chramostová, che interpreta sia la moglie del protagonista sia la prostituta con cui Karel la tradisce in una scena.