Malcolm e Marie: Recensione del film con Zendaya e John David Washington

Malcolm & Marie è tra le novità originali Netflix più viste (e controverse) di questo Febbraio 2021. La nostra recensione del film di Sam Levinson con Zendaja e John David Washington.

Malcolm & Marie
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Girato tra il 17 Giugno e il 2 Luglio 2020, Malcolm & Marie di Sam Levinson resterà agli annali come uno tra i primissimi film approvati da Writers’ Guild of America, Directors’ Guild of America e Screen Actors’ Guild, quindi realizzati in pieno lockdown, mentre i numeri della pandemia da Covid-19 sembravano letteralmente travolgere gli Stati Uniti.

Per questo, ben prima della release su Netflix, Malcolm & Marie sembrava possedere già l’aura, il fascino insidioso del film-testimonianza. Eppure, a differenza di tanti instant-movie, girati in Italia e nel mondo tra scenari al limite della Fantascienza , del lockdown Sam Levinson ha voluto conservare solo l’essenza. L’angoscia, la dimensione claustrofobica dell’interno domestico.

Protagonisti assoluti del film sono Zendaya e John David Washington, chiamati a rappresentare l’inferno di una relazione al capolinea. Il male oscuro che ammala questi due individui, e insieme la coppia, non è certamente il Covid. Eppure, il film sembra descrivere un disagio profondamente contemporaneo. Un senso di deriva così profondo, che mira direttamente al cuore dello spetttatore.

Ma Malcolm & Marie è davvero il racconto di una relazione tossica? Trama e intreccio sono effettivamente calibrati, progettati perché sia tremendamente facile scivolare nel magma, lasciarsi coinvolgere, immedesimarsi nell’una o l’altra parte, per arrivare perfino schierarsi, come si fa di consueto in una guerra, che si scelga la parte di Zendaya o di John David Washington.

Eppure, al netto di qualunque giudizio, se il film originale Netflix sta registrando numeri da record, è proprio perché il dispositivo funziona in modo quasi impeccabile. Funziona così bene che è perfino possibile rifiutare le ragioni di entrambi, detestare le rispettive contorsioni psichiche, senza rintracciare vincitori né vinti, una vittima che non sia anche carnefice.

Forse, il punto è proprio che Malcolm & Marie, un film dalla struttura apparentemente semplice, minimale, nasconde nei meandri di ogni singola inquadratura una battuta, un accento, un dettaglio capace di evocare altri scenari, altre implicazioni, pronta a innescare sistematicamente sensazioni e riflessioni contrastanti.

Il peggiore torto che potremmo fare a Sam Levinson, Zendaya e John David Washington, sarebbe quindi partecipare ad un certo atteggiamento critico, che non sta semplicemente svalutando il film: lo sta riducendo a mera superficie.

La superficie, nello specifico, è una Fotografia fondata su un bianco e nero fortemente contrastato, del tutto simile al filtro “Metallico” nei preset Apple. Un trucco che esaspera luci e ombre, decisamente poco realistico, ma al tempo stesso familiare, già che ci ricorda le opzioni disponibili in tante App di fotoritocco.

Possibile che Sam Levinson, filmmaker e producer che ha raggiunto la notorietà internazionale grazie a una serie provocatoria, cruda e indigesta come Euphoria, possa aver inavvertitamente scelto una confezione estetizzante, artificiale e falsa come un qualunque spot televisivo?

Se il filtro metallico ci sembra effettivamente più vicino alla pubblicità che al Cinema, se ci ricorda istintivamente lo spot di una una Eau de Parfum da 100 euro, non può che essere una scelta deliberata. Discutibile, ma sempre deliberata, che dichiara chiarissime intenzioni politiche.

Mentre restiamo avviluppati da un magma di parole, urla e accuse, recriminazioni e riconciliazioni, tra tanti sentimenti viscerali Malcolm & Marie dichiara comunque la sua aspirazione di political statement.

La prima affermazione politica riguarda proprio il lusso, la casa, gli oggetti. Perché quella di Malcolm & Marie non è banalmente una villa di Hollywood, una magione da quarantacinque stanze adornata di capitelli corinzi e rubinetterie in oro. Piuttosto, è un piccolo capolavoro di design, che rimanda al Gotha dell’Architettura del ‘900: Le Corbusier, Mies Van Der Rohe, Frank Llyod Wright.

E se l’ispirazione spazia dalla Ville Savoye a Falling Water House, questa casa di vetro in termini cinematografici ha un referente molto preciso: la villa di Parasite di Bong Yoon-Ho. In questo genere di unità abitative d’alto lusso non esiste una spilla, una forchetta, un asciugamano che sia finito lì casualmente, senza passare prima dall’Olimpo del Design.

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E il punto, evidentemente, resta fermo: i protagonisti sono due giovani Afro-americani. Solo pochi anni fa avrebbero dovuto arrampicarsi dalle fondamenta, combattere forse una vita per raggiungere questo livello di stabilità, di benessere economico. Oggi, invece, possono perfino mostrano a nudo, come narcisisti patologici. Esseri forse irrimediabilmente danneggiati, che pure appartengono de facto al “Primo mondo”.

Non siamo dei sobborghi, non c’è la violenza del Queens o nel Bronx, ma non siamo neanche in un universo parallelo dove il “razzismo sistemico” si combatte a colpi di ostentazione. John David Washington e Zendaya erano gli interpreti perfetti per questa rappresentazione simbolica. Due personalità critiche, politicamente schierate , ma anche due stelle della nuova Hollywood, che non rispondono a nessuno dei vecchi cliché.

Identità, razza e genere si incontrano così al crocevia di un film che, in prima istanza, si presenta come un dramma tossico, una tragedia del disamore.

Ma in pratica, con questo terzo lungometraggio Sam Levinson rilancia la posta fino a cercare il fondo. Disseziona la realtà, il presente e i suoi due protagonisti, in cerca delle più deflagranti domande esistenziali. E tra queste, non c’è solo una domanda sull’impossibilità dell’Amore.

C’è anche una domanda sul Cinema e il suo senso, per un’esperienza profondamente meta-cinematografica.

Malcolm & Marie : la Trama

Hollywood, Los Angeles, California: Interno notte. Malcolm (John David Washington), attore di successo, ha appena presentato alla stampa il suo primo film da regista. La premiére è finita, è ormai notte fonda quando Malcolm e la sua fidanzata Marie (Zendaya) rientrano in casa, iniziando una lite apparentemente senza fine.

Siamo forse alla resa dei conti, già che l’ex attrice e il filmmaker d’assalto sono legati da una relazione di lungo corso. Qualunque punto della discussione è stato già affrontato tante, troppe volte. Eppure, la faida privata di Malcolm & Marie sembra spegnersi e riaccendersi, come si nutrisse di ogni gesto, ogni parola, trovando nuova linfa vitale .

Sam Levinson, Zendaya e John David Washington mettono così in scena il loro personale atto unico. Forse è la rappresentazione di una relazione tossica, ma ancora carica di sentimenti. Forse è puro metacinema: un’opera che ambisce all’aura di specchio del proprio tempo, visto attraverso la proverbiale struttura delle Scene da un matrimonio.

Malcolm & Marie: la Recensione

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Zendaja e John David Washington sono i protagonisti di Malcolm & Marie, una delle più dirompenti novità di Febbraio su Netflix

Tra le molte, sistematiche contraddizioni orchestrate da Sam Levinson per Malcolm & Marie appare istantaneamente chiaro un primo, profondo contrasto: quello tra forma e sostanza.

Oltre l’evidente, sistematico clash tra verità e finzione, sensazioni viscerali e confezone glamour, il film centra una strana, stridente quadratura del cerchio: quella tra un’estetica fortemente contemporanea e un’idea drammaturgica essenzialmente neo-classica.

Il regista di Euphoria, girando in America in piena pandemia, sperimentando un nuovo protocollo per garantire l’incolumità della troupe e del cast, avrebbe comunque siglato il proprio ingresso nella Storia. Ma il mero dato storico non era abbastanza.

E così, mentre il mondo civilizzato sperimentava soluzioni senza precedenti, chiudendo sempre nuovi confini, tra lockdown di legge e isolamento volontario, il regista ha scelto la classica struttura del dramma da camera.

Il risultato è certamente un film d’ispirazione teatrale, fondato sulla parola, lo script e l’interpretazione. Eppure, aldilà del coinvolgimento emotivo, dei giudizi morali, Sam Levinson ha saputo effettivamente moltiplicare i piani del racconto, scatenando un film che è un cortocircuito continuo: cinematografico, politico e sentimentale.

Esistevano in effetti tanti precedenti illustri, che raccontano una relazione di lungo corso: quella che lega il Cinema sperimentale e l’Amore. Scelto come tema d’elezione dalla Nouvelle Vague francese, l’Amore o meglio lo scontro di un uomo e una donna, rappresentano ormai uno schema collaudato.

Un dispositivo che ormai è un classico, quasi quanto “Il viaggio dell’eroe” e le mitologiche 12 tappe descritte minuziosamente da Chris Vogler. Se quei modelli di trama e intreccio si prestano ancora oggi a un’infinità di variazioni, il tormento e l’estasi di una relazione tossica si confermano il campo di gioco del cinema d’avanguardia.

Le Scene da un matrimonio, naturalmente, erano quelle immaginate da Ingmar Bergman, ma la Storia del Cinema americano ha saputo rispondere efficacemente con una nutrita schiera di capolavori, tutti incentrati su famiglie, affetti, legami e passioni concretamente disfunzionali.

Tra i referenti diretti di Malcolm & Marie citeremo allora Shadows, Ombre (1959), imprescindibile opera prima di John Cassavetes, attore, regista e sceneggiatore che ha letteralmente definito le coordinate del New American Cinema, e così del nascente “Cinema indipendente americano”.

Tanti altri titoli potrebbero essere evocati in questa lista di nuovi classici, stilando perfino un’immaginaria classifica dei film americani a tema amore deragliato. Ma quello che lega indissolubilmente Shadows con Malcolm & Marie è anzitutto l’elemento cardine: il fattore razziale.

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Ombre era anche il film-manifesto della Beat Generation, di New York, la sua scena Jazz. Oggi Sam Levinson racconta piuttosto un isolamento senza speranza, la solitudine di due giovani, due artisti di successo, che sembrano già irrimediabilmente sconfitti, incapaci di reagire al passato, ai propri errori, alla deriva della propria esistenza.

In prima istanza, la natura provocatoria del film si rivela nel lusso, mostrando due giovani afro-americani altamente istruiti, benestanti, all’apice del successo. Poi, sceglie di squarciare il velo perfino su questo nuovo cliché, rivelando una relazione di co-dipendenza dai tratti violenti, profondamente malati.

Ma se è riduttivo giudicare Malcolm & Marie solo per la confezione, la fotografia, è riduttivo anche ridurre film ad un mero trattato sul narcisismo patologico. La tentazione è forte, già che Zendaya e John David Washington si alternano abilmente scena, passando continuamente dalla ragione al torto. Il fascino morboso del film risiede proprio nel massacro. Nella faida che, in fondo, non lascerà nessuno innocente.

Ma c’è un ulteriore, forse definitivo scopo in questo esperimento di Cinema da pandemia. Perché se la struttura drammaturgica del film è davvero classica, la serie serrata dei dialoghi condurrà inesorabilmente al climax, al monologo definitivo, che chiude l’arco del personaggio. Quei monologhi che, un tempo, venivano identificati come “scene madri”.

Per evitare spoiler, possiamo solo alludere alla doppia “scena madre” riservata a Zendaya, giovane musa di Sam Levinson. Ma possiamo dire che il processo, la serie di ragionamenti che condurrà al “monologo della gratitudine”, vale la visione del film intero. Come affermazione di genere, come idea femminista, come semplice pezzo di straordinario Cinema.

Di contro, è nel monologo di John David Washington che il regista rivela letteralmente se stesso. Il “monologo cinematografico” di Malcolm esplode come una lunga, inarrestabile, feroce invettiva contro una fantomatica Karen, critico di L.A. Times, autrice di una recensione non troppo negativa, ma neanche propriamente centrata.

Peccato che gli stralci della recensione, citati testualmente nel film, appartengano realmente a diversi articoli del critico del Los Angeles Times.

Il diretto interessato non è una donna bianca, anzi si chiama Justin Chang, ma non ha apprezzato il paradosso. Anzi, non ha potuto fare a meno di rispondere, rifilando al film di Sam Levinson il più terribile tra i giudizi: “solipsistico”.

Il monologo di John David Washington, oltre ad un numero imprecisato, impressionante di “F-Word”, contiene piuttosto un compendio del cinema contemporaneo. Una lista di personalità lontanissime nel tempo, eppure indimenticate, da Ida Lupino a Ed Wood, da Billy Wilder a Gillo Pontecorvo.

Ma soprattutto, contiene l’idea di cinema di Sam Levinson. Un’idea sofferta, forse disperante, come le parole che collassano su loro stesse, e su questa storia al capolinea.

Eppure, in un passaggio storico come quello presente, dov’è incerto tutto, perfino il destino del grande schermo, e così del Cinema stesso, per come lo conosciamo da oltre un secolo, Malcolm & Marie è un film necessario. Difficile, controverso, ma comunque imprescindibile.

Malcolm & Marie: il Cast

Malcom : John David Washington

Marie: Zendaya

Malcolm & Marie: Trailer Ufficiale