Welcome To Blumhouse, la Recensione dei primi quattro horror

Per ora, Welcome To Blumhouse non convince. Tra i primi quattro film, solamente Nocturne riesce a cogliere il segno.

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È ormai innegabile che Jason Blum riesca ad avere mille mani in pasta coprendo ogni media possibile e incassando sempre tanto spendendo poco. Dopo Into The Dark, ecco arrivare Welcome To Blumhouse direttamente su Amazon Prime Video, un’altra serie antologica che però, a differenza di quella su RaiPlay, non sembra avere un fil rouge a collegare gli “episodi” (virgolette d’obbligo).

La prima release vede due titoli che possiamo tranquillamente etichettarli sotto la categoria del flop: Black Box e The Lie. Discorso analogo anche per Evil Eye che sebbene le venature più horror nonché interessanti tematiche scade nella banalità.

Di tutt’altra fattura Nocturne, un teen horror che prende spunto dalla leggenda de Il Trillo Del Diavolo di Tartini, offrendo spunti di riflessione sul mondo dell’arte e della musica in generale. Per il momento però il bilancio di questa prima metà di Welcome To Blumhouse risulta essere negativo giacché se ne salva solamente uno su quattro. Attendiamo la seconda release programmata per il 2021.

Welcome To Blumhouse: Black Box, Trama e Recensione

In un gioco che rimanda moltissimo ad Inception, causa tematica onirica, nonché a In Trance di Danny Boyle, Black Box racconta le tristi vicende di Nolan, vittima di amnesie per colpa di un brutto incidente stradale. Vedovo di moglie e con una figlia piccola, Nolan tenterà di tutto per riprendere la sua vita normale.

Un amico medico gli consiglia un trattamento speciale firmato dottoressa Lilian. Un metodo sperimentale capace di scavare nei ricordi e ripristinare così il corretto funzionamento della memoria. Ovviamente gli ostacoli saranno molteplici, così come i colpi di scena.

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Sfortunatamente, sebbene le discrete interpretazioni del cast, in particolare quella di Mamoudou Athie, Black Box non riesce mai a decollare realmente. Il doppio plot twist, per quanto prevedibile, manca di quel guizzo registico che lo avrebbe reso vagamente memorabile.

Le tematiche sci-fi, molto vicine alla distopia di Black Mirror, rimangono molto interessanti, anche se mai realmente approfondite, soprattutto unendole ad una problematica importante più “reale”, quella della violenza domestica. Non aiuta nemmeno il taglio prettamente televisivo, che spoglia il film di una delle principali caratteristiche dei film Blumhouse: l’immediatezza dell’horror.

I film firmati Jason Blum sono tutti caratterizzati dalla presenza di un elemento orrorifico declinato in un modo preciso e ormai delineato. Per certi aspetti, Black Box ribalta (in negativo) tutto questo, adagiandosi su un thriller fin troppo dilatato e sgangherato nella messa in scena. E in cui l’elemento horror viene archiviato in fretta e furia per virare su un thriller fantascientifico decisamente superificale.

Welcome To Blumhouse, The Lie: Trama e Recensione

Rimanendo sui lidi del thriller, questo The Lie appare più interessante seppur senza eccessiva pretese. Una famiglia divorziata, fatta di opposti: lei avvocato, lui musicista. E una figlia, Kayla, che durante un impeto di rabbia uccide la sua migliore amica Brittany.

Proprio nel dramma, la famiglia si riunirà nel dramma, coprendo la figlia con un infinito turbinio di bugie, soprattutto quando partono le indagini per la scomparsa di Brittany. Poco a poco però, il dramma metterà a dura prova chiunque.

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Remake del 2018 del teutonico We Monster, The Lie appare il più convincente di questa prima release. Pur peccando di una certa superficialità, riesce a svolgere egregiamente il suo lavoro, ossia quello di creare suspence, soprattutto durante i dialoghi tra polizia e familiari.

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Tutto sembra di essere sempre sul punto di scoppiare, a partire dall’unità familiare. Un’unità flebile, fatta di mutuo soccorso e nasi turati, tanto è il fastidio evidente che i due ex coniugi provano verso l’altro. Ma tutto deve essere messo da parte quando si tratta di salvaguardare la povera Joey King.

Una fotografia glaciale accompagna le immagini in movimento di questo The Lie, perfette se unite alla freddissima interpretazione di Joey King nei panni dell’omicida Kayla. Il suo alternare costantemente sorrisi e pianti, breakdown psicologici e momenti di tenerezza familiare, meritano un plauso, anche perché ciò che colpisce è una totale assenza di empatia.

Inevitabile a questo punto chiedersi il perché di quest’assenza. Ci penserà un discreto plot twist finale, forse fin troppo esagerato nei suoi intenti, ma che sicuramente lascerà di stucco. Un trucco molto furbo e funzionale a colmare tutte quelle lacune che il film ha ma che in fin dei conti riesce ad ammaliare lo spettatore.