Solo Tarantino ci salverà dalla Ferragni

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Neanche ai tempi degli Oscar a Sorrentino l’opinione pubblica italiana si era scatenata come ha dimostrato di saper fare nel caso di un titolo improbabile quale Chiara Ferragni: Unposted. Nella più classica delle scissioni immaginarie tra Italia reale e intellettuali del web, il Paese si è ritrovato stavolta spaccato in due a valutare l’impatto culturale del documentario promozionale di un’influencer. L’edipica lotta di una nazione contro se stessa, in un tripudio di luoghi comuni vecchi come la stampa.

Si sono delineate due principali posizioni in merito al successo di Chiara Ferragni; è la morte della cultura, il de profundis di un popolo ignorante, Povera Italia eccetera. Oppure (punto di vista altrettanto miope e banale), è il meritato trionfo e legittimazione di un modello positivo di business, di un nuovo meraviglioso mondo di imprenditoria digitale incarnato dalla biondissima self-made woman, che il popolino contadino e bigotto si ostina a non voler accettare.

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C’era una Volta Chiara Ferragni Unposted: i numeri del trionfo

Non esistono vie di mezzo o sfumature, e Chiara Ferragni Unposted è arrivato come l’ago della bilancia a derimere la questione. Il responso è chiaro: hanno vinto i secondi. Con 1.6 milioni incassati in tre giorni infrasettimanali, il documentario è il maggior incasso in una singola uscita per un film evento non riservato al weekend. Un modello distributivo astuto quanto la stellina social che promuove; Unposted ha evitato saggiamente la concorrenza diretta del finesettimana, ha spalmato la propria uscita su tre giorni feriali (da che mondo è mondo, un fan il tempo lo trova), e si è accomodato sulle prime pagine dei giornali tra prevedibili sparate di record battuti e evento storico.

E con questi numeri, viene quasi da crederci. Loving Vincent, il concorrente più vicino, si era fermato a 1.1 milioni. Un successo. Fedez esulta: i critici non contano nulla (come se l’obbiettivo delle riviste di settore sia boicottare economicamente progetti a colpo sicuro come questo). Hater zittiti. Unposted sbarca ora su Amazon Prime Video, con un banner che possiamo indovinare. “Il film evento che nei suoi tre giorni ha incassato più del Re Leone”.

Con un esordio da cinque milioni, Once Upon a Time in Hollywood sarà presto il maggior incasso per un film di Quentin Tarantino

In tutto questo, ha trovato il modo di farsi largo l’idea di una sfida a distanza tra Chiara Ferragni Unposted e l’altro grande mostro del weekend. Opportunamente schivato dai distributori del documentario, avanza trionfante l’ultimo bizzarro vessillo del “Cinema di Qualità”. Il paragone con C’era una Volta a Hollywood non ha ovviamente senso per un migliaio di motivi (due film con target diverso, distribuiti in periodi diversi della settimana con diverse modalità). Ma al netto di ciò, una forma di opposizione ideale tra i due prodotti esiste eccome. E non certo nel tipo di pubblico il cui scontro ideologico i due film andrebbero a rappresentare. La maggior parte di quanti erano in sala per Unposted mercoledì, in fondo erano probabilmente in sala anche per Tarantino sabato sera.

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Once Upon a Time in Hollywood, distribuito per lo sconforto generale con due mesi di ritardo sugli USA, ha incassato in quattro giorni 4.5 milioni di euro. Una cifra che sale a 5.4 contando le anteprime di martedì. Il miglior esordio per un film di Quentin Tarantino, molto probabilmente il suo futuro maggior incasso al termine della corsa.

Due scenari futuri a confronto: Unposted e i nuovi spazi di distribuzione

I dati importanti di due film così deliberatamente antitetici in tutto come OUATIH e Chiara Ferragni Unposted, più che di un fantomatico clash culturale, ci parlano ancora una volta dello stato attuale del cinema e del suo futuro. I 1500 euro al giorno portati dalla  influencer alle sue sale selezionate non sono uno scherzo; e non sono uno scherzo 1.6 milioni a metà settimana, pur “drogati” dal buzz da film-evento e dalle polemiche veneziane. Anzi, è forse proprio di questo che si parla. Un film destinato ad una piattaforma streaming, un documentario centrato su una figura social dal pubblico giovanissimo, uscito in un pugno di schermi per tre giorni feriali… apparentemente quanto di più lontano dal grande pubblico. Eppure i numeri hanno detto il contrario.

Al netto del soggetto del film, è uno squarcio di futuro importante. Gli esperimenti degli scorsi anni su Sulla Mia Pelle e Roma avevano aperto la strada, una nuova conferma è arrivata adesso. Se al cinema non ci va più nessuno, se il prodotto audiovisivo è ormai mirato al privato della fruizione casalinga, allora il futuro è davvero Unposted. La distribuzione selettiva, le uscite-evento per due pomeriggi, lo sguardo sempre più chiuso e elitario per quella che una volta era la forma più aperta e democratica di intrattenimento. La sala come facoltativo antipasto allo streaming, svago per nostalgici pretenziosi, tassello marginale di un successo costruito sulla liquidità della visione casalinga.

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Tarantino è oggi l’unico autore in grado di imporre la visione in sala a un pubblico disabituato

In tutto ciò, il film di Quentin Tarantino rappresenta ancora una pittoresca resistenza novecentesca a queste nuove frontiere. C’era una Volta (quale titolo più adatto) è un prodotto antico anche rispetto agli altri colossi della distribuzione in sala contemporanea: non solo è un film unicamente pensato per la fruizione collettiva dei theaters (fosse per Tarantino verrebbe proiettato con le pizze di celluloide), ma continua a seguire regole distributive e promozionali senza nessun pari nel panorama odierno. Il suo motore non è un franchise, né personaggi, né proprietà intellettuali esistenti, neanche generi precisi di richiamo. Solamente un nome, il regista-star in cartellone: un concetto che pareva morto negli anni ’90 con Kubrick e Fellini, e che resiste oggi solamente nel caso dell’americano.

E che vince. Gente ormai abituata a comprare due biglietti l’anno, trova la voglia di tornare in sala. Con la sola forza della curiosità, l’ansia da evento culturale imperdibile, qui e ora, non posticipabile né replicabile. Mentre il cinema inteso come luogo aggregativo si trasforma in un vezzo per pochi originali e per studiosi del personaggio di Chiara Ferragni, l’ultimo degli autori trascina centoventimila persone al vecchio, ammuffito rituale della visione di gruppo. Resta da decidere se leggerlo come una resistenza romantica, o come un anacronismo da lasciarsi alle spalle. D’altronde, persino gente come Martin Scorsese ha ormai sposato la via della blonde salad. Tra due mesi il suo The Irishman uscirà il tempo di un paio di pomeriggi. Magari insieme alla reissue di Unposted.