“Come i Nirvana ma più bassi e brutti”: i Pixies e i 30 anni di Doolittle

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Il secondo disco dei Pixies, la storica band di Boston, compie quest’oggi trentanni. Vediamo insieme di capire bene le parole di Manuel Agnelli riportate nel titolo analizzando a fondo il noise pop di Doolittle.

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Un nuovo produttore

Il già produttore di Throwing Muses e Echo & The Bunnymen, Gil Norton, entra in studio con la band ad ottobre. Registrazione e missaggio occuperanno quasi 2 mesi di lavoro. La produzione non ricalca certo i fasti dell’esordio (indimenticabile l’intuizione geniale di Steve Albini di registrare Where Is My Mind nel bagno dello studio) lasciando spazio alla post-produzione. Infatti il disco non vedrà le stampe prima di 4 mesi.

Ma era bene aspettare. Immaginiamo quali sensazioni abbiano attraversato i primi ascoltatori al solo inserire il disco e sentir partire il giro di basso dell’opening track. Debaser era infatti il miglior modo per aprire il secondo disco dei Pixies. Appresa la lezione auto-impartita di Where Is My Mind, danno immediatamente prova di sapersi aggirare nel pop con uno slancio squisitamente aggressivo, anticipando di qualche anno i colleghi Nirvana.

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Da un testo di ispirazione Buñuel/Dali, si passa nella seconda traccia ad una ripetitività paranoide del titolo del brano: Tame, una traccia che schiude la versatilità di timbri vocali di Black Francis. Si torna a ritmiche e melodie più posate con Wave of Mutilation che comunque risulta altrettanto energica e ”malata”, dato che parla di suicidio. Un’ottica del contrasto che ricorda il Lou Reed di Walk on The Wild Side.

Dopo I Bleed, che percorre la scia lunatica di Tame ma impreziosendola, si passa al brano più pop e diffuso, noto al grande pubblico sopratutto per la sua presenza nel film di Marc Webb: ”(500) Days of Summer”. Here comes your Man, risulta finora la traccia più slegata dalle altre. Una canzone da hit parade che entra a gamba tesa in una tracklist con influenze molto punk fino a quel punto (che comunque torneranno già con la traccia successiva).

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Melodie inaspettate

Con Dead, brano che convoglia tutta la sottile violenza tipica di una parte della futura produzione ”Cobainiana”, si passa alla conclusione della prima parte del disco con la traccia che colpisce maggiormente per forma e contenuti: Monkey Gone to Heaven. Anticipata dalla splendida copertina del disco, questa candida ballata lascia pochi scorci alla rudezza del canto di Black Francis (che comunque si sbilancia in qualche punto con degli scream) lasciando spazio nel ritornello alla collega nonché bassista Kim Deal, che ritroveremo in splendida forma verso la coda del disco.
Ospite nella realizzazione del brano vi è addirittura un quartetto d’archi, che dona un’atmosfera sognante perfettamente distrutta dal reggae schizoide dell’intro di Mr. Grieves, la traccia seguente.

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Una sperimentazione continua

A parte l’intro, Mr. Grieves stupisce per l’essenzialità della seconda chitarra, perfettamente studiata da Joey Santiago in tutti i brani precedenti ma che nell’outro di questo brano esce fuori con un riff da antologia. Si prosegue con Crackity Jones, magistrale sparata di un minuto e mezzo scarso che unisce perfettamente l’hardcore e il cowpunk dei Gun Club (tra i più grandi ispiratori dei Pixies).

Visto che in qualunque band che si rispetti non va oscurato nessuno, la traccia seguente vede come linea vocale principale quella del batterista David Lovering. La La Love You, risulta così la vera outsider del disco: parti fischiate, coretto femminile, e schitarrate fuori tono che proseguono la cifra stilistica di Santiago iniziata con Mr. Grieves e che da qui in poi sarà onnipresente. Infatti la successiva No. 13 Baby (dove anche il basso della Deal risulta imprescindibile) si chiude con un’orchestrazione ritmica sensazionale.

Due tracce strazianti

Così come There Goes My Gun, nella quale oltre l’outro troviamo un riff nella parte centrale tanto semplice quanto geniale. Arriva poi Hey, il culmine di questo spettacolare utilizzo delle due chitarre. Una contorta e combattuta storia d’amore -inframezzata da cori di prostitute e grida di partorienti- dove i bending dilanianti di Santiago la fanno da padrone. Anche qui abbiamo un grandioso riff nella parte centrale che apre all’unico vero solo di tutto il disco. Probabilmente la canzone che tra tutte possiede la più alta tensione drammatica insieme alla successiva Silver.

Scritta a quattro mani da bassista e cantante, questa penultima traccia ci offre una commistione vocale tale che Black Francis e Kim Deal si confondono in dei falsetti eterei accompagnati da delle impercettibilmente dissonanti chitarre acustiche in un country dark e cupissimo. La traccia più acustica dell’intero disco, nella quale esce fuori maggiormente la voce femminile come anticipato a metà articolo.

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Doolittle si conclude perfettamente, così com’è iniziato. Gouge Away è una traccia che lascia con l’amaro in bocca, per il quale si è costretti (in senso buono) a riascoltarsi il disco tutto d’un fiato. Tutt’ora una della migliori ending track mai scritte, vista la difficoltà che comporta il chiudere egregiamente un disco.

Due mesi dopo usciva Bleach, esordio dei Nirvana. Per quanto Cobain sostenesse che il suo preferito era Surfer Rosa, riteniamo che questo secondo disco dei Pixies sia stato per lui una sorta di vade mecum, utilissimo per le svolte future di Nevermind, In Utero e specialmente Incesticide. È in quest’ottica che siamo d’accordo con Agnelli quando afferma che ”i Pixies erano i Nirvana qualche anno prima, ma più bassi e brutti”. E Mettendo Cobain e Black Francis a confronto, non gli si può proprio dare torto.

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