La casa delle bambole – La recensione di un incubo vivo e palpabile

La casa delle bambole
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Il nuovo film di Pascal Laugier, giunge finalmente nelle sale italiane, portando in scena un male concreto, ma al tempo stesso poco definito.

La casa delle bambole narra la storia di una donna che, dopo aver ereditato una casa da dei lontani zii, decide di trasferircisi con le sue due figlie. Durante la loro prima notte però, una banda di assassini irrompe nell’abitazione, cambiando per sempre la loro vita. Due efferati aguzzini privati volutamente di qualsiasi tipo di background per ampliare la sensazione di disagio e pericolosità che emanano per tutta la durata della visione. Lo spettatore, proprio come le due protagoniste, non sa nulla di loro. Non sa perché sono li, ma sa soltanto di che cosa sono capaci. Una trovata funzionale, che rende il pericolo illeggibile e così ancora più terrificante e minaccioso. Pascal Laugier, dopo Martyrs, torna a realizzare un altro lavoro perverso e decadente, dove ogni certezza viene annientata dove ogni buon proposito, viene annientato. Non c’è spazio per la redenzione, proprio come  non c’è posto per la speranza.

Ne La casa delle bambole esiste solamente il dolore, la follia e la violenza. Una sorta di prigione fisica e psicologica, volta ad annientare il corpo e l’anima delle due protagoniste. L’opera di Pascal Laugier ad una prima visione, riesce ad apparire fresca ed interessante, anche se composta da elementi, già ampiamente noti al grande pubblico. Cliché ed espedienti narrativi, utilizzati nel passato da diversi film, ma che il regista ripropone sotto una nuova formula, donando uno smalto differente al tutto. Un’impresa non da poco, che ha anche il merito di imbastire una storia sporca ed a tratti grottesca, che descrive con grande cinismo, il trauma ed a che cosa può portare la violenza psicologica.

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La casa delle bambole

La casa delle bambole è un lavoro che mescola presente e futuro, sogno e realtà, in un torbido racconto privo di qualsivoglia certezza.

Pascal Laugier prende lo spettatore e lo mette alla stregua delle protagoniste, impossibilitate a fuggire dal loro dolore, ferme e immobili come delle bambole.  Un torbido inganno, che non permette alcuna via di fuga e che rende la sofferenza eterna ed indissolubile. Un qualsiasi trauma, riportato in seguito ad un evento spiacevole, crea un solco nella mente umana. Un taglio profondo e vivo, che obbliga chi l’ha subito, a rivivere gli orrori del passato, in un loop continuo e senza salvezza. La casa delle bambole, in poche parole è un incubo vivo e palpabile, indotto dal dolore di una reclusione forzata. Il pubblico durante la visione dell’opera non è così in grado di distinguere più la realtà dalla finzione, il passato dal presente, ritrovandosi avvolto in un’incertezza assoluta, proprio come Beth, volto principale del lungometraggio.

Cosa è reale? Qual è il vero futuro? Fin dove si ferma il trauma e subentra la vita?

Questi sono alcuni dei quesiti che Pascal Laugier decide di sollevare con la sua ultima fatica, ponendo però maggiore risalto ad uno più significativo: Fino a che punto la mente umana può reggere d’innanzi all’orrore? Domande a cui il regista decide di non dar risposta, lasciando allo spettatore l’ingrato compito, preoccupandosi solamente di far scorrere su schermo un macabro racconto, dall’esisto incerto. Anche sul finale infatti, non si ha la sicurezza assoluta che l’orrore sia finito, che il male non sia più tangibile fisicamente, ma solamente un incubo psicologico, da rivivere in eterno. Non ci sono elementi tangibili che possano far pensare, in via del tutto concreta, che le due ragazze siano riuscite realmente a sconfiggere il male. il dubbio permane, proprio come il dolore.

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Pascal Laugier con La casa delle bambole firma un piccolo gioiello di genere, che riporta in auge un modo di intendere il genere horror, estremamente funzionale ed esaltante. Sporco, cattivo e crudo come dovrebbe essere, molto meno di Martyrs, ma non per questo meno di impatto ed esaustivo.

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