Happy End, la recensione dell’ultimo film di Michael Haneke

Dopo "Amour", Michael Haneke torna a raccontarci le tristi vicende di una famiglia borghese, vittima inconsapevole del suo stato sociale.

RECENSIONE HAPPY END
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RECENSIONE HAPPY END

In concorso all’ultimo Festival di Cannes, il regista austriaco torna a raccontare una dramma familiare in salsa borghese, in cui di “happy” c’è ben poco. Un film che ci porta dentro ad una famiglia costretta quasi inconsciamente a salvare le sue apparenze mentre il mondo intorno a sé va a rotoli piano piano. La noia che va ad intaccare quello stereotipo sociale, la fine come unica soluzione. Una famiglia che si sgretola all’interno e dall’interno ma che salva l’unica cosa che conta: l’apparenza. Ad ogni costo.

RECENSIONE HAPPY END

RECENSIONE HAPPY END – Nella piccola cittadina francese di Calais, luogo di passagio di molti rifugiati, la famiglia Laurent deve far fronte a molte difficoltà. Non economiche quanto più interne, quelle lotte intestine che intaccano l’animo umano e che devono essere represse. Un anziano capo famiglia (il Jean Louis Trintignant de Il Sorpasso) stanco di vivere, il cui figlio non riesce a relazionarsi con la figlia del suo primo matrimonio. Ed una ditta di costruzioni che deve fronteggiare un crollo inaspettato. Storie di vita altolocata, viste quasi come fossero una prassi. Come già ci raccontava Haneke nel suo Niente da nascondereanche se qui non vige l’inquietudine quanto più la noia, che vede nella morte l’unica soluzione.

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RECENSIONE HAPPY END

RECENSIONE HAPPY END – Dopo Amour, Haneke torna nell’ambito familiare drammatico ma senza indagare la disperazione. Con estrema discrezione, quasi come fosse un documentario, ci viene mostrata una famiglia soggiogata dallo stato sociale, costretta in una casa labirintica ed infinita. La comunicazione tra i vari componenti è un problema reale e concreto e si riflette sia nelle azioni ribelli del nipote più grande, che in quelle autolesioniste di Eve. Ciò che colpisce è la volontà discreta di voler raccontare questa storia. Le azioni non vengono mai palesate direttamente, quanto più accennate in lontananza o mostrando direttamente le loro conseguenze. Come se la camera si limitasse ad osservare e a mantenere intatte quelle apparenze tanto care alla famiglia Laurent, senza mai voler giudicare direttamente le loro vicissitudini, quasi con rassegnazione.

RECENSIONE HAPPY END

RECENSIONE HAPPY END – Potrebbe risultare anacronistico raccontare una storia del genere oggi, ma Haneke vi si apporccia in maniera molto dura e senza troppi fronzoli. In maniera quasi nichilista, il regista di Funny Games non trova una soluzione a questa stasi perenne. Nemmeno nei personaggi più giovani. Le ribellioni di Pierre sono pressoché inutili, Eve non si stacca mai dallo schermo dello smartphone, un filtro verso la realtà che la circonda e che sembra non appartenerle ma dalla quale lei stessa è soggiogata. E così, tutto viene inghiottito dal mare che circonda Calais nell’indifferenza generale. Un film asciutto e diretto, capace di far riflettere sebbene ci si sarebbe aspettato qualcosina in più da Michael Haneke, fedele alla sua poetica dissacrante nei confronti della tanto odiata borghesia.

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