I migliori 13 antieroi della storia del cinema

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David “Noodles” Aaronson – C’era una volta in America (1984)

Once upon a time in America Robert De Niro

-I cavalli vincenti si vedono alla partenza
-Io avrei scommesso tutto su di te
-E avresti perso.

Maestoso è solo uno dei tanti aggettivi che si possono dare all’opera ultima di Sergio Leone, il cui soggetto è tratto dal romanzo di Harry Grey, Mano armata (The Hoods, 1952).

Il protagonista, Noodles, ha tutti i presupposti per essere un perfetto antieroe, lo dimostra fin dall’inizio della pellicola e in tutte le fasi che attraversano la sua vita. Cresce nel ghetto ebraico di New York, vivendo di espedienti insieme alla sua banda di criminali; dopo essere uscito dal carcere diventa un gangster e abusa di Deborah, l’unica donna che abbia amato sul serio, perdendola per sempre; cerca di tradire i suoi amici del cuore intascandosi i loro soldi ed uccidendoli per poi scoprire tempo dopo che il suo migliore amico, Max, non è morto come credeva, ma è vivo e gli ha preso tutto, perfino Deborah, lasciandolo vivere nel rimorso per 35 anni. Il suo personaggio, grazie ad una struggente interpretazione di Robert DeNiro, va oltre lo sviluppo della canonica storia dell’eroe protagonista, ci delude sempre, dimostra una fragilità unica ed insieme una capacità di sopportazione per tutto ciò che ha subito e compiuto, tutto questo contribuisce a renderlo un personaggio terribilmente affascinante ed indimenticabile.

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William “D-Fens” Foster – Un giorno di ordinaria follia (1993)

falling down

“Ho superato il punto di non ritorno. Sai qual è? È il punto in cui, in un viaggio, è più conveniente proseguire che tornare indietro.”

Cult diretto da Joel Schumacher con Michael Douglas. Los Angeles. Durante una torrida giornata d’estate, nel bel mezzo di un ingorgo stradale, William Foster, ex marine, divorziato dalla moglie, senza la tutela della figlia e licenziato, irrompe in una crisi di nervi senza via di soluzione.

Foster incarna tutte le caratteristiche della crisi dell’uomo medio: impiegato, cravatta, camicia, occhiali da vista e ventriquattrore, esplode in una crisi di rabbia senza ritorno verso lo stesso ambiente nel quale è vissuto, prendendosela con i gestori di un fast food, simbolo del capitalismo per eccellenza, poi con un venditore di armi nazista, altro collegamento con il suo impiego, dato che William è un ex-marine che è stato licenziato da un lavoro nel quale progettava missili per il Ministero della Difesa. Il tutto sfocia in un disperato tentativo di raggiungere la figlia per farle il regalo di compleanno, e malgrado sia consapevole di aver raggiunto un punto di non ritorno, persevera nelle sue azioni. Rappresenta il collasso nervoso di una società capitalistica, il tutto portato all’estremo. È la metafora della rabbia repressa che si cela dietro ognuno di noi (d’altra parte, quante volte abbiamo sentito la notizia di un omicidio per colpa di un parcheggio?).

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