La fantascienza di Duncan Jones e Vincenzo Natali: 4 film imperdibili

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Cypher, di Vincenzo Natali

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Di questa breve lista forse Cypher è il film che mi ha maggiormente stupito. E’ anche l’unico dei quattro scelti che non è stato almeno scritto o sceneggiato dal regista che l’ha diretto. Questo non ha impedito a Natali di riversare in Cypher tutta la sua poetica di regista. E’ ingiustamente poco noto, anzi quasi sconosciuto. Di base è un film di fantaspionaggio, ma con delle gradevolissime contaminazioni distopiche, ben lontano dalle imprese di 007, più vicino alla tragicomica avventura di Sam Lowry (Jonathan Pryce) nel Brazil di Gilliam, perduto in un sistema malato e turbato dalla burocrazia, volto ipertrofico della realtà che viviamo. Croce e delizia (ma più che altro delizia) della pellicola è la sceneggiatura: la trama scorre vivace, pur senza l’uso di sincopate scene d’azione, allo stesso tempo affidata a numerosi spiegoni (più propri di un romanzo che non di un film) sostenuti da personaggi un po’ macchiettati, ma non per questo meno intriganti.

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Cypher, bisogna ammetterlo, non scende a fondo nell’analisi dei personaggi e l’unico che ha un vero sviluppo interiore, oltre che fenotipico, è il protagonista, attorno al quale gli altri ruotano attorno come comparse piatte e quasi abbozzate. L’atmosfera della pellicola, sostenuta da una fotografia desaturata o virata al rosso o al blu (filo conduttore della filmografia di Natali), rende omaggio al già citato Brazil e al ben più noto Blade Runner, trascinando Morgan Sullivan, contabile dal volto inespressivo e l’esistenza anonima, in un mondo ancor più grigio e ancora una volta disumanizzante, dove il suo corpo diventa un mero strumento al servizio dello spionaggio industriale, al punto che per renderlo un arma ancor più efficace viene sottoposto al classico lavaggio del cervello in stile Cura Ludovico Van.

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Natali non ha mai fatto un segreto della sua stima per i maestri del passato come Gilliam, bensì ne ha parlato in numerose interviste e soprattutto nel 2005 ha diretto Getting Gilliam, un documentario di 45’ sulla realizzazione di Tideland, uno dei lavori di minor successo del buon Terry. Come già detto sopra, lo sviluppo del protagonista Morgan Sullivan c’è ed è a dir poco schizofrenico, a tratti difficile da legittimare, ma di scena in scena sempre più accattivante. Così il film inizia ad oscillare con stile tra il “dai ma non è possibile” e il “ma guarda che genio”. Questa costruzione di trama quasi allegorica viene però legittimata e concretizzata da un finale decisamente intrigante, che permette anche al film di slegarsi dalle atmosfere claustrofobiche di cui vive la prima metà della pellicola. Natali si mette alle spalle tutto il Brazil proprio del film e tira fuori uno sviluppo più ottimistico, più action e più commerciale, se vogliamo. L’espediente delle identità multiple che deve gestire Jeremy Northam (che interpreta Morgan Sullivan), in un primo momento pesante, passivo e criptico si fa via via più leggero, pungente e pratico. L’uomo in gabbia, così come era successo per Cube, è ancora una volta magistralmente descritto da Natali che non disdegna di prestare le sue tematiche anche ad una trama più cervellotica e scriteriata, ma, proprio per questo, bellissima.

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