Gemini Man, la recensione di una mancata rivoluzione visiva

Gemini Man uscirà al cinema il 10 ottobre.

Gemini Man recensione
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Tutti noi ricordiamo Lo Hobbit e i suoi 48 fps (fotogrammi per secondo). Un film che per certi aspetti proponeva l’intento di rivoluzionare il comparto visivo del cinema. Tuttavia, almeno in questo senso, il prequel del Signore Degli Anelli incappò in un fallimento. Anni dopo, ci riprova Ang Lee con una tecnologia diversa, dando alla luce questo Gemini Man, in cui il protagonista Will Smith dovrà vedersela con sé stesso. A 60 fps, grazie alla HFR+, una tecnologia dallo sviluppo a dir poco lungo.

Un cecchino perfetto, Henry Brogen. Un uomo da 72 uccisioni (o kills, per usare un gergo da videogame), la cui unica colpa è quella di aver sviluppato una coscienza, superati i 50 anni. Lui vorrebbe andare in pensione, Clay Verris (Clive Owen) vorrebbe vederlo morto. Perché un sicario con una coscienza è solamente un pericolo per gli uomini senza scrupoli di un organizzazione paramilitare. Si apre dunque la caccia ad Henry, tra Budapest, Cartagena e gli immancabili Stati Uniti. Un giro in tondo per il globo in cui Henry, coadiuvato dal suo fedele amico Baron e dalla giovane Danny, la Mary E. Winstead vista in Scott Pilgrim, in cui dovrà fuggire da un suo clone più giovane di trent’anni. Non aggiungeremo altro per evitare fastidiosi spoiler.

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Gemini Man merita un commento diviso in due parti, come il protagonista. Iniziando dal lato prettamente tecnico, Ang Lee mostra le sue capacità di gestione della macchina da presa nelle situazioni action più disparate. L’esperimento dei 60 fps regala una sensazione visiva molto particolare. Inizialmente risulta essere a dir poco straniante all’occhio umano, abituato a captare immagini a 24 fps.

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L’effetto che questa tecnologia restituisce è un’immagine costantemente pulita dove, salvo giochi col fuoco, tutto è perfettamente nitido. Viene però da domandarsi quanto sia effettivamente lecito ma soprattutto utile se applicato ad un contesto che oscilla tra action e fantascienza. Il taglio visivo sembra essere quello di un documentario che gioca fin troppo con la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Sebbene una sequenza a dir poco spettacolare dove i due Will Smith se le danno di santa ragione in quel di Cartagena dopo un bellissimo inseguimento.

Va inoltre aggiunta una curiosità su questo film che ha avuto una produzione lunga circa vent’anni. Tutto ebbe inizio nel 1997 ma ci furono continue procrastinazioni proprio a causa di una lentezza legata allo sviluppo della tecnologia per ricreare un volto in maniera perfetta. Questo è il motivo ufficiale dei continui rimandi. È lecito tuttavia pensare che il vero problema poteva essere proprio la sceneggiatura, fin troppo fiacca, per usare un eufemismo.

Gemini Man

Da un lato prettamente contenutistico, Gemini Man incappa in moltissimi problemi legati ad una scrittura fin troppo banale. Analizzando a fondo la storia, possiamo notare come il film, scritto dal David Benioff di Game Of Thrones, si crogioli nei cliché più disparati legati a molti action movie. Spicca tra tutti quelli della ricerca di una riconciliazione con sé stessi attraverso il viaggio e lo scontro interno, che ha le fattezze del Will Smith più giovane, ricreato con la stessa tecnologia del corto Human Face Project.

Il processo che però dovrebbe portare alla sintesi riconciliatoria del protagonista viene solamente abbozzato e mai approfondito se non con qualche battuta decisamente scadente. I dialoghi rappresentano il primo punto debole di Gemini Man e il pessimo doppiaggio di certo non aiuta.

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Armandosi di pazienza e un solido piccone, si potrebbe scavare per trovare un ragionamento sul rapporto che esiste tra analogico e digitale, ma anche in questo caso il discorso si perde nel pressappochismo più totale, trasportato via dall’estetica da un’estetica da videogame solamente abbozzata. In altre parole, ci troviamo davanti ad un qualcosa di già visto e rivisto ma in 60 fps.

Come modello beta di un’eventuale rivoluzione visiva possiamo dire che le tecnologie hanno fatto passi da gigante. Ma questo rimane solamente la cornice di un quadro abbastanza sbiadito che non trova il suo esaurimento da nessuna parte. Un’occasione sprecata per il regista premio Oscar Ang Lee. E per i nostri occhi abbastanza affaticati.