Monster: la Storia di Ed Gein è un’antologia dell’orrore nascosto dietro la normalità

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In una terza eclatante stagione, Monster prende la storia di Ed Gein e ne ricava un viaggio tra orrori inimmaginabili: un racconto di come i semplici crimini di un uomo hanno cambiato la storia del mondo

Monster: la Storia di Ed Gein, terza stagione della acclamata serie antologica Netflix di Ryan Murphy, non è – ovviamente – solo la storia di Ed Gein. Ovviamente perché tale è stata e rimane l’influenza di questo personaggio nella cultura moderna che è impossibile raccontare “solo” la sua storia senza raccontarne una miriade di altre, a partire da tutte le opere che ha ispirato.

Così, per cominciare, a fianco al racconto della vita di Ed – un Charlie Hunnam, neanche a dirlo, spettacolare – abbiamo i collegamenti con le figure di finzione a cui ha dato vita: innanzitutto Norman Bates – e la produzione di Psycho, con le discussioni con Robert Bloch e la crisi d’identità di Tony Perkins, più un Alfred Hitchcock magnifico che ci porta alla scoperta di un orrore inedito.

Psycho, partendo da Gein, spalanca infatti le porte di un questo nuovo orrore che sconvolge proprio perché è quotidiano, celato dietro la normalità, che non viene da mostri come vampiri e licantropi ma potrebbe venire anche dal vostro vicino di casa. O da voi stessi. E la lezione viene aggiornata poi da Tobe Hooper, che dà vita al suo letale Leatherface come metafora di un’America violenta e sanguinaria.

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Si arriva quindi al Buffalo Bill de Il Silenzio degli Innocenti, passando per l’esplorazione di ogni tipo di devianza sessuale di cui Gein è stato accusato, inclusa la necrofilia, e dilungandosi in un lungo trattato su come quell’orrore inedito e vicino a noi che ha segnato tutta la seconda metà del ‘900, dalla guerra in poi – e che ci segna ancora: vedi il finale – derivi proprio, in fondo, da queste pulsioni represse.

Lo spiega Alfred Hitchcock, parlando con Tony Perkins e spiegandogli il suo ruolo come Norman Bates: se certe tendenze, o devianze sia pure, vengono represse dalla società, si rivoltano verso l’interno e diventano un segreto, che si tramuta poi in una malattia che può portare a fare del male. Questo è successo a Ed Gein, e il punto è che certamente non è il solo.

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Se c’è chi questo segreto l’ha saputo svelare, affrontare e trasformare in una rinascita come Christine Jorgensen, una delle prime celebri donne transessuali, altri l’hanno rivoltato dentro di sé e rivolto all’attuazione di efferatezze indescrivibili: come la nazista Ilde Koch, che si dice fabbricasse oggetti con la pelle di prigionieri ebrei nel campo di concentramento di Buchenwald.

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Tutte queste storie sono collegate a Ed Gein e lui è collegato a tutte quante, come esempio primo ed eclatante di colui che, agli occhi del mondo, ha scoperchiato questo Vaso di Pandora e ha svelato le origini degli orrori che non vogliamo vedere e il messaggio che si cela dietro di essi che fa più paura: chiunque potrebbe commetterli.

Nella serie, infatti, Ed appare minuscolo e quasi ridicolo di fronte all’enormità che viene attribuita alle sue gesta, e ai mille modi in cui vengono raccontare e re-interpretate con i più diversi scopi. Lui, piccolo uomo malato e ignaro dei suoi problemi di salute mentale – “semplice” schizofrenia, che lo rende succube della madre morta – sembra quasi stupirsi di cosa le sue azioni hanno scoperchiato.

E si va avanti: dal team dei tre amati agenti di Mindhunter che vanno ad intervistarlo – non sono gli stessi attori ma il riferimento è abbastanza ovvio – alle visioni di criminali come Charles Manson e Ed Kemper che si dicono suoi fan e decantano le loro gesta in ammirazione, come a voler essere “degni”. E persino l’aiuto nella caccia a Ted Bundy.

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Ed è stato Ed Gein a volere, a costruire tutto questo? No. Lui è stato semplicemente un uomo affetto da gravi problemi mentali, con una madre psicotica che lo ha sempre tormentato, cresciuto in un ambiente nel quale non aveva modo di guarire e di gestire la sua salute. Questo lo rende innocente? Assolutamente no, perché lui quei crimini li ha compiuti.

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Ma si tratta davvero di uno dei più violenti e spaventosi criminali della storia? O è stato lui stesso vittima di una società incapace di carpire quel suo segreto e di dargli uno sbocco, trovare una spiegazione, fornirgli gli strumenti per affrontarlo e vivere, per quanto possibile, una vita “normale”?

La serie cerca ambiziosamente di rispondere a queste domande e per farlo si affida a una narrazione complicata e spesso fantasiosa, in cui le visioni si mescolano alla realtà e in cui noi stessi siamo partecipi della confusione mentale di Ed, di come lui la vive e della frammentarietà del suo mondo. Lui stesso dice infatti: “Mi sento come un puzzle. Nessun pezzo si incastra”.

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Come descrivere, come parlare di questa devastazione di umanità? Lo suggerisce sempre lui, Ed: “L’hanno raccontata fin troppe persone la mia storia, sembra che la conoscano meglio di me”. Più che una storia, quindi, si cercando di raccontare mille storie in una. Un esperimento non meno rischioso di quello alla Rashomon intrapreso per raccontare la doppia storia dei Menendez. Ma che ripaga.

Per chi vuol capire, ha pazienza di guardare e sa apprezzare una narrazione non-lineare – e anche per chi ha un po’ di stomaco, perché il gore è spesso esplicito e le mutilazioni sono agghiaccianti – questo terza stagione di Monster dice tutto quello che vuole dire e lo fa con metafore brillanti e scene iconiche – come la sfilata finale di Ed sulle note di Owner of a Lonely Heart degli Yes.

Sì, la storia di Ed Gein non è semplice da raccontare perché è la storia di un nuovo mondo segnato da inedite paure, in cui nessuno è più davvero al sicuro. E la storia dell’uomo accusato di aver spalancato le porte di questo nuovo mondo. O forse erano già aperte, e lui è stato semplicemente il primo ad attraversarle?

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