Sei Nell’Anima: il biopic su Gianna Nannini è (solo) un’altra storia rock italiana | RECENSIONE

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Il biopic su Gianna Nannini sarà molto appassionante e coinvolgente per tutti i suoi fan, un po’ meno forse per gli altri. Ecco la nostra recensione

Che Gianna Nannini sia parte fondamentale della scena rock italiana e che abbia fatto la storia del genere nel nostro paese, specialmente con le sue produzioni negli anni ’80, è fuor di dubbio. E che sia giusto raccontare la sua carriera, fatta di ribellione, trasgressione, autentica insofferenza per i tabù di un paese in continua modernizzazione, non si discute.

Il problema con Sei Nell’Anima, il biopic diretto da Cinzia TH Torrini e uscito su Netflix, sta un po’ in tutto il resto: l’essenzialità di un racconto didascalico, l’equivalente cinematografico di una voce su Wikipedia, prova la debolezza di una formula che già piaga fin troppi biopic realizzati anche a livello internazionale.

E c’è la tara del fandom: il film è realizzato chiaramente per i fedeli seguaci della Nannini, non per tutti. Se quindi l’interpretazione di Letizia Toni in particolare è più che apprezzabile e pregevoli sono le ricostruzioni delle fasi importanti della vita e della musica della cantautrice, rimane il fatto che anche una tale definizione di dettaglio difficilmente interesserà chi, della Nannini, fan non è.

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Quelli che hanno sempre apprezzato più altri generi di musica, o quelli che sono semplicemente nati o cresciuti dopo il grande periodo di “scandalo” della cantante, possono poco se non approfondire quella che è “soltanto” un’altra storia rock italiana come ce ne sarebbero mille da raccontare, anche e soprattutto da parte femminile.

Il discorso è che il film sulla Nannini si accosta e si allinea alla “norma” di una produzione filmica italiana che ormai raramente osa, sperimenta e gioca coi generi, sempre sballottata tra film d’autore super-impegnati e commedie da encefalogramma piatto. La nostra Gianna, qui, cade un po’ nel mezzo e nel mostrarci la sua storia ci appassiona per quella che è la durata del film stesso, più o meno, ma la cosa finisce lì.

Nel racconto tanto spazio alla crescita personale, il giusto (ma sempre poco) alla parte musicale, molto dedicato ai drammi e al complicato rapporto con i padre, più il finale auto-celebrativo che chiude il cerchio. In definitiva un film che va visto in un quadro più grande, di tante storie musicali italiane, e che poco riesce a sottolineare l’eccezionalità di questa in particolare.

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