Better Call Saul, la fine di un’era gloriosa: la recensione finale

Better Call Saul è terminata, con uno splendido finale che mette un punto all'universo di Breaking Bad (almeno per ora).

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Better Call Saul è ormai andata in archivio con l’ultimo episodio trasmesso lo scorso martedì su Netflix. Saul gone chiude una delle serie più belle di questi anni, che è riuscita (oggi possiamo definitivamente dirlo) nel difficilissimo compito di non sfigurare di fronte all’ingombrante figura della sorella maggiore.

Dopo 6 stagioni amatissime e celebrate dai fan dell’universo narrativo creato da Vince Gilligan, la puntata finale è la ciliegina sulla torta che mette un punto finale (almeno per un po’) sulle vicende di Albuquerque, chiudendo praticamente ogni linea narrativa.

Gilligan, come sappiamo, ha infatti annunciato di volersi dedicare ad un nuovo progetto separato dall’universo di Breaking Bad, che attendiamo ovviamente con grande interesse.

Nel frattempo non resta che tirare le somme su una delle migliori serie degli ultimi 10 anni e una stagione finale che non ha deluso le altissime aspettative. Ecco la nostra recensione, partendo dalla puntata finale, ovviamente ricca di spoiler.

Il re è morto, viva il re!

Seppur senza gli acuti di tensione raggiunti da Felina, Saul gone ha dato un giusto epilogo alla serie. Un finale rocambolesco come quello della serie madre infatti sarebbe stato probabilmente inopportuno e forzato.

Dopo la scoperta della vera identità di Gene Takovic da parte di Marion e la goffa fuga tentata da Saul, la cattura del nostro sembrava ormai scontata, così come il tentativo di farla franca (per quanto possibile) anche questa volta. Ma è proprio qui che la penna di Gilligan e Peter Gould ci stupisce ancora una volta, forse l’ultima.

Un’ultima puntata di altissimo livello, dalla splendida metafora della macchina del tempo che ci riporta ai rimpianti dei personaggi mai tanto umani come ora alla sigaretta finale, unico elemento di colore rimasto dell’universo di Better Call Saul. Una sigaretta, quella condivisa da Jimmy (e non più Saul) e Kim, che ci riporta dritti all’inizio del primissimo episodio, e che ci fa riflettere sull’intero arco narrativo che di forma davanti ai nostri occhi.

Fa’ la cosa giusta

Better Call Saul
Un frame dell’ultima puntata

Per Jimmy c’è ancora tempo per la redenzione, seppur estremamente dolorosa. La scelta di rompere con l’identità di Saul Goodman e rinunciare all’accordo raggiunto lo condanna a passare la propria vita in carcere, ma gli permette di ritrovare la propria umanità, ormai sepolta da tempo. Una svolta differente dalla confessione finale di Walter in Breaking Bad, che non rimpiange affatto le sue scelte, e che si rivela perfetta per il personaggio di Jimmy.

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È proprio la ritrovata umanità di Jimmy il grande plot twist che chiude definitivamente le danze. Di fronte alla consapevolezza di “essere sempre stato così”, evidente già da molto e definitivamente confermata dal flashback con Walt, il protagonista della serie decide finalmente di tentare di far pace con se stesso ed il suo passato, specialmente per le vicende di Chuck e Howard, i veri trigger della sua trasformazione in Saul.

C’è spazio anche per un momento di orgoglio nel definirsi indispensabile all’ascesa di Walt, ad imperitura dimostrazione del suo valore, nel bene e (soprattutto) nel male. Una dimostrazione, a se stesso e a tutto il mondo, di cosa Jimmy McGill ha saputo fare, accettando una giusta condanna. Niente più scappatoie per Jimmy, pronto a scontare la pena meritata.

Una condanna morale oltre che fisica che Jimmy, in un certo senso, si autoinfligge, e che lo segnerà per il resto della sua vita, da scontare in un infame carcere lontano da tutto e tutti. Ci sarà ancora tempo per un’altrettanto dolorosa riconciliazione con Kim, che ritrova in Jimmy (e non più Saul) l’uomo di cui si era innamorata. Gli errori però (alla fine) si pagano, e i due saranno destinati a restare separati.

La fine di un’era

Termina così una delle serie più belle degli ultimi anni, con un percorso iniziato ormai nel lontano 2015. Il verdetto finale, sia per questa ultima stagione che complessivo, non può che essere estremamente positivo. Come abbiamo detto in apertura, Better Call Saul trovava in eredità il peso di una delle serie più acclamate della storia della televisione.

Gilligan e Gould hanno dato dimostrazione di non patire affatto le grosse aspettative degli spettatori, raramente (se non mai) delusi in questi anni. I due ideatori della serie hanno lavorato sul solco del successo di Breaking Bad, a partire da uno stile narrativo ormai emblematico, i ritmi ben calibrati e una cura maniacale per i dettagli narrativi e visivi.

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Dall’arco narrativo di Chuck fino ad arrivare a quello di Howard, la serie ha saputo disegnare magnificamente l’origine, l’ascesa e la caduta di Saul Goodman come forse non ci saremmo nemmeno aspettati. Esattamente come per Walt, Jimmy si trasforma in Saul come reazione estrema ad un mondo avverso, seppur per motivi (e gradi di colpevolezza) differenti.

Lalo Salamanca
Lalo Salamanca

Elemento di “contorno” (se così possiamo definirlo) d’eccellenza è stata l’arco di Nacho, di un più giovane Hector Salamanca e soprattutto di Lalo, oltre che, ovviamente, un ulteriore scavo nei personaggi di Gustavo Fring e di Mike.

A tempo scaduto, sebbene le luci della ribalta siano tutte su Jimmy, non va dimenticato il valore aggiunto di questi filoni narrativi, che sono andati di pari passo con la storia “principale” fino ad incrociarsi tragicamente. Al tempo stesso essenziali alla narrazione di questa storia e all’ampliamento dell’universo narrativo di Breaking Bad, hanno tenuto alto il ritmo e si sono rivelate cruciali nel quadro complessivo.

L’ultima stagione aveva l’infausto compito di chiudere i giochi, che spesso si è dimostrato il punto debole di altre produzioni. Nessun dolore invece per Gilligan e compagni, che centrano l’ennesimo successo regalandoci un finale memorabile che ci lascia pienamente soddisfatti.

Termina così un’era della televisione americana (e del resto mondiale). Breaking BadBetter Call Saul hanno rappresentato un modello produttivo di grande successo (dalla critica al pubblico), scommettendo su una narrazione forte ed una ricercatezza visiva raramente provata (e trovata) nei prodotti televisivi.

L’eredità che la creazione di Gilligan lascia al mondo televisivo è immensa, come pochi altri prodotti sono riusciti a fare nella storia del medium. Due serie al costante limite della perfezione, che ci hanno accompagnato per 14 lunghi anni e che continueranno a vivere dentro di noi.