Loveless, l’esoterico testamento dei My Bloody Valentine [RECENSIONE]

Trent'anni del capolavoro del rock alternativo

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Credits: Greg Dunlap (Flickr)
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Il capolavoro assoluto dei My Bloody Valentine, Loveless, compie trent’anni

1991. Un anno in cui la storia della musica è stata scritta e rimaneggiata in molti modi, basti pensare all’uscita di Nevermind dei Nirvana o al classico degli Slint, Spiderland, ma anche ai debutti di Blur, Massive Attack, Pearl Jam. Insomma, solamente in quel periodo si può dire che siano effettivamente nati almeno una decina di generi musicali diversi; generi figli dei più eclettici approcci al rock nudo e crudo e al pop.

Tra questi tuttavia, solo uno è forse ancora perfettamente attuale dopo trent’anni, tuttora ripreso ed arricchito in modi sempre nuovi, ed è lo shoegaze. E, nonostante non ne sia necessariamente il precursore o la sintesi più fedele, l’ambiziosissimo Loveless, della band irlandese dei My Bloody Valentine, ne è l’emblema.

Un’opera leggendaria, grandiosa in tutti i suoi aspetti, che spinge la ricerca e la sperimentazione sonora ai suoi massimi storici. Lo fa celandone il prodotto tra muri di distorsioni, interferenze ed echi. Frutto di un processo di registrazione e produzione durato due stremanti anni, ha quasi causato la bancarotta dell’etichetta della band, la Creation Records. Fu infatti in parte venduta alla Sony per ripagare i debiti.

Vivono di notte…si alzano al tramonto per spendere le ore piccole creando musica dalla fragile bellezza avvolta in un alone di mistero imperscrutabile

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Credits: Kim Erlandsen, NRK P3 (Flickr)

L’iconico fill in quartine di Only Shallow apre il disco introducendo già tutti gli elementi del sound onirico ed astratto di Loveless. La voce della cantante e seconda chitarra Bilinda Butcher, angelica e rarefatta, si fa strada tra i colpi di whammy bar sulle corde dell’iconica Fender Jazzmaster di Kevin Shields.

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Il drumming selvaggio si placa subito, senza neanche farsi notare, in Loomer, grazie alla particolare tecnica di strumming del chitarrista di cui sopra, oltre che agli espedienti di missaggio che coinvolgono non meno di tre o quattro tracce solo per la parte ritmica. Touched fa da traccia filler sfoggiando un’orchestra di sintetizzatori rimaneggiati analogicamente fino a sfociare nella straordinaria To Here Knows When. Qui, l’effettistica è portata all’estremo, generando degli sfasamenti sonori evidentissimi che alienano l’ascoltatore portandolo nella dimensione estatica ed erotica del brano, oltre che dell’intero album.

L’iteratività dei trip chitarristici di Shields e delle melodie della Butcher, appoggiati dalla ritmica degli altri due componenti del gruppo, sono uno dei caratteri portanti di questo ipnotico capolavoro. Arriva anche la voce di Shields, doppiata da un’altra traccia alzata di un’ottava in post-produzione, a cantare il testo genuinamente romantico e naïf di When You Sleep.

L’ennesima outro di sintetizzatore di quest’ultimo brano introduce I Only Said, pezzo accompagnato da un altro memorabile riff e da una ritmica che mette in gioco ulteriori effetti e pedali. Il sound di Loveless è incredibilmente distintivo e dettato soprattutto dalla visione pionieristica e dalla cura maniacale dei suoni di Shields, che riesce, nonostante la ricorrenza di certi elementi, ad impostare una strada diversa, in termini sia di arrangiamento che di tecniche di registrazione e missaggio.

When I look at you / Oh, but I don’t know what’s real / Once in a while / And you make me laugh

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Credits: Mike Mantin (Wikipedia)

Dopo la martellante e risonante Come in Alone, l’impropriamente acustica Sometimes vede nuovamente una voce maschile a cantare, tra scambi continui di chitarra acustica, schiacciata ovviamente da un’elettrica distorta, ed organo, quella che è forse più evidentemente delle altre la “ballata” del disco.

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I testi dei My Bloody Valentine sono anch’essi l’ennesimo mistero, dato che non sono mai stati rilasciati ufficialmente: “farebbero di tutto per evitare che le persone capiscano i loro testi“. L’eterea Blown a Wish fa spazio agli arrangiamenti meno maturi di What You Want e Soon, che insieme alla traccia di apertura sono quelli che più si rifanno al periodo sonoro della band antecedente Loveless, più ricco di ritmica e meno armonicamente denso.

I My Bloody Valentine ed il loro Loveless rappresentano un vero e proprio culto, una tappa fondamentale per la storia della musica moderna. Un gruppo così misterioso e avanguardista che, nonostante la sua ostichezza, è riuscito a guadagnare un discreto seguito e, soprattutto, a tramandare un canone impeccabile. Un canone che ancora oggi, dopo trent’anni, non smette di emozionare ed ispirare le nuove generazioni di artisti.

Ascoltando questo capolavoro del 1991 si entra in un ambiente costellato da esplosioni di passione uniche sotto forma di onde sonore, figlie della mente e delle dita di Kevin Shields (per la maggior parte) e soci. Una trance di amore, erotismo e rumori che inspiegabilmente diventano armonie e melodie nei più singolari dei modi. Insomma, una vera e propria esperienza totalizzante, più che un album. Ascoltato Loveless, non sarete più gli stessi.

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Loveless – My Bloody Valentine / Anno di pubblicazione: 1991 / Genere: Shoegaze