I 10 migliori batteristi della storia del rock [LISTA]

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Credits: Stoned Tripper / YouTube
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I migliori nomi tra i batteristi di oggi e di ieri, nell’area rock e affini

La batteria. Quanti di voi hanno sempre sognato di diventare batteristi? Quanti di voi lo sono diventati? Parliamo dello strumento simbolo di diverse concezioni della musica, a volte anche contraddittorie. Sinonimo di potenza e rumore, frastuono e impeto; ma anche di precisione, tecnica, virtuosismo e senso del ritmo.

Sappiamo che oggi, per la gran parte, senza questo strumento la musica non può esistere. E se pure è vero che ormai gran parte dei beat delle canzoni, specialmente pop, vengono prodotti elettronicamente (si parla di programming), è anche vero che le figure dei batteristi esistono ancora e hanno sempre un ruolo fondamentale, specie per il suono delle band “organiche”.

Tuttavia, di certo i batteristi di oggi non sono “miti” come quelli di anni e decenni fa. Di chi parliamo? Di vere e proprie leggende, maestri dello strumento capaci di trarvi ogni espressione possibile, prendendo in giro il concetto stesso di ritmo, oppure rendendogli i dovuti omaggi. Ecco, allora, i dieci nomi da conoscere quando parliamo di batteria rock.

10. Dave Grohl

Proprio lui, il super-mito ritrovatosi quasi per caso in un gruppo alternative rock dal nome Nirvana, che contro ogni previsione è divenuto improvvisamente il più importante degli anni ‘90 o giù di lì. Per quanto recentemente Grohl abbia confessato di essersi ispirato in gran parte alla disco music per le sue parti di batteria, l’influenza che si sente è quella dell’hardcore punk e del post-hardcore americano anni ‘80.

Questa è la ritmica, unita al basso essenziale di Novoselic e alle geniali intuizioni distorte ma melodiche di Cobain, che fa la fortuna delle canzoni dei Nirvana. Ma non è tutta aggressività e brutalità. Nel suo stile ci sono componenti inaspettate, come nell’intro di In Bloom (1991): qualunque altro batterista l’avrebbe suonato in modo diverso, poco ma sicuro.

Naturalmente, non finisce qui, perché dopo i Nirvana vengono i Foo Fighters. Per Dave Grohl da batterista a strumentista a tutto tondo il passo è breve e nel giro di venticinque anni fa in tempo a ritrovarsi frontman e leader di una band ormai leggendaria “quasi” quanto i Nirvana stessi. Peccato che nei Foos la batteria sia ormai affidata in pianta stabile al pur valido Taylor Hawkins.

9. Travis Barker

Per molti aspetti Travis Barker è ed è sempe stato il vero simbolo dei Blink-182 ben più di quanto lo siano mai stati tutti gli altri componenti della band messi insieme. Un vero fenomeno, esempio fulgido di energia e tecnica, che trova perfettamente posto nel panorama pop punk così come nella musica di fine anni ‘90 e di inizio millennio.

Forse l’ultimo vero virtuoso, di certo uno degli ultimi di tutta una generazione. I fan sanno che ascoltare i Blink significa automaticamente risentire le sue parti di drumming fuori contollo, eppure perfettamente calibrate e dosate almeno quanto quelle del non lontano collega (anche come bravura) Tré Cool.

Negli ultimi anni, come sappiamo, Barker si è re-inventato come collaboratore fedele di artisti giovani e della G-Zen, da Halsey a YUNGBLUD e fino al buon vecchio Machine Gun Kelly, sviluppando una progressiva simpatia per artisti pop e rap e mostrando, in questo, maggior lungimiranza di moltissimi altri della sua generazione di artisti punk.

8. Jeff Porcaro

Non fatevi ingannare dalla qualità anni ‘80 un po’ cringe un po’ vapor del video qui sotto. Ascoltate bene la base ritmica. Jeff Porcaro, componente fondamentale dei Toto (sì, quelli di Africa) assieme ai fratelli Steve e Mike, ne è responsabile. E naturalmente, parlando di lui, è solo la punta dell’iceberg. Un iceberg bello grosso.

Jeff Porcaro, scomparso purtroppo nel 1992, è uno dei più celebri turnisti della storia del rock. Negli anni ‘70 lavora con Steely Dan, Joe Cocker, Jackson Browne, Hall & Oates, Carly Simon, Diana Ross, i Pink Floyd (sì, in Mother, 1979)… potremmo andare avanti. Quando forma i Toto è già famoso e celebrato.

Sua è la batteria in moltissime famose hit: una batteria precisamente artigianale, che non fa mai più di quel che deve fare ed è tanto più apprezzabile appunto in tal senso. Un esempio? Bè, avete presente Beat It di Michael Jackson, uno dei brani di maggior successo della storia della musica? Ecco: indovinate di chi è la parte di batteria?

7. Bill Bruford

Quella di Bill Bruford è forse una figura in fin dei conti un po’ dimenticata (e ingiustamente) dalla storia del rock. Un batterista strettamente tecnico, ma che piega il suo stile all’eclettismo dei colleghi Yes, giocando specialmente con i cambi di tempo e nello scomporre e invertire i ruoli di cassa, rullante e tamburi.

Non una personalità esplosiva, non un talento da record, pochi brani con performance davvero leggendarie. Eppure, è lui che Phil Collins (vedi sotto) sceglie come sostituto quando, diventando voce dei Genesis, negli spettacoli dal vivo deve a malincuore abbandonare la batteria. Ripetiamo: Phil Collins lo sceglie come suo sostituto. Phil Collins.

Abbiamo detto tutto, insomma. Se non bastasse, bé c’è sempre la sua corposa attività con gli Yes e con i King Crimson in un periodo importante nella discografia di questi ultimi. Riascoltate l’incredibile lavoro hard prog Red, del 1974. Bruford vi compare in copertina, assieme a John Wetton e a sua maestà Robert Fripp. Siamo ai massimi livelli.

6. Mike Portnoy

In una frase: il simbolo della batteria heavy metal moderna, specie nell’accezione più prog e impegnativa del genere. Non solo con i Dream Theater, ma anche con i numerosissimi side-project (tra i quali il Liquid Tension Experiment, con Tony Levin), nell’ambito dei quali dimostra una capacità eclettica di spaziare tra gli stili e le musiche più diverse.

A parte questo, praticamente ogni batterista metal degli ultimi venticinque anni è stato influenzato da lui, a prescindere dal sottogenere di preferenza. Preciso, tecnico, amante del ritmo e dei virtuosismi, Portnoy è l’archetipo del batterista che usa le bacchette non per suonare ma per parlare, dilungandosi in discorsi musicali raffinati ed accademici.

Questo, ovviamente, non può e non deve prescindere dagli accenti più “brutali” della sua attività, sui quali non si risparmia. In fondo, siamo sempre in ambito metal. Ma, allo stesso tempo, Portnoy è la prova vivente di come il metal stesso, come genere e come stile di batteria, trovi spesso confini che vadano forzati ogni volta possibile. E lui lo fa, sempre.

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