Takashi Miike: 10 film per conoscerlo [LISTA]

L'eccentrico e unico stile di Takashi Miike ha saputo conquistare il mondo intero. Facciamo la sua conoscenza attraverso 10 film importanti.

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Big Bang Love, Juvenile A (2006)

Big Bang Love Juvenile A

Jun Ariyoshi (Ryūhei Matsuda) viene incarcerato per aver commesso un brutale omicidio ai danni di un uomo che ha cercato di molestarlo. In prigione si innamora di Shiro (Masanobu Andō), un ragazzo atletico e tatuato dai comportamenti violenti. Un giorno, però, Shiro viene trovato morto con le braccia di Jun attorno al suo collo…

Per Big Bang Love, Juvenile A è opportuno cominciare dallo stile. Dopo l’intradiegetico ciak iniziale, viene sostanzialmente dichiarata una sospensione spazio temporale. Lo spettatore si trova, quindi, di fronte a scenografie minimali e colorate: da pareti rosse si passa ad ambientazioni ocra come gli indumenti dei carcerati. L’illuminazione è misera, spesso le scene sono avvolte nell’oscurità.

Lo studio geometrico compiuto da Takashi Miike raggiunge qui l’apice, in quanto il regista punta a una rappresentazione teatrale. Nelle scene iniziali, soprattutto, vediamo un balletto e un monologo tipici del teatro. Inoltre, quasi tutto il film è girato con camera fissa in interni tetri ma apparentemente spaziosi, sebbene ambientato in carcere, e le azioni sono minime. Eccezione fanno alcuni pestaggi, la maggior parte dei quali ripresi con camera a mano traballante.

Il mondo esterno, invece, appare surreale e simbolico. In una scena di dialogo tra i due protagonisti, sullo sfondo possiamo notare uno ziqqurat e un razzo pronto a partire. Dopo la morte c’è il Paradiso, oppure nell’alto dei cieli c’è solo lo spazio con forme di vita aliene? Tale è l’oggetto di discussione dei due, che ci porta al tema principale del film.

Big Bang Love, Juvenile A parte infatti con una domanda: “Che uomo vuoi diventare?”. Ecco che l’argomento principale su cui verte il film è la ricerca di un’identità, in ottica universale. La sospensione temporale e la traduzione letterale del titolo originale (“Tutto l’amore di 4.600 milioni di anni”) implicano una ricerca sul motivo della nostra esistenza. Perché la Terra esiste, cosa siamo noi su questo pianeta?

Per questo il film riserva molto spazio ai conflitti dei vari personaggi principali. Il direttore della prigione, che appare visibilmente malato, ha perso la moglie suicida. La donna appare come fantasma a Shiro ogni volta che è condotto nel suo ufficio, in quanto il ragazzo l’ha precedentemente sedotta e abbandonata. L’omosessualità di Jun, invece, si scontra con i pregiudizi retrogradi degli altri carcerati; tale tema trova ampio spazio nel film, soprattutto in riferimento al rapporto tra Shiro e Jun.

Sukiyaki Western Django (2007)

Sukiyaki Western Django 2007

Alcuni secoli dopo la Battaglia di Dan-no-ura, in un villaggio del Nevada imperversa la guerra tra due clan rivali. I Bianchi, sono capitanati dal raffinato Yoshitsune (Yusuke Iseya), mentre i Rossi hanno per leader lo spaccone Kiyomori (Kōichi Satō). Un giorno giunge un solitario pistolero (Hideaki Itō), subito conteso tra le due bande…

Il film rappresenta un sogno che il regista ha potuto realizzare, ossia dirigere uno spaghetti western, un genere di cui Takashi Miike è appassionato. Il titolo, Sukiyaki Western Django, fa riferimento a un piatto tipico giapponese, il sukiyaki, e a Django, iconico protagonista dell’omonimo film di Sergio Corbucci (1966).

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Per un film colmo di citazioni, anche in virtù dell’amicizia che li lega, Takashi Miike non poteva non contattare Quentin Tarantino. E’ proprio lui a consumare il sukiyaki, oltre a ricoprire un ruolo importante, nonostante le scarse apparizioni. Il suo personaggio si chiama “Piringo”, che fa l’eco a un altra icona dello spaghetti western, Ringo, protagonista di vari titoli del genere. Ringo è, però, anche il soprannome di Tim Roth in Pulp Fiction (1994).

Ma questa è solo una delle molteplici citazioni presenti in Sukiyaki Western Django, di cui consigliamo la versione integrale (120 minuti) per apprezzarle tutte. Infatti, molti sono i riferimenti alla Trilogia del dollaro di Sergio Leone, come il poncho di Piringo, la ricerca dell’oro nel cimitero e l’armatura antiproiettile.

Ma i riferimenti vanno oltre al western. Per esempio, la scena in cui è possibile vedere attraverso un buco nello stomaco di un personaggio deriva da Apocalypse Domani (Antonio Margheriti, 1981) e Pronti a morire (Sam Raimi, 1995).

Non possono mancare le citazioni al collega Quentin Tarantino. Bloody Benten è presentata tramite un fake trailer, tecnica desunta da Grindhouse (2007). Inoltre alcuni personaggi vengono feriti con proiettili diretti nei testicoli e nelle ginocchia, come spesso accade nei film di Tarantino (tra cui Le iene, 1992).

13 assassini (2010)

13 assassins

Nel 1844, durante il declino dello Shogunato Tokugawa, il sadico Naritsugu Matsudaira (Gorō Inagaki) è nominato Alto Consigliere dal fratello Shogun. La sua ascesa, però, potrebbe scatenare una guerra civile con i numerosi feudi che Naritsugu ha offeso. Per impedire ciò, Shimada Shinzaemon (Kōji Yakusho), nobile servo del precedente Shogun, raduna un gruppo di assassini incaricati di eliminare Naritsugu e i suoi uomini…

Pur essendo un remake dell’omonimo film di Eiichi Kudo (1963), Takashi Miike ha deciso di ispirarsi più a I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa, attingendo anche al cinema di Masaki Kobayashi e Hideo Gosha. L’alto budget a disposizione ha permesso a Takashi Miike di dirigere coreografie spettacolari e di avvalersi di scenografie molto articolate.

La struttura di 13 assassini segue una sorta di tripartizione: nella prima parte scopriamo il contesto e identifichiamo i personaggi, sia buoni che cattivi; nella seconda, assistiamo ai preparativi e ai vari spostamenti; nella terza esplode l’azione. Le scene di combattimento risultano molto avvincenti e ponderate, il regista riesce a concedere a ogni personaggio il giusto spazio.

Il regista non rinuncia all’ironia di alcune situazioni, attribuendola in particolare all’enigmatico personaggio di Kiga Koyata (Yūsuke Iseya) e tutto ciò che è legato a lui. Egli si presenta come un cacciatore discendente in qualche modo dai samurai; per metterlo alla prova, alcuni personaggi, dopo averlo chiamato, lo colpiscono con dei possenti rami, ma lui non prova alcun dolore.

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Il soggetto del film permette a Takashi Miike di continuare la sua critica nei confronti delle assurdità della tradizione, pur non beffandosi del Bushidō. Nella scena iniziale vediamo il Signore del feudo di Mamiya commettere harakiri in segno di protesta contro la mancata punizione di Naritsugu, reo di aver sterminato tutta la sua famiglia e ora in procinto di ascendere in politica.

Inoltre, verso l’epilogo del film, Hanbei (Masachika Ichimura), leader dei servitori di Naritsugu, afferma di difendere il suo padrone perché quello è il destino che ha ottenuto in sorte. La passiva accettazione del fato da parte dei samurai e dei servitori, che sorpassa il buonsenso e la giustizia, è un altro aspetto fortemente criticato del Giappone feudale.

As the Gods Will (2014)

As the Gods Will - Takashi Miike

Quando una bambola daruma occupa una classe liceale, la noiosa vita di Shun Takahata (Sōta Fukushi) e dei suoi compagni si appende ad un filo. I ragazzi, infatti, saranno costretti ad affrontare una serie di giochi per bambini sempre più pericolosi, mettendo in palio le loro stesse vite. Cosa c’è dietro a un evento così bizzarro?

Basato sull’omonimo manga di Muneyuki Kaneshiro, As the Gods Will parla di autoaffermazione e rapporti umani. Per quanto palese sia la derisione dei reality show, andando più in profondità si legge anche una critica all’educazione e alla violenza nella società. La scelta di giochi per bambini con risvolti sanguinosi rimanda alla rigida educazione infantile, che già mette le persone in un contesto competitivo.

Infatti, sin da piccoli gli studenti devono prepararsi per entrare in università, passaggio obbligato in Giappone per un futuro solido. Ne consegue che lo studio intenso e la mancanza di rapporti che non siano competitivi genera rivalità o addirittura depressione, che può sfociare in hikikomori.

L’educazione infantile si riflette, inoltre, sui personaggi, che alle prese con la sopravvivenza mostreranno il loro vero carattere. La maggior parte di loro, siccome punta a passare indenne tutte le sfide, è disposta anche a sacrificare i compagni. Poi abbiamo i due estremi opposti: il protagonista, che cerca di salvare tutti e di ragionare; Takeru Amaya (Ryūnosuke Kamiki), l’ambiguo studente sadico, uccide o sacrifica i suoi colleghi per divertimento.

Se consideriamo il manga/film survival per eccellenza, Battle Royale, possiamo notare che qui i flashback riguardano tutti i personaggi principali. In As the Gods Will, invece, fatto salvo il protagonista, no. Assistiamo a un episodio caratterizzante un personaggio apparentemente importante che muore praticamente subito e a uno che avviene poco prima di un’altra morte.

Se, quindi, in Battle Royale si cercava di risalire ai motivi dei comportamenti di buoni e cattivi, qui l’autore sembra giocare con lo spettatore. Per enfatizzare la critica all’assurdità della violenza, infatti, egli preferisce suscitare empatia con i personaggi e, subito dopo, infrangerla. Il senso è che ogni individuo è unico, ha una sua storia personale e non è semplicemente la parte indistinguibile di un insieme.