Venezia 76: la recensione di Ad Astra con Brad Pitt

Il primo grande film in anteprima mondiale a #Venezia76 è Ad Astra di James Gray, ma il film con Brad Pitt non convince del tutto.

Ad Astra
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La seconda giornata alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia si apre con uno dei titoli più attesi: Ad Astra di James Gray. Film di fantascienza ambientato in un futuro distopico, che vede quale protagonista assoluto un malinconico Brad Pitt.

Dopo l’incredibile interpretazione di Cliff Booth in C’era una volta a… Hollywood, l’ultimo film di Quentin Tarantino, Brad Pitt parte alla conquista del Lido di Venezia nei panni del Maggiore Roy McBride. Il futuro del mondo secondo Ad Astra è quanto mai desolato. La terra ha ormai ampiamente dilapidato le sue risorse naturali, mentre il genere umano si è trasformato in autentico “divoratore di mondi”. La luna è ormai una meta turistica, facilmente raggiungibile tramite shuttle commerciali. Marte e gli altri pianeti del sistema solare vengono esplorati solo in funzione di ulteriori forme di sfruttamento. 

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Fin dalla prima sequenza, Ad Astra mostra Brad Pitt come un astronauta efficiente e impassibile, che ha rinunciato perfino a salvare il suo matrimonio con Eve (Liv Tyler) per la dedizione al suo lavoro. Quando una serie di micidiali tempeste elettriche, innescate da un’esplosione nucleare nello spazio profondo, sembra mettere in ginocchio il pianeta terra, toccherà al Maggiore McBride attraversare gli astri. Oltre Marte e fino ai confini di Nettuno. Il padre di Roy, Clifford Mc Bride (Tommy Lee Jones), scomparso 16 anni prima, era stato il primo, leggendario astronauta a sfidare e raggiungere i pianeti dello spazio profondo. Ora, tocca a suo figlio partire alla volta di una missione densa di pericoli, misteri e rivelazioni.

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Ad Astra di James Gray è certamente un film costruito sulle migliori premesse. “Esistono due sole possibilità. O siamo soli nell’universo, oppure non lo siamo. Entrambe sono terrificanti”. Questa citazione di Arthur C. Clarke, autore del romanzo 2001: Odissea nello spazio, è stata la principale fonte di ispirazione di James Gray per la realizzazione di Ad Astra. Naturalmente, l’intera struttura del film è disseminata di riferimenti all’adattamento cinematografico di 2001, firmato da Stanley Kubrick, come ad altre pietre miliari della storia del cinema di fantascienza, su tutti Solaris di Andrej Tarkovsky. Ma il risultato, purtroppo, è un film evidentemente progettato per sedurre il grande pubblico, salvo deludere verosimilmente la maggior parte dei veri appassionati di science-fiction.

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Certo, Ad Astra è un film che presenta una confezione magniloquente, visivamente impeccabile, ma è proprio sul versante della trama e dell’intreccio che l’opera si rivela irrimediabilmente convenzionale, prevedibile, priva di anima. La malinconia dell’astronauta, affidata agli insistenti primi piani di Brad Pitt, alla sua voce stentorea in voice-over, sembrerebbe aspirare a un ritratto esistenzialista. Purtroppo, per trovare davvero l’intensità di un dolore cosmico, Ad Astra avrebbe dovuto descrivere il suo protagonista a ben altri livelli di profondità. La sceneggiatura, piuttosto, si rivela estremamente superficiale, mentre la bellezza delle immagini e degli scenari astrali non basta a riscattare un film povero di vere emozioni.

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Basti pensare che nell’ultimo film di Quentin Tarantino, Brad Pitt regala una delle migliori interpretazioni della sua intera carriera, in una parte che appartiene ai ruoli da non-protagonista. Al contrario, Ad Astra è un film fondato interamente sul carisma e il volto dell’attore americano. Eppure, l’interpretazione di Brad Pitt in C’era una volta a… Hollywood è incredibilmente più incisiva, nonché destinata a restare negli annali della storia del cinema contemporaneo. Per Ad Astra, forse, non possiamo spingerci oltre alla previsione di un buon successo commerciale.