Il mutismo di David Lynch, nel cinema e nella vita

L'ex moglie di Lynch racconta del suo «periodo preverbale»; ovvero di quando David Lynch ha dovuto «imparare a parlare».

Lynch odio parole
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«Ciò che puoi dire con un film non può essere espresso con le parole».

L’imperscrutabile regista David Lynch, «è sempre stato uno che ama agire». Di fronte alle numerose domande rivoltegli dalla critica e dai curiosi, egli ha sempre dichiarato di credere più nel linguaggio cinematografico e pittorico che in quello verbale. Preferisce che siano i suoi film a parlare per lui; ma questi, non fanno altro che provocare altri interrogativi. La sua opera cinematografica è infatti la testimonianza della totale sfiducia di Lynch nella parola. Proprio il desiderio di esprimersi direttamente attraverso i film è all’origine dell’insolito potenziale sensoriale veicolato dalle sue opere. All’uscita del primo, rivoluzionario, lungometraggio del regista – Eraserhead – una rivista inglese diede un’interpretazione che può definire quasi tutta l’opera del regista: «Da sperimentare piuttosto che da spiegare».

«Mi mette a disagio parlare dei significati dei miei film perché si tratta di una cosa molto personale. Il significato per me è diverso dal significato per qualcun altro».

Anche quando appare consapevole del preciso e personale significato delle sequenze più oscure dei suoi film, Lynch risponde in modo evasivo e reticente. Applicare termini specifici alle scene, sarebbe totalmente inutile ai fini del processo creativo, e rischierebbe anzi di rovinare e ridurre la carica emozionale dei suoi lavori. Così, quando uno dei suoi migliori amici, Toby Keeler, gli chiese «David cos’è per te Cuore Selvaggio?» lui rispose, semplicemente, «Beh, circa un’ora e tre quarti». Allo stesso modo Mulholland Drive è per Lynch, «una storia d’amore nella città dei sogni» e Inland Empire «la storia di una donna in pericolo». Rispetto alla sensazione di disagio e spaesamento che provocano i suoi ipnotici, surreali e assolutamente contorti film, tali definizioni potrebbero sembrare pure semplificazioni… Ma del resto anche la prima moglie di Lynch, Peggy Reavey mette  in guardia dal fidarsi di esse: «Se David dovesse rivelare di cosa parlano i suoi film, sicuramente si tratterrebbe di tutt’altro!».

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La stessa Reavey era con lui durante il suo «periodo preverbale» e racconta di quando David ha dovuto imparare a parlare.

L’asserzione di Lynch secondo cui in età adulta, non essendo ancora in grado di comunicare facilmente, aveva dovuto «imparare a parlare», non è l’ennesima criptica dichiarazione lynchiana, ma un dato di fatto. La stessa ex moglie Peggy racconta di essergli stata vicina «durante il suo periodo preverbale», svelando anche importanti indizi di lettura di uno dei suoi cortometraggi d’esordio: The Alphabet. In questo periodo Lynch, secondo la Reavey:

Non parlava affatto come fanno solitamente gli artisti. Emetteva dei rumori, spalancava le braccia e faceva un suono che somigliava a quello del vento. The Alphabet era una maniera per esprimere le sue frustrazioni che derivavano dal suo bisogno di verbalità. Il film ruota intorno alle pene di un individuo dotato di una natura non verbale.

Lynch odio parole

Infatti anche nei film successivi Lynch focalizzerà la sua attenzione sul linguaggio. Il secondo cortometraggio, The Grandmother, riduce ogni dialogo allo statuto di puro effetto sonoro. Ai racconti dell’ex moglie si somma la testimonianza di Isabella Rossellini, che racconta del suo «odio» per le parole, fondato sulla loro estrema «imprecisione». Appare dunque chiaro che il rapporto di Lynch con il linguaggio è complesso e singolare nell’ambito del cinema contemporaneo. Anche i suoi personaggi hanno difficoltà ad esprimersi o lo fanno in modi eccentrici. La singolarità dei dialoghi presenti nei film di Lynch, contribuisce a rendere poetiche le sue opere, toccando punti di sublime “non-senso” soprattutto in alcune sequenze; per esempio nel non-luogo costituito dalla Stanza Rossa di Twin Peaks, nella quale gli ambigui personaggi parlano al contrario.

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Per superare i suoi problemi col linguaggio Lynch, conclude la Reavey: «Ha trovato una maniera per far lavorare le parole a suo favore. Le usa in modo non verbale; ci dipinge. Le parole possiedono una loro qualità strutturale e una presenza sensoria. David è molto poetico».