Blue Velvet, la recensione

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BLUE VELVET, LA RECENSIONE – Paragonando Tarantino a Lynch, David Foster afferma che “A Tarantino interessa guardare uno a cui stanno tagliando l’orecchio. A David Lynch interessa l’orecchio”. Mai descrizione fu più accurata per descrivere la poetica che caratterizza l’onirismo nei film dell’autore di Twin Peaks e del film annoverato come il migliore del XXI secolo, Mulholland Drive. La forza di Blue Velvet risiede proprio nella sua componente psicanalitica, tanto cara agli analisti, in cui ogni immagine, ogni sequenza ha un potenziale notevole per essere analizzato. La luce, l’oscurità, i bassifondi di una ridente cittadina americana in cui tutto sembra essere perfetto all’apparenza. Le apparenze giocano un ruolo fondamentale in questo ennesimo capolavoro di David Lynch.

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BLUE VELVET, LA RECENSIONE – Dopo una sequenza iniziale in cui viene mostrato un sobborgo americano, carico di stereotipi, l’intreccio inizia a prendere forma quando Jeffrey, turbato dall’ictus che ha colto il padre, vaga per il sobborgo e trova un orecchio tagliato in un prato e decide quindi di improvvisarsi detective. Fondamentale è l’inizio della storia amorosa con Sandy, figlia del detective a cui Jeffrey ha portato il resto umano trovato. I due inizieranno quindi un’indagine che li trascinerà nella malfamata perfieria, in un mondo a loro sconosciuto e caraterizzato da mafiosi e dalla forte presenza scenica di Isabella Rossellini, nei panni di una cantante di un night nonché amante (o per meglio dire schiava sessuale) di Frank Boot, un magistrale Dennis Hooper.

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BLUE VELVET, LA RECENSIONE – In questo film, Lynch si rifà molto al mondo visionario di Fellini dove l’incoscio fa da muro portante nella poetica delle immagini. L’ambiente è reale e c’è un fortissimo richiamo ai quadri di Hopper, dove vi è una costante ambivalenza tra la quiete e l’inquietudine, sogno ed incubo. Lo stesso Lynch dichiara di aver vissuto l’infazia proprio in un luogo caratterizzato da villette a schiera, rose rosse e giardini curati. Una calma apparente, solo di facciata. In questo senso si inserisce la sequenza del ritorvamento dell’orecchio. Un ritrovamento che spezza la quiete e, attraverso un movimento di camera, ci troviamo nel brulicante e claustrofibico sottosuolo, simbolo di ciò che c’è oltre quel quartiere residenziale. L’orecchio dunque simboleggia una porta d’accesso alla parte organica della vita, dove gli impulsi primordiali prevalicano sulla ragione. Non a caso, il proseguo del film sposterà le ambientazioni in un mondo non più apparentemente perfetto.

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BLUE VELVET, LA RECENSIONEEros e Thanatos, Es e Super io. Un costante dualismo caratterizza Blue Velvet che già dal titolo ci dà molte informazioni utili a decifrare ciò che vediamo. Il blu, il colore scuro della notte e dell’assenza di luce artificiale che coincide con il buio della ragione, al sonno dell’Io freudiano che domina Frank e che fa nascere in lui la prorompente forza delle pulsioni di vita di morte: una concezione di Eros distorta che si avvicina apparentemente molto più al concetto di Thanatos. Emblematica a tal punto la sequenza in cui Dorothy viene brutalmente picchiata da Frank dopo aver espresso la volontà di buoi totale. La luce va via, l’oscurità predomina ed in parallelo la follia avanza.

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BLUE VELVET, LA RECENSIONE – In conclusione, Blue Velvet rimane tutt’oggi uno dei capostipiti principali del cinema di genere in cui Lynch reintepreta le regole del noir a modo suo, giocando con il simbolismo e con la psicanalisi. Le ambientazioni hopperiane, perturbanti come i quadri del pittore, giocano un ruolo fondamentale nel progressivo scioglimenti dell’intreccio che porterà ad una conclusione che esalterà la struttura circolare del film, mostrando la vera faccia del dualismo tra bene e male. L’uno è complementare dell’altro ed esiste in funzione dell’altro. Non esistono opposti ma solo un’altra faccia della medaglia.