Sulla mia pelle – recensione di un film necessario

La nostra recensione di Sulla mia pelle, film che narra la triste storia di Stefano Cucchi, che potrete vedere su Netflix o al cinema.

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“Brutta storia farsi nemici i carabinieri, si sa quando cominciano ma non si sa quando finiscono”

Sulla mia pelle (stasera alle 21:20 su Rai 3) è un film duro. Alla fine della visione ci si piega in due dal dolore e dalla rabbia e non ci si vorrebbe alzare per un po’di tempo. È una pellicola che prende allo stomaco, nella quale si partecipa attivamente alla sofferenza mostrata. Viene quasi voglia di trasmigrare e avvolgere il mondo con la propria aura, per poterlo proteggere dalle iniquità di esseri umani, che di umano hanno solo il corpo.

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Con Sulla mia pelle possiamo affermare con sicurezza che il cinema di denuncia  –anche se tale definizione è stata parzialmente respinta dal regista Alessio Cremonini in una nostra recente intervista– è ancora vivo e vegeto. Noi italiani, da sempre in prima fila per quanto riguarda tale tipologia di cinema, non possiamo che esserne orgogliosi e ringraziare vivamente tutti coloro che hanno lavorato, con fatica fisica e psicologica, a questo film.

Sulla mia pelle inizia mostrandoci da subito la morte di Stefano Cucchi, il suo corpo esanime, insensibile ai richiami dell’infermiere, ormai avvolto da un buio eterno, quel buio onnipresente in ogni scena, claustrofobico, che ci porta quasi a percepire lo scatto di una trappola.

Sappiamo bene fin dall’inizio l’epilogo della vicenda, eppure vedere nei primi secondi il corpo morto del ragazzo romano ci fa capire fin da subito che siamo entrati volontariamente a vedere come è fatta una tenaglia, un cappio alla gola.

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Il buio è accompagnato da un silenzio da fiato spezzato, si parla poco e spesso quando lo si fa è solo per urlare, per chiedere aiuto o per dare un comando. Un silenzio da messa, recitata in una chiesa che ospita la salma dell’ennesimo povero diavolo.

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La solennità donata dal buio e dal silenzio è valorizzata dalla recitazione appassionata e verace di tutti gli attori, dal protagonista fino a tutti i comprimari. Alessandro Borghi da assoluto trasformista ci dona uno Stefano Cucchi credibile, riuscendo a farlo rivivere con una accuratezza fisica e caratteriale tale da far percepire quasi un’aura mistica.

Come se attraverso il film, la vita di Stefano Cucchi riacquistasse quella dignità dovutagli ma tolta fin troppo presto da un circo mediatico che solo la lotta dei familiari è riuscito ad interrompere. Stefano Cucchi urla insieme ad Alessandro Borghi. E noi insieme a loro.

L’austerità aumenta attraverso la resa dei personaggi comprimari, Max Tortora (il padre di Stefano), Jasmine Trinca (Ilaria Cucchi) non sembrano recitare, ma pare stiano adempiendo a un dovere. La tensione, la difficoltà di raccontare una storia del genere sembra percepibile anche sul viso dell’ultima delle comparse.

Sulla mia pelle è risultato un film necessario, dovuto. Eppure, pur non potendo del tutto voltare le spalle alla sua vocazione sociale, di denuncia e d’informazione, riesce a concentrarsi sull’uomo più che sulla vicenda.

Seguiamo di pari passo il declino fisico di Stefano, pur non vedendo, grazie ad una delicatezza registica, le percosse a lui inflitte dai carabinieri criminali e deviati, che oltre ad offendere l’intera razza umana con la loro condotta offendono anche i loro numerosi onesti colleghi, inficiando, così, tutto, lasciandoci col dubbio che il bene non ha casa neppure nei luoghi in cui ce ne si riempie la bocca.

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“-Quando smetteremo de racconta sta stronzata delle scale? -Quando le scale smetteranno de menarce”

Il rifiuto di Stefano Cucchi nel voler raccontare le reali cause delle sue ferite, aspetto valorizzato insistentemente dal film, ci fa precipitare in un senso di impotenza perenne, lo spettatore si sente fragile insieme a quel ragazzo con due vertebre rotte, e pian piano che ci si avvicina al noto finale sentiamo quella tenaglia, quel cappio, stringersi attorno la nostra gola. Sulla mia pelle è un film fisico, che difficilmente riuscirete a scrollarvi di dosso.

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Correte a vederlo, non importa come –queste sono diatribe che lasciano il tempo che trovano– che sia su piattaforma o al cinema (qui le sale che lo proiettanno) l’importante è che lo vediate, è assolutamente necessario che tutti voi lo vediate. È un dovere civico a cui siete chiamati.

Termineremo questa recensione con qualche riga in meno del solito, poiché già quello che si è scritto appare superfluo, ridondante. Andate a vedere Sulla mia pelle e poi state in silenzio, riflettete, ne uscirete come persone e cinefili migliorati, e, si spera, più saggi.

“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte”

a Stefano, ennesima vittima delle barbarie dell’uomo.

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