Dietro il concept: The Wall

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Il protagonista è imprigionato dietro il muro; ossia, dentro sè stesso.

La seconda parte dello spettacolo è tutta dedicata a una serie di dialoghi dell’individuo con sé stesso, internamente alla propria mente. Egli cerca di uscire, captando segnali dall’esterno (Hey You, Is There Anybody Out There?, Nobody Home). Poi, non riuscendo a “superare” il muro, si chiude definitivamente, radicalizzandosi come ogni individuo che si convince di non essere capito. A questo punto il protagonista diventa (sempre nella propria immaginazione) una specie di dittatore, che frustrato dalle proprie insoddisfazioni si lascia andare a metodi brutali contro quella società che non l’ha accettato (Run Like Hell). Infine, il protagonista diviene completamente insensibile, isolandosi definitivamente: è la fase della celebre Comfortably Numb. In questo momento dello spettacolo, David Gilmour compare in cima al muro, per cantare la canzone e suonare i suoi famosi assolo di chitarra.

Ma non può finire così. Nell’ultima parte, il protagonista della storia viene sottoposto a un vero e proprio processo Kafkiano all’interno della propria immaginazione: è definitivamente impazzito. In The Trial, viene giudicato da tutti quelli che lo hanno portato a isolarsi: il maestro di scuola, la madre, l’ex-moglie. In un climax di vittimismo e auto-commiserazione, l’individuo si auto-condanna (per voce di un fittizio “giudice”) a essere consegnato a quella stessa società da cui il muro dovrebbe proteggerlo. E per far sì che ciò accada, l’ordine è perentorio.

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“Tear down the wall”. Anche sul palco, il muro viene distrutto.