Mulholland Drive: Spiegazione dell’incubo di David Lynch

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Mulholland Drive SpiegazioneMulholland Drive si mostra fin da subito come un’operazione interpretativa: la composizione narrativa è una mancanza, un’assenza che noi spettatori interpreti dobbiamo mutare in senso.

L’esigenza d’interpretazione è parte integrante dell’opera stessa: la necessità di scoprire ciò che è celato inizialmente dalla prima comprensione testuale.

Sappiamo bene come il regista David Lynch sia restio nel voler rivelare particolari analisi o indizi riguardanti i suoi film. Nelle interviste evita continuamente domande dirette sul senso dei suoi lavori, questo avviene anche perchè come già dichiarato ha totale fiducia nel ruolo dello spettatore/interprete. Adora il fatto che quest’ultimi comprendano i suoi film a modo loro, come fosse una sfida.

Eppure in Mulholland Drive più che in altri suoi lavori possiamo scorgere degli indizi, piccoli frammenti inseriti per completare il criptico puzzle, per spronare lo spettatore a scoprire la vera natura del film.

Nel tentativo di spiegare Mulholland Drive e l’interpretazione onirica che gli viene attribuita dobbiamo inevitabilmente partire da una delle primissime sequenze, posta ancora prima dei titoli di testa. Un piccolo e brevissimo tassello che si rivela fondamentale per la lettura del film.

Ma andiamo con ordine, prima di questo “indizio” possiamo assistere al prologo del film.

Vediamo sagome di coppie di ballerini di swing danzare all’interno di uno sfondo viola, quasi fosse un ritornello televisivo. Le figure danzanti si sdoppiano e diventano perfettamente distinguibili, mentre in sovrimpressione appare una luce sfocata, che facendosi piano piano più nitida ci rivela il volto di Betty posta in mezzo tra due anziani, quest’ultimi li rincontreremo poco dopo l’inizio del film assieme alla bionda protagonista. La figura della protagonista (Betty o Diane nel film) viene centrata e sovrapposta nell’inquadratura, la vediamo sorridere felice sotto il rumore di scroscianti applausi.

Mulholland Drive spiegazione
Il desiderio di sostituirsi

Subito dopo la scena si sposta, possiamo vedere attraverso la soggettiva di una persona intenta a stendersi su un letto per addormentarsi. Sembra avere la vista sfocata, arranca a fatica verso la branda, il respiro è ansimante. Sommerge la testa nel cuscino, chiudendo gli occhi e inabissandosi nei sogni (e noi attraverso lei entriamo nel film, che corrisponde all’inizio del suo sogno), similmente alla sequenza nella quale viene aperta la scatola blu verso la fine, che al contrario indica il momento in cui Diane si risveglia nella propria terrificante realtà.

Le due attrici (Naomi Watts e Laura Harring) assumono durante lo svolgimento diegetico due ruoli narrativi differenti, due identità diverse. Svolgono un processo di mutazione di soggettività: noi spettatori possiamo solo presupporre un’ipotesi dello sviluppo degli eventi.

Questo processo di sdoppiamento dei personaggi, in questo caso femminili di Betty/Diane e di Rita/Camilla ha inizio come un vero e proprio processo di riconoscimento di sè con l’altro (Heinz Kohut Sigmund Frued ne sono gli antesignani, vedi La Psicologia del sè”).

L’iniziale assenza del nome della donna bruna che sfugge ai gangster e la sua volontà di ricercare una coscienza di sè non è altro che il primo passo di un processo che concerne la dipendenza dell’io dall’esterno e la funzione della costuituzione dell’io grazio allo specchio. La donna ormai arrivata nella casa di Betty vede il manifesto di Gilda (C. Vidor) con Rita Hayworth – la donna comincia a delinare la sua identità grazie ad una figura del Cinema – che è sia il media che il contesto della pellicola lynchana.

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Una parte del Manifesto è raddoppiato nello stesso specchio in cui la donna si guarda ed è lì che prende coscienza di sè: diventa ciò che osserva; diventa l’Altro.

Mulholland Drive spiegazione
“Faremo finta di essere qualcun altro”

Il raddoppiamento della soggettività per quanto riguarda il subconscio non è altro che il prodotto del sogno/desiderio di Diane.

L’identificazione di Camilla in Rita quindi non è altro che il rovesciamento della figura dominante. Il disperato bisogno di riconoscersi con l’Altro come il soggetto prevalente (una caratterizzazione tipicamente maschile) e parallelamente anche essere oggetto del desiderio (caratterizzazione prettamente femminile) è ciò che la protagonista confessa durante il suo sogno.

Ritornando invece a ciò che interessa la sfera interpretativa possiamo dire che tutto l’universo di senso si palesa nel segmento finale: la macchina da presa entra in quella scatola blu (come detto nell’introduzione, ciò avviene similmente alla scena iniziale dove ci immergiamo nel cuscino) e ci mostra  un’immagine nera, buia e misteriosa.

Un altro mondo fino ad ora celato agli occhi di chi guarda.

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Il film muta, cambia di senso immediatamente: in quell’istante si innesca un approccio diverso alla comprensione testuale: diventa un film diverso, nuovo, equivoco e parallelo al contempo.

Un vero e proprio passaggio che sottolinea l’ineguagliabile duttilità dell’immagine cinematografica che si mostra come il vero o il falso, come la realtà o il sogno, come il conosciuto o l’ignoto, come il conscio o il subconscio.

Lynch segna il confine dal mondo e dall’altro: sveglia Diane dal lungo sonno e sveglia anche noi, spettatori assortiti dallo stesso subconscio di lei con una frase:

“Hey pretty girl… Time to wake up”

Ci avverte. Ci spinge nella direzione del senso. L’insinuarsi dentro la scatoletta non solo ci mostra una realtà diversa del mondo conosciuto ma ci propone anche un’infinità di interpretazioni soggettive poichè la scatola non ha nome, nè identità, nè provenienza.

Quella scatola è il cinema stesso, che si plasma a suo piacimento in ciò che in quel momento ha voglia di raccontare, di essere, di intepretare.

L’universo da “sogno” partorito dalla mente della protagonista e tutti gli elementi maggiori appartenenti ad esso provengono dalla metamorfosi di storie, personaggi e situazione esistenti, ma che ci vengono mostrate solo nell’ultima parte del film.

Mulholland Drive spiegazione

Possiamo quindi riassumere “semplicemente” il film in una breve sinossi: nella realtà l’attrice Diane Selwyn paga un Killer per uccidere l’amante, Camilla Rhodes, colpevole di averla lasciata per sposarsi assieme all’affascinante regista Adam. Mentalmente distrutta, la protagonista trova così rifugio in un sogno che le permette di ricostruire per sè e per l’amata Camilla un mondo alternativo nel quale Diane diventa Betty, un astro nascente del cinema, una ragazza pronta a tutto pur di aiutare la persona che ama. Mentre Camilla torna a vivere ma diviene Rita, una donna sopravvissuta ad un tentativo di omicidio che le ha fatto perdere la memoria.

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Ma Mullholland drive è decorato da un’infinità di prospettive analitiche che non culminano nella sola psicoanalisi.

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Una volta risvegliata la sognatrice (e noi assieme a lei, inconsapevoli fino a quel momento di vivere in un sogno, il suo) Lynch sceglie di mostrarci la realtà attraverso dei flashback antecedenti al momento nel quale Diane sprofonda nel sonno.

I momenti chiave che hanno scatenato il trauma che infine la porterà al suicidio. Da quest’ultimi derivano le ambientazioni, i personaggi e gli oggetti visti per tutta la durata del film, trasformati e plasmati a proprio piacimento nel sogno dalla protagonista.

La prima di queste sequenze svolte nella realtà ci mostra le riprese di un film nel quale Diane ha un ruolo secondario, mentre l’amata Camilla ne è la protagonista. Durante le prove ci viene mostrata l’attrazione reciproca tra la protagonista ed il regista Adam, il tutto sotto lo sguardo ingelosito di Diane. Passiamo allora alla festa di fidanzamento tra Adam e Camilla sulla Mulholland Drive, con Diane svilita e umiliata, i suoi sogni di grande attrice infranti, il suo amore perduto. Infine assistiamo all’incontro di Diane con il killer (nel Winkies bar) assunto per uccidere Camilla.

Questi le mostra la chiave blu, se la rivedrà significherà che l’obiettivo è stato raggiunto.

Queste semplici sequenze vengono totalmente rivoltate nel sogno di Diane: i desideri del suo inconscio prima salvano l’amata Camilla, accogliendola e accudendola in casa dopo l’incidente, poi trasformano la sognatrice in una talentuosa attrice che al suo primo provino sbalordisce tutti i presenti (tranne il regista che assiste, incapace di vederne il talento). L’altro regista, Adam, d’altro canto nel sogno patisce angherie di tutti i tipi; la moglie lo tradisce, il suo conto in banca viene bloccato, inoltre la sua ostinazione nel non voler accettare le raccomandazioni dettate dai suoi produttori lo porterà ad un inquietante e minaccioso incontro. E se nel sogno il desiderio più grande è quello di salvare Camilla, il killer assoldato non può che diventare un imbranato totale, incapace di svolgere il proprio compito.

La sequenza finale del Club Silencio nel quale la protagonista acquisisce la consapevolezza di vivere in un sogno, non è altro che un’enunciazione, una vera e propria dichiarazione del falso/artificiale: “Silencio… No hay banda” – ci informa intenzionalmente il mago che qui non c’è nessuno che suona. Perchè – “It’s all recorded”  – è tutto registrato.

L’illusione è il motore della scena in questione.

Quasi tutto ciò che viene mostrato non è reale, nemmeno la canzone struggente della cantante Rebekah del Rio che una volta svenuta rivela il playback cantato: l’unica fessura con il mondo reale sembrano essere le lacrime di Betty e Rita che platonicamente sono quelle di noi spettatori lì con loro, che esistiamo, inermi ad osservare qualcosa che non esiste ma coesiste grazie al cinema.

Mentre tutto lo spettacolo si rivela una finzione l’unica cosa che invece rimane reale sono le emozioni; le loro, le nostre.