Interruption di Yorgos Zois: Recensione in Anteprima

Yorgos Zois propone il suo film di esordio al pubblico italiano: Interruption è un film ambizioso che porta lo spettatore a ragionare di teatro, di vita e di società. Ecco la recensione in anteprima.

Interruption Recensione
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Al cinema dal 24 Aprile, tre anni dopo la presentazione al Festival di Venezia, il lungometraggio d’esordio di Yorgos Zois, giovane regista greco. Interruption, questo il nome del film, ha un titolo abbastanza eloquente: la trama del film è totalmente incentrata su un’interruzione.

Una compagnia teatrale sta recitando la Orestea di Eschilo rivisitata in maniera post-moderna quando un gruppo di ragazzi armati e vestiti di nero irrompono sul palco e confinano gli attori in un cubo di vetro posto sulla scena. Il capo di questi, rimasto anonimo fino alla fine, si presenterà come membro del Coro, pronto a prendere il controllo della rappresentazione.

Interruption: Che cos’è veramente il teatro?

“Ci scusiamo per l’interruzione noi siamo il coro, saremo la vostra guida per questa sera”, queste le parole più volte ripetute. Gli spettatori rimarranno come incantati, una platea silenziosa convinta per tutta la durata del film di assistere ad un colpo di scena programmato. Una volta scelti degli attori dal pubblico, la rappresentazione può ricominciare.

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Al di fuori della trama, la riflessione che Zois vuol portare sullo schermo è puramente metateatrale. Che cos’è il teatro, che valore ha l’immenso patrimonio dei nostri predecessori oggi, cosa è rimasto della persona inteso nel senso latino di maschera? Tutte domande totalmente accantonate dalla società moderna. Non a caso viene rappresentata proprio l’Orestea, unica trilogia teatrale greca a noi pervenuta. Non a caso viene sgomberata la scena da attori che pretendono di rappresentarla in chiave postmoderna, alienando l’originaria fruibilità universale che aveva ai tempi della sua composizione.

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Una riflessione sociologica sull’ira

Gli attori scelti dal pubblico, inoltre, non impiegheranno molto a immedesimarsi nella parte che recitano, dimenticando la propria identità ed abbracciando quella di personaggi che meglio di tutti hanno impersonificato le pulsioni alte come quelle basse dell’essere umano. Geniale anche il dibattito che il minaccioso corifeo impone ai protagonisti: “Cambiamo il finale – dice- cosa avrebbe fatto Oreste ai giorni odierni? Avrebbe comunque ucciso la madre accecato dall’ira?”. Assolutamente no: c’è chi propone di portarlo a processo, chi di riconciliarsi con stoico abbandono delle pulsioni d’ira, ma questa versione dell’Orestea non funziona. La dimensione sociale non riesce a sostituire la dimensione personale del cieco individualismo e la madre di Orestea verrà uccisa comunque.

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Come ogni tragedia greca, anche l’irruzione del coro ha un suo deus ex machina che viene chiamato nel momento di massima tensione. Una donna, in questo caso, sempre vestita di nero che pone fine ai conflitti, imponendo (si puo imporre veramente?) la catarsi agli attori. Un momento di beatitudine massima raggiunta tramite la stessa arte che ha creato il caos.

Interruption: Una fotografia alienante altamente curata

Interruption, nonostante la sua atipicità, funziona bene. A guidare lo spettatore del film, come lo spettatore teatrale rappresentato, è un’ottima fotografia che per ben 110 minuti adotta imperterrita colori freddi, gelidi, distaccati. Persino le luci in sala nel teatro, quasi sempre calde nella realtà, sono alienanti. Funziona bene anche la quasi sostanziale assenza di colonna sonora: Interruption è un film silenzioso, a suo modo. Viene esaltato ogni respiro, ogni scricchiolio, ogni impercettibile rumore che non consente all’essere umano di essere veramente silenzioso. Ad ogni passo, specie nelle scene più concitate, è come se lo spettatore venisse trafitto da una freccia. Sono questi, probabilmente, gli elementi che – nonostante le lunghe sequenze – rendono il film concitato. Anche quando Zois abbandonerà lo spettatore ad una dimensione puramente onirica il film riuscirà ad avere un ritmo serrato.

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Unico difetto del film, se si può parlare di difetto, è la poca coerenza interna delle scene. Se il pubblico viene rappresentato per la gran parte del film senza volto, come anonimo, all’improvviso è inquadrato in primo piano un ignaro spettatore che va al bagno; se l’impressione è quella di un film che si svolge solo nella sala del teatro, l’aspettativa verrà improvvisamente sconvolta mostrando repentinamente ciò che succede nel mondo esterno. E ancora, quando lo spettatore è convinto che le inquadrature della scena vengono fatte in direzione del pubblico (immedesimandosi nella recita), la prospettiva cambia all’improvviso girando la camera dalla platea verso la scena.

Nel complesso, comunque, Interruption è un ottimo film: un buon antidoto a tutte quelle produzioni che curano spasmodicamente la forma dimenticando la sostanza. Renderà complice lo spettatore che si intende di teatro e allo stesso tempo coinvolgerà totalmente chi è a digiuno di cultura teatrale classica.

Il Trailer di Interruption (VIDEO)