Le Storie della Scimmia: Donnie Brasco

Per la nostra rubrica Le storie della Scimmia vi raccontiamo la vita di Joseph Dominick Pistone, che con il suo pseudonimo Donnie Brasco riuscì a mandare al tappeto buona parte della Mafia italoamericana di New York

Johnny Depp è Joe Pistone in Donnie Brasco
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Joseph Dominick Pistone alias Donnie Brasco

Joe sai che dalle mie parti sei un mito per ogni parte della barricata. I carabinieri ma anche i ragazzi di camorra. Donnie Brasco è Donnie Brasco perché ha le palle. Il resto vale zero in certe logiche.

(Roberto Saviano)

Forget About it!

La storia che vi presentiamo oggi è tipo, minchia, è tipo, che te lo dico a fare. Talmente coinvolgente e straordinaria che…che te lo dico a fare. Se poi non l’apprezzerete perché, non so, non vi piacciono questo tipo di storie, beh, i lettori? Che te lo dico a fare! e comunque, al di là della storia, concorderete che Raquel Welch era proprio un gran bel pezzo di f**a, che te lo dico a fare!

Donnie Brasco 3

 

Quando gli anni’70 cambiarono la Mafia

Negli anni sessanta/settanta, la Mafia italoamericana, combattuta da poliziotti come Joe Petrosino e la sua Italian Squad, cessò di esistere.  Il mercato immobiliare ed alimentare,  il monopolio dell’alcool negli anni del proibizionismo, l’estorsione, le rapine sembravano non bastare più a quell’associazione di delinquenti che poi sarà nota come Cosa Nostra. Una nuova occasione di guadagno era sorta nella società statunitense: la droga. Di questa “evoluzione”, poi, ne parlò lo stesso Pistone, anni dopo, in un’intervista rilasciata a Roberto Saviano:

a New York la mafia aveva grande potere nel settore delle costruzioni. E nel settore dei rifiuti, monopolizzava praticamente questi due mercati. Ci riusciva attraverso il controllo dei trasporti, dei sindacati e attraverso il rapporto con la politica. Ora questo – anche attraverso duri colpi della polizia – non c’è più o non è così forte la loro presenza. Ora tutto è cambiato. Le giovani generazioni vogliono tutto subito. E ci riescono con la droga, è così che si fanno i soldi veloci, no? La mia generazione, quando io mi sono infiltrato, trattava la droga, ovviamente, ma erano solo i boss a controllarla. La regola era: niente droga nel quartiere. La vendiamo ad Harlem. Ai neri. O ai ricchi figli della New York fighetta. Ma niente nelle nostre zone. Mentre alle nuove generazioni non importa, perché il denaro lo vogliono oggi, subito. Loro stessi ne fanno uso: in passato era impossibile in una famiglia mafiosa che il boss e i suoi più stretti collaboratori sniffassero coca. Per tutte queste ragioni c’è grande attrito tra le vecchie e le nuove generazioni. Una sorta di conflitto generazionale. I nuovi clan hanno perso il controllo sui sindacati, perché le nuove generazioni non hanno l’esperienza e la capacità diplomatica di corrompere i politici come invece sapevano fare i loro padri. Sarebbe un lavoro troppo lungo. E loro vivono nell’immediato. I giovani non hanno capacità politiche. Una volta persi i sindacati si è perso anche il controllo sul commercio del Paese. Perso il controllo dell’industria dei trasporti su ruote, che il commercio lo muove, non è più possibile controllare i prezzi

Una volta che la “vecchia scuola” di mafiosi si fece da parte, restii a investire negli stupefacenti (ricordate Il Padrino?) per via del suo impatto sociale che avrebbe attirato troppo l’attenzione dello Stato, i nuovi adepti virarono i loro affari in questo remunerativo business: è l’alba della Pizza Connection. La Mafia cambiò e con essa dovettero cambiare anche coloro che le davano la caccia.

Ed è qui che entra in gioco il protagonista della nostra storia: Joe Pistone.

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In molti ricorderanno Donnie Brasco, il film di Mike Newell con protagonisti Johnny Depp e Al Pacino.  Il film è la trasposizione cinematografica della storia del nostro protagonista, che da infiltrato speciale per conto del Bereau riuscì a sgominare una grossa cosca mafiosa verso la fine degli anni settanta. Pur non avendo il volto belloccio di Deep, Pistone era un “bel tipo, seppur con i limiti che la realtà ci offre” e il suo fascino è perfettamente rappresentato nella pellicola del 1997. Nato in Pennsylvania nel 1939 da una famiglia di origini italiane, crebbe poi nel quartiere Sandy Hill di Paterson, nel New Jersey, zona a forte immigrazione italiana (qualche fan de I Soprano avrà già riconosciuto il luogo). Pistone, pur adattandosi perfettamente alla vita nordamericana -laureato in antropologia nel 1965- non si distanzierà mai dalle sue origini italiane, continuando a masticare sia la lingua del Bel Paese sia il dialetto siciliano, abilità che in futuro gli permetteranno di compiere il suo lavoro con una facilità di immedesimazione che rasenta il talento drammaturgico.

Ma Pistone non era solo un uomo intelligente, colto e un buon poliziotto, ma qualcosa di più. La sua peculiarità più sorprendente era la capacità di mantenersi freddo e calmo anche nelle circostanze più critiche, qualità che gli permise di guadagnarsi il suo primo lavoro sotto copertura.

Si può sorridere per finta, per finta essere allegri, per finta essere mafiosi, ma proprio non riesco immaginare come si faccia per finta a non provare paura. La provi e la scacci? Impossibile comprenderlo, sono meccanismi che puoi soltanto vivere, o meglio a cui puoi solo sopravvivere

Questa opportunità nacque anche grazie ad un altro punto di forza di Joe, ovvero quella di essere sempre disposto ad imparare qualcosa di nuovo. C’era il bisogno di infiltrarsi in una gang che rapinava camion per ricettarne, poi, il contenuto? Joe Pistone imparò a portare i camion. Divenne così abile nel farlo e si immedesimò così bene in quell’ambiente, che nessuno mai sospettò la sua natura di agente dell’FBI. Risultato? Più di 30 arresti, gang sgominata e uno dei risultati più felici di sempre per un’indagine del Buraeu. Era il 1976, e le alte sfere decisero che non potevano sfruttare il talento di Joe solo per le gang organizzate. Serviva un passo ulteriore, Pistone doveva contribuire assolutamente a fermare la nuova Cosa Nostra.

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Operazione Sun-Apple: è nato Donnie Brasco

essere se stessi, non recitare mai la parte del duro,  non spingere i criminali a fare qualcosa per accelerare la raccolta delle prove

L’operazione Sun-Apple è quella raccontata nel film del 1997. Si divideva in due parti, una indagava sui traffici di Miami, l’altra su quelli di New York. Inizialmente, l’operazione era un prolungamento di quella portata avanti da Pistone, nel febbraio dello stesso anno, il 1976, ai danni delle gang dei camion; ma poi, l’indagine si allargò a macchia d’olio, fino a diventare una panoramica della vita e dei traffici della Mafia italoamericana.

Il primo passo per infiltrare Joe Pistone fu quello di creare una biografia credibile e ben elaborata. Pistone divenne così Donnie Brasco, uno scassinatore e un ricettatore di diamanti abile e certosino. Nato a Miami e con una rete di conoscenze mafiose in Florida. L’FBI procurava i gioielli e Donnie The Juliard Brasco iniziò, così, ad attirare l’interesse di Cosa Nostra, ammaliata dalle abilità del giovane “criminale”.

La Famiglia mafiosa in questione è quella dei Bonanno di New York, “capitanata” dal boss Carmine Galante, detto The Cigar, sopravvissuto alle guerre tra famiglie e di cui cadrà vittima nel 1979. Ovviamente, per avvicinare Brasco, non poteva scomodarsi il capo dei capi e quindi fu mandato uno scagnozzo di fiducia: Benjamin Ruggiero, detto Lefty. Il suo soprannome deriva dalla sua abitudine di portare più armi con sé (Lefty guns) e dal modo con cui tirava i dadi, rigorosamente con la mano sinistra. Lefty è un soldato della Mafia, uno che alla “famiglia” ci crede davvero, tanto da uccidere il suo stesso cognato, reo di aver commesso uno “sgarro” nei confronti dei Bonanno.

Nel film di Newell, Lefty è interpretato da Al Pacino e la somiglianza tra i due è davvero impressionante. L’attore e il mafioso si assomigliano talmente tanto che i manifesti per la cattura riportati nel film sono davvero molto simili a quelli reali.

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Il rapporto tra Lefty e Donnie fu davvero molto intimo. Ruggiero divenne per Brasco un compare, un padre, insomma qualcosa di ben più profondo rispetto alla semplice collaborazione in azioni illecite. L’evidenza di tale rapporto, spinsero, poi, molti giornalisti a chiedere  a Pistone se avesse mai avuto dei sensi di colpa verso coloro che lo credevano un fratello (Lefty su tutti), ecco la secca risposta dell’ex agente:

non gli ho detto io di fare il gangster

La forza di Joe Pistone fu sempre questa, ovvero riuscire a tenere separata la realtà dalla finzione, riuscì sempre a non mescolarsi del tutto, riuscì ad essere mafioso senza davvero esserlo. Per lui l’essere un infiltrato era solo un lavoro e che doveva portarlo a termine perché lui era “dalla parte dei buoni”. Il rimorso, il senso di colpa lo troviamo solo nel film del 1997, poiché, a detta dello stesso Pistone:

quando girano un film, devono far sì che l’eroe mostri i suoi sentimenti. Se l’eroe dice alla polizia: ‘Fate quello che volete di questa feccia, uccideteli. A me non importa’, allora gli sceneggiatori cambiano la scena perché al pubblico non piace. Ecco perché hanno voluto dare l’impressione che mi dispiacesse per la gente finita in galera o uccisa: per non dare l’impressione che il mio personaggio fosse senza cuore. Ma forse quando mi sono trasformato in Donnie Brasco sono diventato davvero senza cuore

Alle porte della Famiglia

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Dopo sei anni di lavoro al fianco di Lefty e della famiglia Bonanno, Donnie sembrò pronto per entrare stabilmente a far parte di Cosa Nostra. Lefty garantì per lui fin da subito, ma l’appoggio fondamentale per l’affiliazione arrivò dal capo regime di Ruggiero: Dominic “Sonny Black” Napolitano, interpretato nel film da un magnifico Michael Madsen.

Ma non tutti erano convinti della “bontà” di Brasco, che in ben due occasioni dovette far appello al suo sangue freddo e convincere gli altri affiliati della sua fedeltà alla Mafia. La prima sfida si presentò quando due scagnozzi lo prelevarono per interrogarlo sul suo passato, e solo una chiamata ad un finto affiliato di Miami, che garantì per lui, poté salvarlo da morte certa. La seconda sfida fu giocata da Brasco in maniera perfetta, da abile giocatore di scacchi e profondo conoscitore della psicologia umana riuscì a sopravvivere ad una riunione di famiglia in cui si discuteva della sua fedeltà, dopo un’accusa di furto.

In un’altra occasione, un tipo mi accusò di aver rubato al clan dei soldi provenienti dalla droga. Per stabilire se era vero, convocarono delle riunioni. Se in quei casi ti prende il panico, ti portano a ‘fare un giro’, ossia fuori città e poi ti regalano un proiettile alla nuca. Così invece di allontanarmi per evitare di fare il giro, io rimasi nei paraggi, esattamente fuori la porta dove si stavano riunendo. Aspettando che finissero, senza la minima paura. Tutto qui. Non c’è molto altro da fare

Chiariti i malintesi, i Bonanno decisero di far entrare Donnie nella famiglia. Ma a questo punto sorse un grosso problema: se non sei di famiglia, allora, per entrarci devi ammazzare qualcuno, bisogna che si risolva un “contratto”. Fino ad allora, Pistone fu abbastanza fortunato, come ha raccontato lui stesso:

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Mi sono stati assegnati dei ‘contratti’. E ho dovuto dire di sì: non puoi rifiutare, altrimenti ti ammazzano. E lascia che ti dica questo: se si fosse trattato di scegliere tra me e un mafioso, sarebbe stato lui. L’avrei ucciso. Ma è una situazione in cui non mi sono mai trovato. Un giorno stavo con altri mafiosi al club dove ci si ritrovava. Arriva una telefonata e la persona al telefono mi dice che l’uomo che dovevo uccidere era a un certo indirizzo. Gli altri mi hanno detto: ‘Ok, ora andiamo a beccarlo’. Ho capito che non potevo uscirne, perché se fossimo andati lì e io non l’avessi ucciso, mi avrebbero fatto fuori loro. Quindi capii che doveva morire. Ma quando stavamo per uscire arrivò un’altra telefonata, e mi dissero che quelle informazioni erano fasulle. Per cui non ci andammo. Ma sapevo che dovevo sempre tenere a mente ciò che ero disposto a fare per salvarmi la vita

Ma in un mondo spietato come quello mafioso, la fortuna non gira per sempre. Per la sua affiliazione, Sonny Black chiese a Brasco di uccidere Anthony Indelicato, un boss rivale. A quel punto, l’FBI decise che era il momento di fermare l’operazione e di tirar fuori il suo agente, era il 1981, e dopo ben sei anni, Pistone era pronto a raccogliere i frutti della sua lunga indagine.

Una volta scoperta la vera natura di Donnie Brasco, tra le famiglie mafiose di New York scoppiò il caos.

Ci sono alcune foto scattate dai federali a Sonny e ai suoi dopo aver scoperto di Donnie. Hanno certe facce! soprattutto Lefty: ma come? Il suo Donnie è un federale? Le facce dei gangster trasmettono non solo stupore ma anche paura…” (C. Lucarelli)

Nessuno della famiglia poteva credere a ciò che stava sentendo, si cercavano scuse, giustificazioni, ma erano fin troppo deboli, quasi infantili. La reazione divertì molto Joe Pistone, che in seguito dichiarò:

Una volta un boss napoletano ha detto che Joe Pistone era diventato Donnie Brasco facendo fessi i Bonanno perché non aveva la faccia da mafioso, bensì da vero uomo. Invece gli amici dicevano, per prendermi in giro, che per me non c’erano speranze, con la faccia che mi ritrovo. Penso che a cose fatte è buffo che i boss sentano di dover ricorrere a queste scuse per giustificarsi. Li ho fregati e basta. Non ci sono scuse

Quelle scuse, in fondo, erano legate ad un profondo terrore. La paura dei mafiosi si rivelò fondata: dopo pochi giorni Sonny Black fu trovato ucciso con le mani mozzate; mentre Lefty verrà “salvato” dall’arresto dell’FBI che lo portò a scontare ventiquattro anni di carcere, ove morì nel 1994.

Con duecento rinvii a giudizio e oltre cento condanne, Joe Pistone riuscì a sferrare un durissimo colpo alla mafia newyorkese italoamericana.

Ritorno alla vita: addio Donnie Brasco

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Vorremmo dire che tutto si concluse con un grande lieto fine, che Pistone, abbandonata l’identità di Donnie Brasco, riabbracciò la sua famiglia e che con essa s’incamminò, in una tiepida giornata primaverile, verso il sole ed una vita più tranquilla e normale. Ma purtroppo la realtà non è una favola, e seppur per molti altri le cose possono sovrapporsi, per uno come Joe non poteva assolutamente essere così. Non si esce del tutto da una storia marcia come questa, e non ci sono parate e medaglie per gli eroi della realtà, almeno quelli veri.

Una volta terminata l’operazione Sun-Apple, iniziò il calvario delle testimonianze, i maxi processi, le cronache dei giornali. Tutto venne alla luce, Pistone divenne per molti un eroe nazionale, per altri, i mafiosi, un infame da eliminare. Joe Pistone cessò di esistere insieme alla sua famiglia, dovettero allontanarsi e cambiare identità, furono costretti a mantenersi cauti e vigili, evitare i contatti intimi con la maggior parte delle persone, insomma dovettero morire e rinascere nuovamente. Ma per la sua famiglia, che riuscì a resistere ben sei anni lontano da Joe, questo fu solo un piccolo prezzo da pagare in cambio del ritorno del loro amato padre e marito.

Joe Pistone continuò e continua la sua vita andando in giro per il mondo ad insegnare ai nuovi agenti le tecniche da lui usate sotto copertura. Si gode i ricavati dei film e dei libri ispirati dalla sua storia e tutto sommato, ora, fa una vita tranquilla e normale, o almeno, più tranquilla e normale del passato.

Intanto, nel mondo di Cosa Nostra è ancora valido il “contratto” rilasciato nel 1981: mezzo milione di dollari per la testa di Joe Pistone/Donnie Brasco. Ancora oggi, qualcuno potrebbe onorare quell’impegno, poiché nel mondo della Mafia, i contratti non vengono mai ritirati, e qualche testa calda potrebbe volersi far un nome sulla testa di Donnie Brasco, anche se, a detta di Pistone, non ci sarebbe nessuno a pagarlo quel contratto, poiché i mandanti o sono in galera o sono tutti morti. Ma Pistone preferisce comunque restare prudente, e a chiunque incontra dice che lui è Joe, soltanto Joe.

Più che ammazzarmi, che possono farmi? (Joseph Dominick Pistone)

 

Per chi se la fosse persa, ecco la puntata precedente di Le storie della Scimmia