I 16 film con la miglior regia del 21° secolo secondo la Scimmia (in ordine di gradimento)

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7 – Il settimo posto è condiviso da due film

Holy Motors, di Leos Carax (2012)

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Se c’è un regista che, grazie alle sue immagini, è in grado di emozionare letteralmente lo spettatore, quello è Leos Carax. Holy Motors è una pellicola che mette in scena la realtà odierna, una rappresentazione nuda e cruda di un mondo in costante mutamento, che si nasconde attraverso l’ausilio di una maschera. Una vita che si trasforma in grande cinema, in cui ognuno di noi è costretto a recitare una parte. Carax costruisce il tutto tramite una regia immersiva, che nonostante il ritmo lento, travolge sin da subito lo spettatore. Una fotografia che diventa assoluta protagonista e che gioca costantemente con la luce e l’oscurità (meravigliosa la scena con le tute in motion capture), donando intensità e incanto ad ogni singola scena. Uno di quei fulgidi esempi in cui la pellicola si trasforma in un’esperienza vera e propria. Tra i film più importanti degli ultimi anni.

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(a cura di Simone Martinelli)

 

Elephant, di Gus Van Sant (2003)

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Elephant è uno di quei film in cui la regia ricopre un ruolo centrale nel determinare il senso della pellicola. Gus Van Sant si serve infatti di lunghi tracking shot per seguire i personaggi attraverso i desolati corridoi della scuola e gli ampi spazi esterni in cui si concentra buona parte del film. Un espediente che il regista di Portland aveva già usato, ma che qui viene portato all’estremo, rendendoci partecipi insieme ai ragazzi del senso di straniamento che questa vita ripetitiva ha causato loro. Allo stesso tempo questa tecnica ci rende a nostra volta straniati dagli avvenimenti, diventando spettatori distaccati di quanto sta accadendo: Van Sant ci mostra i fatti del massacro della Columbine High School senza mediazioni, mostrandoci un materiale quasi “grezzo” e lasciando a noi il compito di lavorarlo.
Non è da sottovalutare infine sotto questo aspetto i richiami evidenti alle visuali di molti videogiochi sparatutto, che fanno anche la loro apparizione su schermo durante il corso del film.
La scelta di frammentare la narrazione seguendo il punto di vista di più ragazzi permette poi al regista di calibrare sapientemente il ritmo, che avrebbe rischiato di essere monotono con una narrazione eccessivamente lineare. Le varie prospettive ci permettono anche di scavare nella psiche dei ragazzi e tentare di capire le ragioni che stanno portando inevitabilmente ad un triste epilogo.
L’eccellente regia di Elephant è stata riconosciuta anche al Festival di Cannes, dove ha vinto il premio per la migliore regia e la Palma d’oro al miglior film, in deroga al regolamento che prevede che i due premi debbano essere assegnati a due pellicole diverse.

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(a cura di Fabio Menel)